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La “Stranezza” di Pirandello e di quella compagnia di provincia

Un film, dei ricordi e l’arte, che dovrebbe essere sempre al posto d’onore

Non so se la Stranezza sia un grande film. So che mi ha fatto battere il cuore dal primo all’ultimo minuto.

Pirandello è di Agrigento e noi, gente di quelle parti, ci “cassariamo” all’idea di un genio nato alle nostre stesse latitudini. Gli agrigentini, vuoi di città vuoi di provincia, siamo velleitari. Ci riempiamo la bocca “che dalle nostre parti sono nati Pirandello, Sciascia, Camilleri. E prima ancora i greci, che inventarono la cultura, mentre altrove si viveva dentro le palafitte.” Cosa rimane di tutto ciò non è chiaro, ma noi siculi, che incarniamo a regola d’arte il paradigma pirandelliano, ci trastulliamo di questa rendita e va bene così.

Appartengo a quella generazione di bambini che sapeva di Pirandello perché, a primavera, si andava a fare una gita al Kaos, dove ogni cosa ha l’odore del maestro.

I miei genitori lavoravano in città e capitava che in certe giornate di aprile ci portassero a fare uno “schiticchio” nella piazza davanti alla “casa natale”, e li facevamo un pic nic con quel che c’era. Quindi scendevamo lungo un viottolo di fortuna e arrivavamo al punto più bello, dove Pirandello scelse di riposare per godersi il panorama migliore dell’umanità. In quel ventaglio di terra provi a guardare l’orizzonte, ma questo pare non arrivare mai, tanto è vasto il punto di vista del mare. La prima volta che visitai la casa di Pirandello, avrò avuto manco dieci anni, mi soffermai sulla sequela di foto appese alle pareti. Alcune ritraevano il maestro insieme a una donna elegante. Chiesi chi fosse e qualcuno che si trovava lì mi rispose che era “un’attrice ed anche l’amante”. Compresi che c’era di mezzo cuore e sentimento e mi bastò.

Pirandello, a scuola, andrebbe studiato di più

 

Rimango grata alla mia insegnante di Italiano alle medie, la carissima prof. Franca Turco, che ci educava con dovizia alla lettura. Portava da casa pile di libri di narrativa e quando era il momento di scegliere mi sentivo esattamente felice. Tra i volumetti mi capitò anche una versione semplificata di “Novelle per un anno”. La divorai nel giro di poche notti e mi incantai a leggere “La malaluna”.

Nelle sere d’estate di luna piena, in campagna, alle Serre, mi sono chiesta più volte se il lupo mannaro esistesse davvero e non nego che questa domanda me la faccio ancora.

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Peccato che “nelle scuole alte” di Pirandello ho sentito parlare poco, perché era un autore messo in coda al programma. Questo è un controsenso al quale mi auguro si sia posto rimedio.

Ricordo con tenerezza quel panorama sul quale si affacciava la finestra della nostra terza D del classico Empedocle: c’era il mare e prima di questo la fronda accogliente del pino di Pirandello (che il vento, un giorno, decise di portarsi via per sempre, lasciando povero il panorama di noi liceali). Io, timida, solitaria e sognatrice, lo guardavo ogni mattina, immaginando il Genio seduto sotto quel pino a scrivere cose dell’altro mondo. Mi eccitava sapere che con un premio Nobel alla Letteratura potevo condividere quantomeno lo stesso suolo da calpestare

Scoprii in quel periodo che Pirandello aveva studiato nel mio stesso liceo. Ne ebbi notizia la volta che salii al piano della presidenza, per spicciare in segreteria una faccenda legata all’abbonamento del bus. Incrociai il severissimo preside Cuffaro, che autoritario mi chiamò senza manco sapere chi fossi, ma sol perché gli ero capitata sotto tiro: “Signorina venga qua!”

Tremai, ma il signor preside volle solo stupirmi, mostrandomi le pagelle incorniciate di Luigi Pirandello.

Non c’era sentore di voti alti, tutt’altro. Ricordo più d’una insufficienza e non vorrei sbagliare che una di queste figurasse proprio in italiano.

A dimostrazione che il talento non lo confini dentro un numero. Che il genio prevale sugli schemi.

Quello era anche il tempo di chi, fuori dalle mura scolastiche, mi ha fatto conoscere ed amare Pirandello.

La piccola compagnia teatrale, che faceva cose grandi

Ero ragazzina e al mio paese tra i colli, a Casteltermini, c’era una compagnia teatrale degna di grandi palcoscenici. Era “La piccola ribalta”, che coltivava con passione il buon teatro e che metteva in scena certi drammi pirandelliani da scaturirne battimani e pubblico in piedi. Avevano il quartiere generale nella chiesa sconsacrata di Sant’Antoninio, sulla piazza principale del paese.

Era una compagnia di provincia, ma aveva una volontà e una dedizione da fare cose in grande.

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C’erano dei talenti, su tutti il caro Fabrizio Giuliano, che era un caratterista di classe. Lo vedevi sul palco e lo avresti immaginato per direttissima dentro una pellicola di Tornatore o dello stesso Andò. Che, se le cose fossero andate diversamente, lo avrebbe voluto di sicuro  nella sua “compagnia della Stranezza”.

Dicevo della Piccola ribalta, negli inverni senza fine di provincia preparava i suoi lavori nel piccolo teatro di Sant’Antonino, con l’occhio attento di Stefano Licata,  il regista, l’appassionato (che poi è stato anche sindaco assai capace del paesino). Mesi di lavoro in vista del trionfo estivo. Era il premio Enzo Di Pisa, una rassegna teatrale con tutti i crismi, dedicata a quell’artista mai dimenticato, che perse la vita nel disastro aereo di Punta Raisi. Nell’atrio dell’antico palazzo scolastico, ecco un teatro all’aperto, la platea e la tribuna. La gente per accaparrarsi un posto andava a fare la fila nottetempo.

Che tempi belli furono quelli per il mio paesino tra i colli. Si spegnevano le luci e si apriva il sipario. A emozionare il pubblico erano compagnie di ogni parte d’Italia e fior fior di attori: Jannuzzo, Franco Catalano, Tuccio Musumeci, la compagnia dei De Filippo e tanti altri.

L’amore per Pirandello

In cartellone Pirandello c’era sempre e sovente era proprio la Piccola ribalta a dare vita ai suoi drammi. Sul gran finale della rassegna e rigorosamente fuori concorso, ecco mettere in scena Liolà, Pensaci Giacomino, Il berretto a sonagli, Lazzaro. Era un alleluia di bella recitazione, di battimani, di scenografia fatte bene e di costumi realizzati a buon cuore dalle maestranze locali.

Io ero poco più che una bambina e sognavo, sgranavo gli occhi  e pensavo che il teatro fosse davvero una cosa bella. Pirandello era il mio preferito e su tutti mi infervorò “Pensaci Giacomino”, che mi lasciò il cuore spiazzato, la testa piena di domande e gli occhi gonfi di lacrime.

Fu per merito della Piccola ribalta e del premio Enzo Di Pisa se costruii la mia cultura personale del Genio agrigentino. Se oggi ne so parlare, se molto di lui ho letto, è stato grazie a questa buona volontà di provincia di fare arte, di divulgare cultura, di inneggiare alle cose belle.

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Mentre guardavo al cinema la Stranezza, tra le battute di quel geniaccio di Tony Servillo (entusiasmante nel ruolo di Pirandello), dei bravissimi Ficarra e Picone e della loro compagnia di paese, mi è parso per un attimo di vedere  recitare il caro Fabrizio Giuliano, ma anche la bravissima Daniela Padalino (che sul palco mi pareva una dea), Mariano Firrera ed ancora Michele Fantauzzo, Raimondo Rotolo, Rosy Signorino, Michele Di Bennardo, Tanino Maratta e tanti altri. Ho rivisto tutto il cast recitare in quel teatro all’aperto, sotto la luna d’agosto e le stelle generose dei paesini di collina, a prendersi  i battimani della gente e a far sognare i giovanissimi come me, che con gli occhi sgranati imparavano ad apprezzare l’arte e a godere della cultura. Per questo mi è battuto forte il cuore guardando La Stranezza, perché ho ripensato al mio paese tra i colli, a chi sapeva renderlo migliore, alla magia di quel sipario che si apriva e alla bellezza della platea gremita ad applaudire.

 

Ps: Ringrazio la famiglia Licata, Stefano, Giacomo e Alessandro per le informazioni e le foto che mi hanno fornito e che hanno arricchito i miei ricordi di quel bel tempo che fu. Loro ci tengono che siano nominati i tanti protagonisti di quel periodo fortunato e di quel progetto chiamato Piccola ribalta: Fulvio Galione, Giovanni Battista Salamone, Silvana e Pina Zagarrí, Santina Castiglione, Enza Butera, Vincenzo Salamone, Alessandro Licata, Liliana Bonomo, Vincenzo e Maria Rosaria Signorino, Jaqueline Scavetto e molti altri. Io ne ho ricordati, nel mio pezzo, giusto alcuni, quelli che sono rimasti impressi nella mia mente curiosa e ragazzina.

La Piccola ribalta portó in scena le sue pieces in Italia e all’estero e più volte è stata ospite nei programmi del regista Michele Guardí, che era molto vicino al premio Enzo Di Pisa e che non mancava di essere presente alla rassegna.
La compagnia ha avuto grandi riconoscimenti e lodi di pubblico e critica e ci auguriamo possa tornare in scena, con vecchie e future glorie, a godersi i meritati battimani. Nel nome si definiva “piccola”, ma ha fatto nella realtà cose grandi.

Ad maiora!

 

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