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Ignazio Caruana, il ricercatore che sperimenta il farmaco “vivo” ammazza tumore

Al Bambin Gesù il primo caso di bimbo malato di leucemia, che sta reagendo bene alle nuove cure

Accendere una fiammella laddove è buio pesto è sinonimo di felicità. Ho pensato a questo, intervistando il dottore Ignazio Caruana. Lo raggiungo al telefono, lui vive a Roma. Ha il tono simpatico delle persone umili, di chi non ha bisogno di elogi, appellativi e baggianate varie per sentirsi all’altezza del proprio valore. Cominciamo per ordine.

Chi è Ignazio Caruana?

34 anni, nato a Monopoli, cresciuto a Pavia, con una puntata negli States, oggi lavora a Roma a ed è mezzo compaesano di Camilleri (i genitori sono empedoclini). Ignazio Caruana è un cervellone e lo diciamo fuor di piaggeria (a breve capirete perché). La sua storia è di quelle “che se ne sentono spesso” quando si parla di giovani dalle grandi intelligenze e dalle altrettanto grandi speranze. Caruana, per dare ragione ai suoi sogni, deve andare fuori dall’Italia, in Texas per la precisione. Lì entra in un team di studi che, tra le altre cose, si occupa di terapia genica ed immunoterapia. Paroloni di scienza, che, in soldoni, si traducono in cure meno aggressive e più efficaci contro i mali più brutti. Il chiodo fisso, che accompagna le giornate del giovane ricercatore è uno: aiutare i bimbi malati di cancro a guarire del tutto. Ignazio Caruana questo sogno lo aveva espresso diversi anni prima. Era insegnante. Voleva fare quello nella vita. Punto e basta. Tra una lezione e l’altra, però, l’inciampo: un’alunna si ammala di leucemia. Caruana non comprende e non accetta che una bimba con tutta la vita davanti possa spegnersi al pari di una candela. Le cure tradizionali non riescono a salvare la piccola. Per Ignazio Caruana inizia una missione che fa cambiare rotta alla sua vita. Da Pavia, città dove è cresciuto, inizia l’avventura. La laurea in Biotecnologie e il percorso di ricerca all’ospedale San Matteo. Quindi l’idea di andare fino oltreoceano per capire come “armare le cellule del sistema immunitario per renderle più efficienti nella loro attività contro leucemie e tumori solidi”. Caruana, nella nostra chiacchierata, usa spesso il termine battaglia e mi fa tornare in mente un noto cartone della mia infanzia, in cui proprio i globuli bianchi erano rappresentanti come dei bizzarri ma valorosi soldati.
Caruana torna in Italia, per portare a casa le sperimentazioni. I risultati non si fanno attendere. Due mesi fa, al Bambin Gesù, ecco il primo “pazientino” curato con la terapia genica è un bimbo malato di leucemia linfoblastica acuta, una delle forme più aggressive.

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Dottore Caruana, in cosa consiste la terapia genica sperimentata nel suo team di ricerca?

Noi abbiamo puntato l’attenzione sui linfociti, che sono le cellule fondamentali per la risposta immunitaria del nostro organismo. Diciamo che sono i soldati, che ogni giorno ci difendono da malanni piccoli e grandi e quindi anche dai tumori. Quando capita che il controllo sfugge, dobbiamo armare il sistema immunitario, in modo tale che questo possa tornare a rispondere in maniera efficiente.

Quindi, cosa succede?

Si prelevano i linfociti, mediante un semplice prelievo di sangue e si modificano geneticamente attraverso un recettore chimico, che li potenzia e li rende capac – una volta reinfusi nel paziente – di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo al fine di eliminarle del tutto. In pratica, inseriamo un’informazione nel Dna, il quale, ogni volta che riconosce una cellula “strana” sa che deve ucciderla.

Ci sono però delle differenze con la tradizionale chemioterapia, decisamente più aggressiva?

Assolutamente sì. Con la terapia genica a essere distrutte sono solo le cellule malate. A tal proposito abbiamo scoperto il cosiddetto gene suicida, che è una sorta di interruttore, che si accende quando qualcosa non va. È una molecola che si attiva solo quando deve, ossia in caso di eventi avversi ed è in grado di bloccare l’azione dei linfociti modificati. In parole povere, il gene suicida fa sì che la guerra, combattuta dai soldati (linfociti), non colpisca laddove non deve colpire. Il gene suicida non si attiva in automatico, ma tramite una medicina, che diamo ai bambini trattati quando osserviamo, in follow up immediato, che qualcosa non sta andando bene. Tale medicina ha effetto solo sulle cellule modificate.

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Il primo paziente curato, sta reagendo bene?

Assolutamente sì. È bene puntualizzare che non si può dichiarare guarito alcun paziente a pochi mesi dalle cure. Allo stato attuale, le cellule cancerose non sono più presenti nel piccino. Attualmente, con le terapie geniche, stiamo trattando altri due bimbi: uno affetto da leucemia, l’altro da neuroblastoma, una forma di tumore cerebrale assai aggressivo, che colpisce i bimbi, soprattutto quelli piccolissimi (in rari casi si nasce con il neuroblastoma).

È vero che questa cura genica, con ulteriori accorgimenti, potrebbe diventare un vaccino anti cancro?

Più che di un vaccino parliamo di un farmaco vivo. Il vantaggio di questa medicina, rispetto alla tradizionale, è che non solo uccide le cellule cancerose, ma produce nuove cellule buone, che proteggono dalle cellule tumorali. In poche parole uccido la cellula malata ed al contempo produco cellule figlie buone, che mi proteggono nel tempo. Ovviamente siamo ancora nel campo della sperimentazione.

Quali sono gli effetti collaterali di questa cura?

È una cura non pericolosa, poiché biologica. Il farmaco iniettato, in una sola soluzione, proviene o dalle cellule del bambino o da quelle di uno dei genitori.

Queste terapie potranno essere utilizzate anche nell’adulto?

Speriamo di sì e studiamo anche su questo fronte. Fondamentalmente il processo di reazione del sistema immunitario è simile tra adulto e bambino.

Perché trattate solo leucemie e neuroblastomi?

Per via della natura del tumore. Le leucemie sono tumori liquidi quindi più facili da uccidere con il nostro metodo. Il tumore solido è una bestia peggiore perché fa sì che l’organismo produca delle barriere che lo proteggono. È inoltre capace, nelle forme più aggressive, di invadere altri tessuti.

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La strada resta aperte alla cura dei tumori solidi?

Assolutamente. Stiamo studiando l’applicazione della terapia genica a tutte le forme di tumori cerebrali (già in sperimentazione con il neuroblastoma) ed anche ai sarcomi.

Quanto è importante contribuire alla ricerca?

È fondamentale. Questi studi sono stati fatti grazie alla ricerca, che ha recuperato 3.000.000 di euro, tra Airc, fondi pubblici e l’associazione per la lotta al neuroblastoma. Bisogna credere nella ricerca. Sempre.

Sarà possibile un mondo senza tumori?

Ce lo auguriamo e lavoriamo per questo.

Grazie dottor Caruana e ad maiora

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