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L’epopea degli insegnanti precari? Ce la racconta un romanzo

Mari Albanese e Maria Grazia Maggio sono due insegnanti, che scelgono di raccontare una storia dolce e amara, che farà riflettere, sorridere, commuovere

Di Maria Rosa Buono, insegnante

Il periodo di precariato, più o meno lungo e tortuoso, cui deve far fronte la maggioranza degli insegnanti, appare, da sempre, come una matassa spesso ingarbugliata e difficile da dipanare. Le varie istituzioni scolastiche pullulano di insegnanti precari, che “volteggiano” di anno in anno, di città in città, di scuola in scuola, in un turbinio di graduatorie, punteggi, aggiornamenti.

La precarietà, col suo sommerso di incertezze che intaccano ogni segmento della vita di tanti lavoratori, in ogni ambito, riesce, però, ad attivare non solo preoccupazioni e ansie, ma anche risorse umane che non ci si aspettava di possedere. Considerata da prospettive diverse, essa, infatti, non evoca solamente quell’immediata accezione negativa a cui siamo abituati, ma supporta una serie di aspetti che possono risultare fondamentali per la ricerca di una affermazione personale e di una propria dimensione nel mondo: la capacità di fronteggiare gli eventi difficili, di riorganizzare la propria esistenza, di saper cogliere le opportunità.

Un romanzo sulle insegnanti precarie

L’instabilità e la crescita umana, tra affanni e opportunità, costituisce il fulcro essenziale di un romanzo molto particolare, “Diario inquieto di un’insegnante precaria”, Ottavio Navarra editore, scritto a quattro mani da Mari Albanese, insegnante precaria e scrittrice e dall’amica e collega Maria Grazia Maggio, insegnante di ruolo, ormai di “lungo corso” e psicologo scolastico.

Un Diario molto coinvolgente che compendia non solo gli affanni di chi è in cerca di un posto dignitoso all’interno della scuola pubblica, ma anche la vita di tutti gli esseri umani, con le loro precarietà, le loro speranze, gli imprevedibili rivolgimenti e i molteplici intrecci di storie passate, presenti e future.

Un romanzo emozionante, che suscita riflessioni profonde, come emozionanti sono state le quattro chiacchiere che ho condiviso con le autrici, entrambe apprezzate colleghe. Un’intervista piacevolissima, a tratti intensa, condotta da un’insegnante e rivolta ad altre due insegnanti. Una sorta di dialogo empatico su un romanzo che racchiude un po’ i vissuti di tutti noi, donne e uomini, impegnati su più fronti: lavoro, interessi personali, amori, piaceri della vita. Lavoratori e lavoratrici, che vivono che si impegnano per affermare la propria collocazione in un mondo, quello professionale e umano, spesso difficile, saturo di incognite, di insidie e di sacrifici.

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Come nasce l’idea di un romanzo scritto a quattro mani sul precariato?

Mari Albanese: l’idea nasce durante il mio periodo a Pisa, dove ho iniziato a tenere un diario su cui annotare le malinconie, i disagi, ma anche le gioie, i momenti belli, le amicizie della mia vita da insegnante precaria. Un’insegnante precaria catapultata, da un giorno all’altro, in un luogo lontano dalla propria terra d’origine, con tutto quello che ciò comporta. Dopo un po’, quasi in sordina, ho smesso di scrivere quelle pagine più o meno autobiografiche, che erano state terapeutiche in un periodo tanto impegnativo, quanto intenso, accantonando l’idea di un “Diario” da pubblicare. Quest’estate l’editore Navarra, a cui in precedenza avevo esposto la possibilità di scrivere un romanzo-diario che descrivesse, appunto, la mia condizione di docente precaria, mi ha riproposto quel vecchio progetto, che sembrava ormai naufragato, esortandomi a definirlo meglio. A quel punto però la mia situazione emotiva era mutata e con essa anche la mia vita. Non me la sono sentita di completare l’opera da sola, volevo dare all’idea primaria un’impronta nuova e diversa.

Ed è a questo punto che entra in ballo Maria Grazia, il Deus ex Machina del romanzo?

Mari Albanese: già…nel frattempo il mio status di docente precaria, quindi di girovaga per antonomasia, muta traiettoria e mi riconduce a Palermo che per me, madonita di nascita, rappresenta da sempre la città d’adozione e d’elezione. La mia nuova sede di servizio è una delle scuole più storiche e prestigiose di Palermo: “Il Convitto Nazionale”. Ed è proprio al Convitto che inizio a condividere le mie giornate scolastiche con Maria Grazia, insegnante colta e talentuosa, con la quale nasce un’intesa e un’amicizia che si rafforza ogni giorno di più. Ad un certo punto matura in me la convinzione che sia proprio lei la persona più adatta da coinvolgere nel mio progetto letterario. Gliene parlo e dopo un periodo di riflessione e di normale reticenza, finalmente accetta senza saper ancora che sarà proprio lei a scrivere la porzione del romanzo più complessa e difficile.

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Maria Grazia Maggio: in realtà all’inizio ho espresso parecchie reticenze in merito ad un mio coinvolgimento nella scrittura di questo romanzo, ma la persuasione delicata e, al contempo, la curiosità intellettuale che Mari ha saputo suscitare in me, mi hanno convinta ad avviarmi in questo percorso comune, parecchio difficile ma decisamente appassionante. Dovevo, però, prendere parte di uno sfondo integratore già esistente, con una protagonista, Tecla, con la quale dialogare evitando la banalità di un confronto fra simili. Non avevo nessuna intenzione di contrapporre il mio vissuto da insegnante “stanziale” rispetto alle traballanti prospettive professionali e al “nomadismo” descritto da Mari, ovvero da Tecla. Non volevo essere l’insegnante di ruolo, da più di un ventennio in servizio sempre nella stessa scuola, che dispensa consigli o perle di saggezza alla giovane collega precaria. Volevo contribuire alla stesura del libro in un modo diverso e originale ed è così che mi sono inventata “Ho’ oponopono”. Mari è Tecla, la protagonista, insegnante precaria, costretta ad abbandonare luoghi e consuetudini familiari, per spostarsi in una città lontana, nella prospettiva, comune a tanti, di accumulare punteggio ed esperienza, io sono Ho’oponopono.

Chi è e cosa rappresenta in questo romanzo Ho’oponopono?

Ho’oponopono è davvero il Deus ex Machina di questa narrazione, è un diario narrante che dialoga costantemente con Tecla, che accoglie e consola, che ricolloca gli eventi in una dimensione più filosofica e, per certi versi, più aulica, aprendo un varco a-temporale su storie appassionanti, sulle varie epoche che si sono avvicendate, sulla cultura millenaria e sulla vita stessa che si rinnova incessantemente.

Come mai la scelta di un nome così particolare?

Maria Grazia Maggio: questo nome rimanda a un’antica pratica hawaiana per la riconciliazione interiore, per la cancellazione di memorie distruttive e di pensieri negativi e per la risoluzione dei conflitti, in armonia con l’Universo. Una voce incorporea che lenisce e cura e che anima lo spirito di questo diario narrante. Un diario che accompagna Tecla per un intenso tratto della sua vita e che riesce a edulcorare la pesantezza di certe sue vicissitudini e a enfatizzare la positività di taluni incontri e di alcune esperienze, se pur dure o impreviste, attraverso la narrazione di altre storie significative e affini, che mirino a frammentare il senso di solitudine che spesso attanaglia la mente e il cuore della nostra protagonista.

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Il superamento dell’identità di genere di Ho’oponopono, con ripristino del neutro latino. Come mai questa scelta?

Maria Grazia Maggio: la tradizione grammaticale dell’italiano non riconosce alla nostra lingua un genere neutro. Il sistema a tre valori, proprio del latino classico, ha dato luogo, evolvendosi, a un sistema bipartito, con la confluenza dei nomi nelle due classi del femminile e del maschile. Il termine diario ha pertanto, nella nostra lingua, una connotazione maschile, singolare. Ho’oponopono nella sua condizione di storia narrata e narrante, di pura scrittura non può essere né maschio, né femmina. Ecco perché si è fatto appello alla saggezza latina per definire il diario, secondo l’essenza intrinseca che lo caratterizza.

Ritornando a Tecla, l’insegnante precaria protagonista di questo originale romanzo, quanto di autobiografico c’è in lei?

Mari Albanese: in Tecla c’è molto di me, di ciò che ero e che sono diventata negli anni. Ma questo personaggio non può considerarsi un personaggio del tutto autobiografico. Tecla non è completamente me e io non sono completamente Tecla. Essa è, per certi versi, la proiezione di ciò che avrei voluto essere ed è per questo che, per le caratteristiche che la contraddistinguono, la stimo e vorrei somigliarle. Tecla è una Mari con peculiarità diverse e con modalità di vita simili, ma differenti. Un personaggio tutto da scoprire. 

 

Come tutto da scoprire è questo bellissimo romanzo che incanta e fa riflettere. Una narrazione sensibile e fluida che raccoglie segmenti di vita riconducibili a ciascuno di noi, al viaggio incerto e speranzoso di un’intera generazione a tempo determinato che, arrancando attraverso un cammino tortuoso, con la voglia di affermare sé stessi come bagaglio e l’incertezza come compagna di viaggio, deve ancora imparare come riuscire a procedere in equilibrio precario tra sogni e  realtà.  

 

 

 

 

  

 

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