Durante le vacanze il tempo scorre a modo suo. Si restringe e si dilata a seconda che si inciampi nella felicità o nei suoi tanti opposti.
Stamani, assonnata dopo una notte di chiacchiere e ricordi familiari, mi arriva un “trillo” sul telefono.
Devo andare in ospedale. Una “chiamata” inattesa. Lì per lì una sorta di seccatura. Perché oggi è il 31 dicembre ed è uno di quei giorni, che deve rispondere presente all’appello dei momenti felici. Devo prepararmi in fretta, essere quantomeno presentabile, infilarmi nel traffico di piazza Indipendenza a Palermo, cercare un parcheggio, evitando le decine di divieti di sosta. Non ne ho voglia. Ma devo. Si tratta di un appuntamento di lavoro con un medico, di un chiamata attesa da tempo ed arrivata in un giorno in cui, generalmente, le chiamate sono solo quelle che suonano di “Auguri a te e famiglia”. A Palermo oggi fa freddo. Forse per la prima volta da quando è arrivata la stagione del freddo. Io, come mi succede spesso, non ho l’abbigliamento adeguato. O mi copro troppo o troppo poco.
La lentezza del Capodanno
Metto su un cd di Pino Daniele e mi installo tra le strofe del mio più grande amore (musicalmente parlando). La strada è sgombera. Non vi è ombra di traffico. In ospedale arrivo nel giro di 8 minuti esatti: praticamente un miracolo. Trovo un parcheggio sotto il reparto di Ginecologia. Vado a passo spedito e imbocco il solito corridoio. Devo aspettare un po’, prima che arrivi il medico, che deve consegnarmi una relazione per un’intervista. Un quarto d’ora, forse trenta minuti. L’attesa è spesso un inconveniente, difficilmente le si dà l’onore di essere un’opportunità. Non oggi però. È l’ultimo giorno dell’anno, io avevo previsto una colazione lenta e fumigante con mio figlio, poi un fiaba sonora e “se resta” tempo una merenda goduriosa in qualche bar del centro. Una giornata “vuota” da poter riempire dei piccoli lussi che adoro.
Tra le corsie del reparto Maternità
Mi sono ritrovata invece tra le corsie di un ospedale. Avrei potuto sganciare auguri saltellando tra Fb e WhatsApp. Invece ho pensato di osservare e di osservarmi. Ho visto una famiglia schierata davanti a un ascensore, con negli occhi lo sguardo di chi aspetta. Erano almeno una decina: una bella ragazza ancora adolescente, quattro signori di mezza età, increduli, impauriti, felici e non so cos’altro. Poi la meraviglia. Si apre l’ascensore e sbuca una barella carica di felicità. La spinge un ragazzo stanco ed esattamente felice. Sulla lettiga i beni più preziosi del mondo: una mamma che ha appena dato la vita e il suo piccino. Ho gustato quella scena, che la vita mi ha regalato senza che io ne avessi merito. Ho visto quelle dieci persone stringere l’amore: nei loro abbracci reciproci, negli sguardi verso quel fagotto, nella gratitudine per quella giovane madre, autrice dello sforzo e del miracolo più grande. Mi sono sinceramente commossa. Ho pensato alle declinazioni dell’amore, che è fatto di attesa, dolore, felicità immediate, estreme e mai troppo lunghe.
Capodanno in Utin
Poi sono passata davanti al reparto di Terapia intensiva neonatale. Un portone inaccessabile al “mondo” che custodisce i bimbi più belli del mondo. Ho incrociato un paio di genitori con i camici verdi. Lì ho riconosciuti, senza averli mai visti. Ho acciuffato la loro paura e la loro speranze. Le ho ricordate e mi è battuto forte forte il cuore. Ho provato un’emozione importante. Di quelle che ti capitano di rado e solo quando pensi a tutt’altro. I reparti di Maternità, le Utin, sono tabernacoli. Lì contempli e non serve altro. Questo è stato il mio 31 dicembre e forse non poteva essere diversamente. Chiudiamo oggi l’anno che ha visto nascere A tutta Mamma. Un anno ricco di tante cose, denso di incontri, di storie, confronti, conferme e anche qualche critica edificante. Siamo nate come un sito web dedicato alle mamme, siamo diventate un giornale dedicato alle donne. Grazie a chi ci sostiene, ai curiosi, a chi ci regala stimoli. Auguri a tutti. Buon fine anno e che sia un 2019 così per come lo desiderate. Auguri!
Ps: grazie al dottore (lo stesso che, peraltro, ha fatto nascere mio figlio, che oggi, con quel suo trillo inaspettato, mi ha regalato questa piccola felicità).