La solitudine dei nostri ragazzi. È una frase malinconica, che però è diventata una delle certezze di questo periodo pandemico. Appena un anno fa lo scenario era agli antipodi rispetto a quello che stiamo vivendo. I giovani avevano una vita normale: frequentavano scuola, palestra, piscina, feste. Ovviamente da lì scaturiva confronto, primi amori, litigi, grandi amicizie. C’era già allora una presenza forte della realtà virtuale, dei social in particolare. Questo pezzo di intrattenimento occupava una parte ampia nella vita dei ragazzi, oggi questa stessa porzione di tempo rischia di diventare totalizzante. La pandemia ha allungato le distanze, dimezzato i rapporti umani e incrementato le solitudini, tra queste sicuramente quella dei nostri ragazzi. Le conseguenze sono diventate tangibili: aumento di ansia e depressione tra i giovanissimi, financo qualche caso di suicidio. Cosa sta succedendo? Come aiutare i nostri ragazzi? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Alba Calderone, psichiatra e dirigente medico all’azienda Ospedaliero-universitaria Pisana.
Dottoressa, La solitudine da Covid che colpisce i nostri ragazzi. Cosa sta accadendo?
Purtroppo il lockdown, dovuto a questa emergenza sanitaria, sia per noi adulti (smartworking, lavoro in remoto) che per i nostri ragazzi, ha rappresentato un nuovo modo di vivere e di lavorare mai sperimentato fino ad adesso. Gli adulti tuttavia hanno una personalità ormai strutturata e pertanto più facilmente adattabile a tali cambiamenti. L’impatto maggiore è avvenuto proprio nei nostri ragazzi in particolare negli adolescenti. Questo è spiegato dall’importanza di questa delicata fase della vita dei ragazzi. È un fase di grandi cambiamenti in cui cambia il corpo per via dell’aumentata produzione degli ormonali sessuali, ma cambia anche l’atteggiamento dei giovani che tendono progressivamente a staccarsi dalle figure genitoriali per ‘scoprire’ una nuova autonomia. È un cambiamento che necessita di un approfondimento delle relazioni interpersonali siano esse scolastiche che in altri ambiti sociali. Le amicizie, durante l’adolescenza, hanno una grande importanza in quanto vanno a colmare quel vuoto affettivo dovuto al distacco dai genitori e allo stesso tempo a supportare il distacco stesso. In questo modo il ragazzo puo’ mettersi alla prova e sperimentare per la prima volta comportamenti e scelte in autonomia. Questo cambiamento porterà piano piano alla costruzione della personalità, ma per fare questo è necessaria la socialità, il confronto non solo con i genitori ma anche con altri ragazzi e con altre figure adulte. La capacità di costruire rapporti interpersonali sia d’amicizia sia di profondo affetto fino ai primi innamoramenti necessita di un confronto vero, reale, dove le emozioni si possono percepire non solo attraverso uno schermo.
Le emozioni infatti si traducono in gesti, in quel contatto quotidiano, che è assente o almeno lo è in buona parte in questa situazione.
I ragazzi non possono fare queste esperienze che, oltre ad essere alla base della loro formazione personale, rappresentano una vera pulsione, un’esigenza ‘fisiologica ‘. La mancanza di questo confronto si concretizza in un senso di vuoto e di difficoltà nella costruzione della propria personalità, della propria autostima e identità sociale ed è proprio questo vuoto esteriore e interiore che fa scaturire profondi sentimentidi tristezza e di solitudine.
Quali i campanelli d’allarme a cui stare attenti?
I bambini più piccoli pur avendo minori capacità dialettiche tuttavia esprimono in maniera più chiara sebbene aspecifica il loro disagio attraverso capricci, comportamenti aggressivi, crisi di pianto, insonnia. Il mondo degli adolescenti è più complesso. Il disagio del ragazzo è più difficile da riconoscere e spesso volutamente celato. Nei giovani si possono avere sintomi emotivi comportamentali ma anche sintomi fisici. Può emergere una tendenza alla passività, all’autoisolamento prediligendo atteggiamenti di chiusura come rimanere nella propria stanza senza cercare i confronto con le altre figure familiari. Può essere presente insoddisfazione, mancanza di stimoli e apatia con disimpegno e disinteresse ad esempio verso lo studio oltre a difficoltà di concentrazione fino al vero e proprio evitamento. Sono spesso presenti alterazioni del ritmo del sonno come ipersonnia o insonnia. Tra i sintomi fisici possono essere presenti cefalee, somatizzazioni al livello gastrointestinali e astenia marcata.
Tali sintomi possono risolversi nel tempo o evolvere in situazioni più gravi come, più frequentemente, comportamenti di insubordinazione, autolesionismo, disturbi d’ansia, sia essa prestazionale critica o generalizzata oppure disturbi depressivi e alimentari.
Quali evidenze abbiano circa la crisi dei nostri ragazzi?
Ad oggi sono emersi vari dati a livello sia nazionale che internazionale che hanno dimostrato un incremento delle patologie psichiatriche durante la pandemia sia negli adulti che nei giovani. I disturbi più rappresentati nei bambini e negli adolescenti sono disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi comportamentali e dell’attenzione.
Quali pilastri emotivi stanno mancando ai nostri ragazzi?
Sicuramente la principale grande mancanza è la socialità intesa sia in ambito scolastico che nell’ambito delle amicizie. Dall’aggregazione al confronto in ambito scolastico alla solitudine dei computer della cameretta. Viene meno il pilastro alla base dell’esigenza della natura dell’uomo in particolare in una fase così delicata ovvero il contatto umano. L’aspetto più importante della scuola, oltre a quello educativo e di insegnamento è proprio il confronto che stimola i ragazzi a combattere con le proprie insicurezze e a costruire la propria identità sociale. Manca la costruzione di rapporti e relazioni significative fatte di dialogo e scambio in luoghi comuni di partecipazione condivisa. Il confronto stimola ad affrontare le insicurezze e a smussare quegli aspetti emotivi così intensi nei giovani e talvolta esperiti con sofferenza. In un periodo così colmo di cambiamenti anche la stessa quotidianità fatta di ritmi scolatici, impegni ed incontri rappresenta un pilastro, un importante fattore di stabilità. La quotidianità con le sue regole e le sue certezza è un porto sicuro in una fase della vita in cui vi è spesso un certo disorientamento per i troppi cambiamenti.
Quanto é forte il rischio di abuso di realtà virtuale e perché?
Il rischio di abuso di realtà virtuale o comunque di un eccessivo utilizzo di giochi elettronici, internet o social è sicuramente più alto rispetto ai periodi ‘non covid’. Sia per il motivo più banale di tutti ovvero per una mancanza di controllo da parte del genitore, magari costretto a lavorare di presenza e quindi di lasciare per molte ore il ragazzo a casa da solo. Sia per la necessità dei giovani di colmare quel vuoto di emozioni, che sono parte integrante della loro vita. Tramite internet possono essere ricercate nuove relazioni sociali che tuttavia non aiutano a costruire la propria personalità realedefinendone gli aspetti in evoluzione ma piuttosto un ‘immagine ideale che viene raggiunta con poco sforzo e che non collima con la realtà privando i ragazzi della fondamentale accettazione di quelli che sono i propri limiti e le proprie debolezze.
In una comunità non è sempre facile essere accettati, entrare in una comunità significa confrontarsi, sfidare i propri limiti e accettarli. Entrare in una comunità social invece è molto semplice non serve mettersi in discussione, non serve superare la propria timidezza basta accendere un computer. È proprio questa facilità a determinare l’abuso di internet, in particolare dei social. Tuttavia mentre una comunità vera si avvale di legami forti la comunità virtuale è fatta di legami deboli privi di intimità e profondità. Viene meno non solo la costruzione di se stessi ma anche del proprio orientamento facilitati dall’illusione che se un ideale è seguito da molte persone allora è un giusto ideale da seguire senza lo sforzo di capire, criticare o andare ‘controcorrente’. Con questa dinamica ottenere l’approvazione diventa semplice ma va a scapito del valore prezioso che è la diversità individuale.
Come aiutare i nostri ragazzi?
Il ruolo dei genitori è quello di accogliere il disagio emotivo del ragazzo cercando di dedicare del tempo ad ascoltarlo in maniera empatica. Nel bambino questo è più facile lo è meno nell’adolescente che teme un’invasione della privacy o una fase di ‘stallo’ di quella naturale pulsione di progressivo allontanamento. Negli adolescenti possiamo utilizzare la strategia del coinvolgerli in una qualsiasi attività ‘domestica’ in questo modo si sentono meno minacciati e più propensi al dialogo. I sentimenti di disagio che emergono non devono essere minimizzati ma neanche negati. Le emozioni negative fanno parte della vita e come tali vanno affrontate ma attraverso l’ascolto e la condivisione delle problematiche dobbiamo far capire ai ragazzi che non sono soli e che possono contare nel nostro aiuto per affrontarle. Dobbiamo il più possibile cercare di aiutarli senza criticarli o giudicarli, ma condividendo emozioni o paure rispettando la loro autonomia. Dedicare del tempo all’ascolto e alla rassicurazione anche se spesso noi adulti siamo oberati da impegni vari, rimane la chiave più importante per capirli ed aiutarli. L’ascolto deve essere un ascolto attivo e partecipe anche se implica l’impegno del genitore a sgomberare la mente dagli inevitabili problemi della giornata. In questo credo che i genitori debbano insistere senza diventare assillanti, perché spesso i giovani avendo questa pulsione di distacco dai genitori leggono come debolezza la necessità di parlare dei propri problemi. Esternare i sentimenti sarà di per sé un valido aiuto per elaborare insieme una strategia per affrontarli senza tuttavia, come ho detto prima, mai negarli.
Grazie dottoressa e ad maiora!