Dottore, quando le hanno comunicato questa grande novità, ha avuto paura?
Il centro di Partinico è stato al centro di polemiche: pochi respiratori, personale non formato, necessità di ulteriori figure mediche
Siamo partiti come centro dedicato il 18 marzo, una ventina di giorni fa. Abbiamo iniziato in fretta e furia perché l’emergenza nazionale e la paura che questa diventasse emergenza regionale lo richiedeva. Ovviamente, lì per lì, non c’era il tempo di fare tanti corsi di formazione o di tentennare. I dipendenti erano impauriti, temevano il contagio, anche perché, me lo consenta, l’informazione, martellando con continui bollettini di guerra, faceva la sua parte. Consideri che il malato di Covid oltre alla sofferenza e alla paura, lotta anche contro un grande nemico: la solitudine. Sono malati infettivi, di una malattia nuova, che fa una paura immensa. Vedere il timore negli occhi di chi si deve occupare di loro li rendeva ancora più soli. In venti giorni però siamo riusciti a fare grandi passi, sia come struttura, che come approccio.
Ci spieghi meglio?
Abbiamo in tutto cento posti letto di cui più di cinquanta di media criticità. In rianimazione ne abbiamo otto, ma se ne stanno creando altri venti, che dovrebbero essere disponibili entro il 10 aprile. Tutti i posti di rianimazione sono ovviamente dotati di respiratori. Abbiamo messo su un equipe di approccio multidisciplinare, che è fondamentale per curare il Covid 19, poiché arrivano pazienti con pregresse patologie di area internistica, cardiologica, diabetologica o pneumologica. Sono arrivate le figure specialistiche di cui necessitavamo, ossia gli infettivologi e gli pneumologi. Ci sono anche dei medici volontari, che hanno deciso di combattere in prima linea questa battaglia, sebbene non erano strettamente chiamati a farlo. C’è un gruppo di giovani infermieri molto motivati. Ad oggi mi reputo molto più che soddisfatto dei passi che stiamo facendo.
Avete presidi medici di sicurezza sufficienti?
Ad oggi abbiamo tutto quanto serve per proteggerci, non ci sono criticità.
Quale l’andamento dei ricoveri e delle cure?
Finora stiamo riuscendo a gestire serenamente la situazione. Dal 18 marzo a oggi abbiamo avuto poco meno di trenta ricoveri, quindi nessun problema di pienone o posti mancanti. Non si è mai presentato il problema della mancanza dei respiratori. Abbiamo dimesso una decina di persone, tra queste anche una maestra in pensione di oltre novant’anni. Oggi altri tre, tutti con patologie importanti pregresse, che però hanno lasciato l’ospedale dopo la risoluzione dei sintomi, stanno bene e ora sono in quarantena precauzionale in un hotel di Palermo. Abbiamo anche avuto sette decessi, è vero, ma sono riconducibili al focolaio di Villafrati. Erano persone di una fascia di età molto a rischio e con una diagnosi tardiva, nodo cruciale per lottare questo virus.
Quanto è importante la diagnosi tempestiva di Covid 19?
É fondamentale. Per l’esperienza che sto vivendo, i casi più gravi sono quelli diagnosticati in ritardo. Purtroppo abbiamo esperienza di esiti di tamponi che arrivano anche dopo quattro o cinque giorni. I centri di verifica in Sicilia sono pochi e come se non bastasse c’è anche la carenza dei reagenti. I pazienti in attesa di esito capita che passino giorni in tenda o in isolamento a casa ed a volte le conseguenze sono drammatiche.
Quale secondo lei la situazione in Sicilia?
Mi sento di essere ottimista. La patologia in Sicilia si sta manifestando con toni meno aggressivi. Il numero contenuto di ricoveri nel nostro centro lo dimostra. Diversi i fattori che favoriscono questo stato di cose: in Lombardia il virus è arrivato prima, là vi sono contesti aggregativi maggiori, penso alle fabbriche, alle tante metropolitane. Anche il clima fa la sua parte. Credo che la caratteristica del Sars-Covid non sia tanto la virulenza aggressiva, quanto la forte contagiosità. Quindi la vera terapia è il distanziamento sociale, che dobbiamo perseguire affinché la situazione siciliana possa risolversi del tutto e in tempi brevi. Se ci aggreghiamo il virus non solo si replicherà, ma rischierà anche di mutarsi, con conseguenze che non possiamo conoscere, quindi si deve stare a casa.
Quali terapie utilizzate per curare i malati del centro?