A cura della dottoressa Silvana La Porta, psicologa, intervistata da Valeria Lo Cicero.
Quando continuiamo a rifiutare la fine di un amore, restiamo come paralizzate, intente a sostituire il senso di abbandono con la speranza ma, spesso, questa viene meno per lasciare spazio alla depressione. Cadiamo nella trappola della dipendenza affettiva o della Sindrome di Stoccolma, continuando a proteggere il nostro aguzzino per credere ancora nell’idealizzata possibilità del suo amore.
Care donne, fate attenzione alla pratica del “chiodo scaccia chiodo” e buttatevi invece a capofitto nell’attività fisica, che stimola endorfine e serotonina mentre riduce il cortisolo, allontanando l’ombra della depressione.
Ecco le cinque fasi che seguono all’amore perduto
La rottura di un rapporto sentimentale provoca dolore, senso di perdita, tristezza e pure rabbia, soprattutto se la scelta della rottura si è dovuta subire. Anche chi lascia prova emozioni simili ma, avendo preso consapevolmente tale scelta, si trova in genere più avanti nel processo di elaborazione del lutto, il quale, nella norma, prevede di dover attraversare 5 fasi tipiche – spiega la dott.ssa La Porta.
1 – Negazione: è una fase relativamente breve che possiamo definire protettiva, in cui si nega la realtà in quanto troppo dolorosa.
2 – Rabbia: viene provata ad altissima intensità da chi viene lasciato verso colui che ha agito per la separazione e che viene colpevolizzato di tutti i mali della coppia. Spesso si accompagna a desideri di vendetta, anche se non necessariamente vengano agiti. Può invece accadere che la rabbia venga rivolta a se stessi, raffigurandosi dentro nella figura del colpevole.
3 – Patteggiamento o Negoziazione: a volte si presenta prima della fase Rabbia ed è molto delicata perché si tenta di far tornare l’amato sui suoi passi facendo promesse, interrogandosi sul proprio comportamento con le tipiche frasi: “se avessi fatto questo…forse…” e cercando di sostituire il senso di abbandono con la speranza. È importante che tale fase non duri troppo, poiché si rischia di restare bloccati e non riuscire a procedere con le successive fasi.
4 – Depressione: ci si rende conto di aver perso realmente l’amato e si perde la speranza di un ritorno indietro. In questa fase si vive pienamente il dolore della perdita e si evitano luoghi, cose e persone che risvegliano il ricordo della relazione. A questo punto resta l’ultima fase
5 – Accettazione della realtà: è l’ultima fase ed è qui che ci si rassegna di fronte a quanto accaduto, alla relazione passata e all’amore provato senza più opporsi, ma lasciando andare che le cose vadano per come devono andare e dando modo a se stessi di ricomporre la propria autostima e ricominciare la propria vita senza quella persona. Quest’ultima è una fase molto delicata, che richiede più tempo per essere affrontata.
Diverso è il caso della fine di un rapporto con un Narcisista Patologico
Questo tipo di rapporto è caratterizzato da una moltitudine di separazioni, nella convinzione che quella sia “l’ultima volta”, con successive riprese del rapporto o illusioni di nuovi inizi in cui si resta realmente in contatto ma in condizioni di sospensione e ambiguità altrettanto devastanti. L’elaborazione del lutto in questi casi diviene quindi più complessa e alle 5 fasi sopradescritte se ne aggiungono 3.
La prima fase in cui ci si trova è di Totale Devastazione
shock, incredulità, senso di vuoto, autocolpevolizzazione rispetto all’abbandono e a quanto accaduto, ci si sente spossati e incapaci di compiere azioni o faccende ordinarie. Si può cambiare anche fisicamente e ci si sente come drogati. Si ha il desiderio di lui ma la consapevolezza di non poterlo avere. Possono emergere idee suicidarie insieme a ossessioni e comportamenti volti a spiare, pedinare e controllare l’altro nel tentativo di scoprire se la causa della separazione è un’altra persona (ciò avviene perché il rapporto con un NP è caratterizzato da continue bugie e tradimenti, e in questa fase si riescono spesso ad ottenere diverse dolorose verità in merito). Dopo la Negazione vi sono altre due fasi peculiari: Istruzione e Dubbio, caratterizzate dal cominciare a rendersi conto del volto reale della persona con cui si è avuto a che fare. Si cercano ovunque informazioni sul narcisismo e ci si chiede se il proprio ex partner è proprio un NP, si passa dalla svalutazione all’idealizzazione, ci si sente confusi e ci si chiede come si è potuti cadere così in basso e non accorgersi di cosa stava accadendo. È qui che subentra infine la fase del “Cercare di capire lo psicopatico”: sapere che il proprio ex è un NP non è sufficiente, serve infatti riuscire a entrare nelle loro menti contorte, nel loro modo distorto di percepire il mondo, e comprendere i meccanismi sottili adoperati dentro la relazione. Ci si rende conto di non essere mai state amate realmente, di essere state raggirate e tradite proprio da coloro di cui ci si fidava e di aver agito in modo assolutamente diverso rispetto a qualsiasi altra relazione avuta in precedenza. Ci si sente disgustati e si riescono a mettere in ordine quei pezzi di puzzle che rendevano tutto caotico e confuso. In mano ad un NP si diventa purtroppo burattini manipolati e ogni loro azione e conseguente reazione nelle partner è calcolata e intenzionale. Dopo tale presa di coscienza si può proseguire con le fasi suddette di elaborazione del lutto fino all’Accettazione.
Chi ama, spesso, si fa calpestare ma continua per quella via dolorosa, come se l’amore che prova la intrappolasse in una rete di giustificazioni, di diritti asfissiati, nel proteggere non se stessa ma il partner. Perché?
“Donne che amano troppo”
così le chiama Robin Norwood nell’omonimo libro per sottolineare la tendenza di chi sviluppa una dipendenza affettiva e pone se stessa in secondo piano al fine di compiacere l’amato che diviene il fulcro attorno cui ruota la propria vita. A rendere più vulnerabili donne (ma anche uomini) nello sviluppare tale forma di dipendenza vi sono alcune caratteristiche di personalità: parliamo di persone particolarmente empatiche, positive, leali e sensibili, che hanno al contempo una bassa autostima e la tendenza a criticare o colpevolizzare se stesse per i vari accadimenti, giustificando di contro l’agire altrui (a volte proprio ingiustificabile a un occhio esterno). Nei casi più estremi in cui, nonostante siano sopravvenute violenze fisiche, la vittima continua a provare sentimenti positivi verso l’aggressore, si può parlare di Sindrome di Stoccolma. Quest’ultima viene considerata un meccanismo inconscio che protegge la vittima da uno stato di shock per quanto le stia accadendo facendola identificare con l’aggressore e sviluppando un senso del “noi” contrapposto al mondo esterno e finendo per far giustificare, allearsi e proteggere il proprio aguzzino. Tale Sindrome è conosciuta per essersi verificata anche in casi di rapimento.
Qualche consiglio pratico per ricominciare e tornare ad amare
Sia che la storia finita fosse sana o patologica, l’importante è ripartire da se stessi, ricentrare il focus su di sé al fine di riattivare le proprie risorse, raccogliere i cocci e riprendere a vivere, raccomanda la psicoterapeuta. Sebbene venga naturale chiudersi a riccio, cosa che in un primo momento può essere funzionale, risulta invece essenziale la condivisione delle proprie emozioni (siano esse di rabbia o tristezza) con le persone con le quali si hanno delle relazioni affettive positive e che possano fungere da sostegno. La condivisione deve comprendere anche l’apertura a momenti di svago: uscire con gli amici, coltivare hobby e praticare qualche sport. Quest’ultimo in particolare non è da sottovalutare poiché l’attività fisica stimola la produzione di endorfine e serotonina che favoriscono il buon umore e riduce il livello di cortisolo nel sangue, ormone coinvolto nello stress e nella depressione. A volte si cerca di scacciare le emozioni negative buttandosi a capofitto in nuove storie o avventure al fine di fare “chiodo scaccia chiodo”, tuttavia – rivela la dott.ssa La Porta – tale strategia non serve, anzi finisce per spingere ancora più a fondo il chiodo originario che si intendeva eliminare, lasciando solo un grande senso di vuoto e ingrandendo la ferita che dovrà comunque essere curata attraverso un’adeguata elaborazione del lutto. Bisogna vivere le emozioni che la rottura di una storia d’amore comporta e non cercare di sfuggirvi, anzi è auspicabile poter trasformare il proprio vissuto e la propria storia in esperienza, attraverso l’accettazione di quanto avvenuto e della fine della storia stessa. Ritornare ad amare e rifarsi una vita sentimentale è quindi assolutamente possibile, positivo e risulta essenziale il poter maturare e imparare dalla sofferenza provata.
Molte coppie restano in contatto dopo essersi lasciate. In realtà, sebbene sembra rendere più leggero il distacco, questo porta a prolungare la sofferenza di chi subisce la separazione poiché si nutre sempre la speranza di un ritorno e non si riesce a procedere nelle fasi di elaborazione del lutto. Ciò è quanto mai vero soprattutto nei casi di relazioni patologiche dove invece diviene condizione necessaria l’interruzione di ogni forma di contatto, sia essa reale, virtuale o telefonica, compreso il cerare informazioni sull’ex partner o il parlarne ancora dopo le prime fasi (in cui è utile e funzionale), finendo così per ravvivare il dolore e impedire un distacco emotivo e psicologico ancor più complesso nei casi di dipendenza affettiva, per i quali si consiglia di rivolgersi a un professionista esperto nel settore.
Via il senso di colpa: la sofferenza non si merita
Il senso di colpa presuppone già l’addossarsi la responsabilità della rottura e quindi di meritare in qualche modo la sofferenza che essa produce, ciò comporta da un lato il pensare di avere il potere di far tornare indietro l’amato, dall’altro espone a dosi maggiori di afflizione, ansia, illusione e delusione. Il più delle volte la responsabilità della fine di una storia d’amore è di entrambi. Stando insieme si cresce, si evolve e si può cambiare in maniera divergente rispetto all’altro con cui non si va più d’accordo, non si condivide più nulla o finisce proprio il sentimento che aveva inizialmente unito. Alcune volte può accadere che avvenga qualche episodio eclatante che determina la rottura e che la responsabilità verta maggiormente su uno dei due, il quale, rendendosi conto di ciò (all’interno di una relazione sana) cerca di rimediare, indipendentemente dall’esito che ciò avrà. In alcune situazioni – descrive la psicoterapeuta – parlando di relazioni con narcisisti patologici, il senso di colpa viene indotto attraverso la manipolazione e risulta devastante in soggetti che già tendono a svilupparlo per una naturale propensione a mettere se stessi in discussione, criticarsi e giustificare l’altro, aspetto questo molto legato ad una propria insicurezza di fondo oltre che a una spiccata abilità empatica e vena altruistica. In questi casi è vitale rendersi consapevoli delle manipolazioni subite, riuscire ad uscire fuori da questo gioco e lavorare su se stessi per ristabilire la fiducia in se stessi e negli altri che risulta essere gravemente compromessa.
Si dice che questo sia un passaggio obbligatorio per tutte le donne, che almeno una volta nella vita accada a tutte quante.
L’amore sembra ferire con una benda sugli occhi, prescinde dalla singola identità femminile
Ma è possibile che vi siano invece donne maggiormente soggette al raggiro, alla delusione, all’essere calpestate per mancanza di autostima, perché cedono maggiormente alla dipendenza emotiva?
Per fortuna non tutte le donne finiscono invischiate in relazioni patologiche, come già detto esistono alcune caratteristiche che combinate insieme rendono più vulnerabili: grande empatia, lealtà, positività, altruismo, generosità insieme a una scarsa fiducia in se stesse e alla ricerca – idealizzata – del principe azzurro. I NP scelgono con cura le proprie prede in base a quanto pensano di poter ottenere da loro in termini di carburante narcisistico, e quindi a quanto saranno soggetti manipolabili e controllabili. Spesso l’aver avuto un genitore con un disturbo narcisistico di personalità rende più probabile il ritrovarsi all’interno di relazioni con persone che hanno caratteristiche familiari, in tal caso, purtroppo, narcisistiche. Ciò non toglie che questo non è un fattore determinante, quanto piuttosto un fattore di rischio che se viene portato alla coscienza può diventare invece un fattore protettivo, evitando di imbarcarsi in relazioni con NP, riconoscendone i tratti per tempo. Può accadere inoltre che anche donne che hanno un’autostima abbastanza solida possano incappare in relazioni patologiche se si trovano ad affrontare particolari momenti della propria vita in cui risultano più vulnerabili e fragili, dato che i NP riescono a fiutare tali stati e ad approfittarne. Le relazioni patologiche – ribadisce la dott.ssa La Porta – non sono prerogativa unicamente femminile, esistono infatti uomini che si ritrovano in situazioni analoghe e ne patiscono altrettanto le sofferenze dovute sia alle peculiarità del rapporto patologico sia alla rottura di esso.
La Dr.ssa Silvana La Porta ha conseguito nel 2007 la Laurea in Psicologia presso l’Università degli Studi di Palermo e nel 2014 si è specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale presso l’ Istituto TOLMAN di Palermo. Ha partecipato al Corso in EMDR di I e II livello, efficace soprattutto nel trattamento del disturbo post traumatico da stress. Si occupa prevalentemente di disagio psicologico sia nei minori che negli adulti, disturbi d’ansia, depressione, problematiche legate alla sfera emotiva, terapia di coppia e familiare sia ad Agrigento che a Palermo. Ha approfondito sia con i suoi studi che nella sua pratica clinica le tematiche legate ai disturbi di personalità con particolare riguardo al Disturbo Narcisistico di Personalità e alla Dipendenza Affettiva.