È un dato di fatto: l’evoluzione umana è stata rapidissima e di pari passo con l’evoluzione della comunicazione. Il salto di qualità, che dalla preistoria ci ha fatti rimbalzare nella Storia, è stato proprio dovuto alla scrittura. Da quel momento in poi, l’estro umano le ha provate tutte per facilitare la comunicazione sia orale che scritta, dal piccione viaggiatore alle lettere, dai geroglifici alle emoji, dai racconti orali a quelli scritti, dal citofonino allo smartphone, dal telefono a rotella al cordless, dai bicchieri comunicanti alle cabine telefoniche, dai telegrammi alle email, dai biglietti d’auguri di compleanno ai messaggi Facebook di compleanno, dai biglietti d’auguri di Natale al seriale e caloroso “Buon Natale a te e famiglia” su whatsapp. Insomma, non voglio dilungarmi rischiando di deviare il discorso su un trattato glottologico e sociologico dell’evoluzionismo umano, ma vorrei centrare subito la mia e la vostra attenzione su un mezzo di comunicazione che ha resistito al progresso dell’ultimo millennio, alle peculiarità idiomatiche di ogni popolazione e al metodo smart delle chat e dei social network. L’evergreen a cui mi riferisco è il mitico PACCO POSTALE!
Un mezzo di comunicazione immortale
Benché, nei secoli scorsi, si sia escogitato di tutto per limitare l’esodo dei meridionali del sud Italia in cerca di fortuna, il nostro pianeta, dalle Americhe alle Cine, dalla Scandinavia a Pescara, ad eccezione dei Poli perché fa troppo freddo, è pieno di siciliani, calabresi, pugliesi, lucani, sardi e campani. Anche questo è un dato di fatto. Ora, è vero che per comunicare con la famiglia d’origine ogni emigrato meridionale, negli ultimi anni, ha creato il gruppo famiglia su whatsapp in cui, a inizio giornata, si fa l’appello perché solitamente conta dai 24 ai 47 membri (che fai, il prozio Gino non lo inserisci nel gruppo?); è vero che i tuoi genitori hanno imparato a farsi i selfie perfetti utilizzando il bastone della scopa per augurarti buon compleanno; è vero che tu, emigrato che hai figliato “all’estero”, senti l’urgenza e l’ansia di fotofilmare ogni minimo progresso di tuo figlio, anche la prima cacca nel water, per rendere partecipe la tua famiglia d’origine; è vero che i messaggi vocali del gruppo vengono registrati solo ed esclusivamente nel dialetto locale perché “certe cose” sono più incisive se intraducibili; è vero che tutti questi elementi aiutano il meridionale in trasferta a mantenere viva la comunicazione con le proprie origini, però, e c’è un grande però, il calore della cassa di arance siciliane, della soppressata e della salsiccia, dei taralli e dell’olio di casa, del pane carasau e della pastiera, solo con il pacco postale può giungere a destinazione.
Le care vecchie “poste”
Bisogna seguire delle direttive rituali, quasi da manuale antropologico, per preparare un pacco postale, sia che parta dal Sud sia che parta dal Nord per andare verso Sud, sì perché, grazie alle nuove ed efficacissime regole dei voli low cost per cui i kg da imbarcare a mano o in stiva si aggirano intorno al peso di un’infornata di lasagne della domenica, il meridionale che deve “scendere giù”, spesso, deve preannunciare la sua venuta con un pacco postale.
Tutto inizia con la ricerca della scatola perfetta, delle dimensioni adatte a ciò che dovrà contenere, ed ecco che, un paio di settimane prima della spedizione, ci si aggira furtivamente intorno ai negozietti sotto casa, prendendo appunti sugli orari di scarico e carico merci se sei alla ricerca di una scatola piccola e facilmente reperibile, altrimenti sarà necessario ripiegare sulla zona magazzini dei grandi supermercati o, meglio, dei grandi distributori di elettronica. Proprio lì, nei retrobottega dei centri commerciali, potrai trovare la mitica scatola adatta alle tue capienti esigenze, lo capirai subito, basterà un’occhiata che ti folgorerà come un colpo di fulmine.
Il trofeo
La scatola, quindi, viene portata a casa come un trofeo e, da subito, viene riempita con maniacale cura, inserendo ogni minimo tassello come se giocassi a Tetris, in un incastro perfetto secondo cui:
– gli oggetti fragili vengono avvolti da 4 strati di carta da giornale e 24 strati di carta pallina con una cura simile a quella necessaria a mummificare gli antichi faraoni egizi;
– gli oggetti morbidi (mutande, calze, maglie di lana e sciarpe all’uncinetto della nonna) vengono sistemati in modo da fungere da paracolpi agli oggetti fragili, in caso i 10kg d’imballaggio avvolgente non dovessero bastare;
– gli alimenti saranno necessariamente sottovuoto e avvolti da una coperta isolante per non far “impuzzolentire” gli oggetti di cui sopra.
– l’horror vacui delle zone vuote del pacco sarà prontamente riempito dai fogli del quotidiano locale, facendogli pure un favore dato che cosi andrà in trasferta e verrà anche letto fuori dai confini comunali, provinciali e regionali.
Infine, l’imballaggio conclusivo. La carta da pacchi avvolgerà la scatola in partenza con un’eleganza che renderà raffinato anche l’orribile color marrone del grosso nastro adesivo. Le pieghe perfette e stirate saranno il degno cappotto di un contenuto riposto con cura e precisione certosina e riuscirà, persino, a resistere alle manovre non sempre fragili a cui inevitabilmente sarà sottoposto durante gli 800km e più di viaggio che dovrà percorrere. La partenza del pacco, poi, sarà accompagnato da una stretta al cuore e un nodo alla gola di chi l’ha spedito: se diretto al Sud, il mittente incrocerà le dita affinché arrivi prima di lui, altrimenti non potrà smistare i regali comprati ai parenti del gruppo whatsapp; se diretto al Nord, invece, l’emozione della partenza del pacco sarà legata al fatto che il mittente (mamma/nonna) ha dimenticato di mettere il barattolo di caponata!
Arrivi, partenze e “rimanenze”
In questi giorni pre e post natalizi è stato un trionfo di partenze, arrivi e pacchi spediti, in cui si è anche inserita la polemica dello spot Conad girato da Salvatores condito da tutti gli stereotipi della partenza imminente di un “cervello in fuga”.
Una polemica incentrata sulla figura della mamma meridionale, che è l’unica ad esprimersi in dialetto e che infila un caciocavallo nella valigia del figlio: beh, è facile cadere in certi stereotipi quando non si fa parte della cultura meridionale (da qui la critica a Salvatores, regista del Sud che ci ha regalato tanti successi legati alla sua terra, ma che in due minuti di spot sembra aver perduto tutto il suo affascinante estro creativo). È vero, qualsiasi genitore assiste con tristezza e rammarico alla partenza di un figlio, soprattutto se una terra ricca di possibilità come lo è il Sud non crea le condizioni adatte a quello che dovrebbe essere un suo naturale sviluppo, ma, è anche vero che quegli stessi genitori accompagneranno con uno sguardo di orgoglio la partenza di un figlio che ha trovato in un’altra città o in un altro continente un terreno fertile alle proprie potenzialità o esigenze.
Il rito del pacco postale
Nell’allestimento di un pacco postale così come nel caciocavallo riposto in valigia, non bisogna vedere soltanto la sconfitta di un Sud rimasto indietro con i tempi, ma il desiderio naturale e spontaneo che ogni genitore ha di accudire il proprio figlio comunicandogli il calore di casa, e di provare a trasmetterlo ai propri nipoti, che, vi assicuro, attenderanno quei pacchi come se fosse Natale ogni giorno dell’anno.
Salvatores ti lancio un appello
Salvatores, ti lancio un appello: mi rendo disponibile a girare il sequel dello spot mostrandoti tutte le fasi preparatorie di un pacco e del suo contenuto che compie il viaggio inverso, verso la Sicilia. Ti renderai conto, ma credo che tu lo sappia già, che seppur lontana dalla mia terra natia da quasi vent’anni, in un gesto semplice, quale l’invio di un pacco postale, c’è tutta la forza del messaggio antico e sincero del mio amore incondizionato e senza stereotipi per il Sud.