Il Covid ha reso eloquenti tante realtà, ma ne ha fatte diventare trasparenti molte altre. Si tratta dei più fragili, coloro i quali nei difficili giorni del lockdown sembrava non avessero posto tra le decisioni dei grandi. C’erano i bimbi, dei quali si parlava poco o nulla, gli anziani, ai quali si raccomandava letteralmente di chiudersi in casa e poi c’erano i ragazzi disabili. Di loro ci parla il professore Giuseppe Iacono, stimato pediatra e gastroenterologo che vive e lavora a Palermo. Oltreché un medico, Giuseppe Iacono è anche un papà amorevole. La sua Maria Pia, cieca e con handicap neurologico dalla nascita, vive da circa dieci anni nella comunità in seno alla Lega del Filo d’oro di Termini Imerese (ne avevamo parlato in questo articolo https://www.atuttamamma.net/la-lega-del-filo-doro-a-termini-imerese-una-speranza-per-i-sordociechi/. )
Da quando è scattata l’emergenza Covid, Maria Pia ha potuto vedere i suoi familiari poche volte e quando è successo hanno dovuto rispettare le regole ferree dettate dai dpcm. Nulla di strano, si penserebbe lì per lì, considerati i rischi degli ultimi mesi. Per comprendere bene la vicenda occorre però conoscere la storia e le condizioni di Maria Pia e degli altri ragazzi che vivono nella struttura di Termini Imerese.
Il racconto del professore Iacono
“I nostri ragazzi, ci spiega il professore Iacono, sono stati trattati alla stregua degli anziani che vivono nelle rsa. Un paragone paradossale. Nelle Rsa troviamo degenti di una fascia d’età avanzata, con patologie pregresse e anche gravi. Alla Lega del filo d’oro di Termini Imerese, invece, la mia Maria Pia è una delle pazienti ‘più anziane’ ed ha 36 anni, vi ho quindi detto tutto. Non basta, Maria Pia, così come la stragrande maggioranza degli altri ragazzi che vivono con lei, al netto dell’handicap, gode di buona salute, non è un soggetto immunocompromesso, né semplicemente cagionevole. Il rischio che lei possa avere complicazioni da Covid equivale allo stesso che corre una coetanea in salute e senza il suo handicap. “
Professore, cosa è successo dall’11 marzo scorso?
Dopo il noto dpcm ci è stato chiesto in prima battuta di non andare a trovare i nostri figli, in linea con quanto stabilito per le Rsa. Poi, man mano, con il passare dei mesi, ci è stato consentito di andare una volta a settimana per tre quarti d’ora, con turnazione di un solo componente la famiglia. La visita va fatta solo negli spazi esterni, dobbiamo indossare dei camici, simili a quelli che si usano nelle utin, ovviamente la mascherina e non possiamo toccare i nostri figli, dettaglio rilevantissimo quando parliamo di ragazzi ciechi, che necessitano del ‘touch’ per stabilire un contatto con il congiunto.”
Cosa ha provocato questo stato di cose?
Maria Pia, così come gli altri ragazzi che vivono la sua stessa condizione, è al centro di un percorso, che vede lo staff della Lega fare un pregevole lavoro di riabilitazione, didattica, inserimento. Cruciale é anche il ruolo di noi familiari. Per dirla in soldoni: questi ragazzi non sono parcheggiati, e mi lasci passare il termine forte. Vivono nella comunità in seno alla Lega dopo una scelta ragionata e sofferta dei genitori, che hanno scelto per loro, in luogo della limitante abitazione familiare, una struttura che possa farli progredire, che possa alimentare le loro risorse. La famiglia però gioca un ruolo cruciale. Normalmente partecipiamo a tante attività, abbiamo la possibilità di visitare i nostri figli praticamente sempre, di pranzare con loro, di vivere un regolare rapporto genitore/figlio, che è necessario nel loro percorso umano e riabilitativo. Tutto questo ad oggi non è più possibile a grave discapito degli equilibri familiari ma anzitutto del benessere dei nostri ragazzi.
Come era la sua routine con Maria Pia prima dell’emergenza Covid?
Andavo a trovarla almeno tre volte a settimana. Ovviamente potevo andare insieme a mia moglie o agli altri miei figli. Venivano spesso anche le mie nipotine. Nel fine settimana capitava anche che ci fermassimo a pranzo. Sovente, portavo Maria Pia a fare un giro in macchina, rispettando un rituale tutto nostro: ascoltavamo musica e si faceva anche merenda. Azioni apparentemente banali, ma che nel quotidiano di un ragazzo con handicap diventano determinanti. Vederle venire meno può essere davvero devastante e vanificare un lavoro lungo anni.
Maria Pia come vive tutto ciò?
Ovviamente male. I ragazzi con handicap simili al suo vivono di abitudini, che cementano certezze emotive. Lei le ha viste venire meno e quindi adesso é scombussolata. Come fai a spiegare a una persona con handicap neurologico che il papà che veniva a trovarti continuamente, improvvisamente non è più presente come un tempo? Il loro istinto li porta a un senso di abbandono, con tutte le devastanti conseguenze emotive che questo comporta. Questi ragazzi non hanno gli strumenti cognitivi/emotivi e comportamentali per passare il guado di questo difficile momento. Quindi Maria Pia vive malissimo quanto accade, noi con lei ed il rischio é quello di buttare per aria i sacrifici di dieci lunghi anni.
Come vi state muovendo per risolvere questa situazione?
Ho interpellato le parti in causa più e più volte, ma finora non siamo giunti a soluzioni. Ho bussato a tante porte, ma mi rendo conto che la burocrazia ha difficoltà a ‘fare la curva’, ad avere un atteggiamento piú plastico. Mi preme specificare, da papà ma anche da medico, che comprendo la condizione delicata che viviamo. È ovvio che le accortezze siano d’obbligo e che qualche limitazione nei comportamenti abituali deve essere posta. Quello che chiedo però è di poter vivere la mia routine familiare con Maria Pia con maggiore serenità. Tutte queste limitazioni andrebbero stemperate, cosicché ci sia concesso di tornare a essere famiglia, anche all’interno di questa preziosa comunità che per i nostri ragazzi é casa, scuola, cura, scrigno e luogo dove imparare a crescere e migliorare al di là dell’handicap.