Le mamme della Tin sono mamme prese alla sprovvista dalla vita. Avevano preparato il nido come tutte le altre: i primi vestitini per il loro piccolo, i palloncini, i confetti, la cameretta calda calda. E invece sono diventate mamme quando non se lo aspettavano. Prima del tempo e prima che loro stesso fossero pronte a nascere al ruolo più ancestrale della vita.
Le mamme della Tin le riconosci subito
Ciondolano nei corridoi dell’ospedale con lo sguardo smarrito e contano i minuti che li separano all’ora x. Varcare la porta miracolosa, quella che li separa dallo scrigno che custodisce tanti minuscoli guerrieri di pochi etti di peso.
Non hanno confetti da offrire a medici e infermieri e nella loro stanza di ospedale non hanno bimbi da ninnare, sebbene il latte sgorghi già abbondante dai loro seni.
Hanno mille e più pensieri per la testa, ma quando agganciano gli occhietti del loro bambino, ritrovano tutte le certezze.
Ingoiano lacrime e a ciascuna danno il giusto peso. In futuro impareranno a piangere solo quando necessario, perché nel lungo cammino verso “la luce del sole” sanno che dovranno essere forti, che ci sarà poco tempo e poco spazio per il pianto.
Le mamme della Tin sono tutte amiche, anche se si sono conosciute appena. Si confidano ogni cosa, si confortano a vicenda e fanno un tifo sfegatato, l’una per il figlio dell’altra. Si abbracciano e si consolano senza troppe parole e si vogliono bene, pur sapendo poco o nulla di chi sta loro a fianco.
Nel reparto di cristallo, loro sono donne d’acciaiO
Comprendono bene il senso del “maneggiare con cura” e hanno imparato da tempo parole, che oggi tutti conosciamo: dispositivi di protezione personale, lavaggio frequente delle mani, distanziamento.
Sono esattamente felici per ogni grammo in più di peso del loro bambini e iniziano ad apprezzare le unità di misura piccine, perché sono quelle che scandiranno il percorso verso la “vita di fuori”.
Alle mamme della tin batte forte il cuore il giorno in cui si sentiranno dire: “Signora porti pure la tutina per suo figlio, ma mi raccomando che sia una zero mesi plus.”
Prima di quel momento avevano acquistato un corredino di tutto punto, con le taglie canoniche, ed eccole invece a caccia di vestitini minuscoli, che pure saranno grandi, addosso ai loro bimbetti pelle e ossa.
Le mamme delle Tin contemplano quel fagottino, che non somiglia per nulla al neonato “da pubblicità”, che hanno immaginato carezzandosi il pancione. Eppure, quel piccolo guerriero tutto ossa, sembrerà loro il capolavoro più bello dell’umanità.
C’è un segreto che condividono tutte le mamme della Tin: i bimbi prematuri sono i primi a sorridere. Come sia possibile? Non è dato saperlo. Qualcuno sostiene che chi lotta con tutte le forze per conquistare la vita, sa apprezzarne anzitempo anche la bellezza invisibile ai più.
I bimbi della Tin sono come certi fiori che spuntano in alta montagna, anche sotto la neve. Sono come certo sole celeste, che fa capolino dopo la tempesta. Sono il segnale che la vita è forte e che ce la si può fare sempre.
Le mamme della Tin contemplano i loro bambini e imparano a conoscere la pazienza, a non terrorizzarsi per i lunghi follow up o durante la trafila degli esami. Sperano e lottano con i loro bambini e imparano a conoscere il senso vero dell’altruismo. Perché non esiste mamma della Tin che non faccia il tifo per il vicino di incubatrice del suo bambino. Anche quando questi si rimette in forza prima del suo piccolo. Ho conosciuto una mamma di Tin con un bambino minuscolo, che aveva davanti ancora una strada lunga. Quando il mio piccolo è stato dimesso, mi ha abbracciato forte e guardando il mio bambino gli ha sussurrato: “Bravo campione, esci e non tornare più. Aspetta fuori il tuo compagno Alberto, farete tante cose belle insieme.”
Questo e molto altro sono le mamme della Tin, ma non saranno mai tanto quanto i loro guerrieri, che hanno remato forte nel mare in tempesta, che hanno sorriso anzitempo grati alla vita.
Ps: Nella giornata dedicata ai bambini prematuri, un grazie di cuore al personale medico e paramedico delle Utin di tutta Italia e in particolare, per quanto mi riguarda, a quella dell’ospedale Civico di Palermo, diretta dal professore Marcello Vitaliti.