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Il lato oscuro del cuore e le tragedie impossibili

Perché una madre uccide la figlia? Quali abissi dietro un gesto tanto estremo? Ne parliamo con lo psichiatra Daniele La Barbera

Sono passati i giorni dell’accanimento e della cronaca. Restano quelli senza fine della riflessione. Elena, che non ha fatto in tempo ad afferrare i suoi cinque anni, perché è stata uccisa dalla madre. Questa frase è lo sgomento. Le lacrime. Il terrore. Perché se una mamma uccide il proprio bambino, si è percossi dal dubbio che il mondo sia a destinazione.

Eppure non è la prima volta che succede. Ogni volta, accanto alle indagini istituzionali, si svolgono quelle del popolo, che cerca di capire i come ed i perché, anche quando questi non si potranno mai conoscere fino in fondo, perché abissale è la mente ed anche il cuore ha un lato oscuro, seppure sia quello di una madre.

In merito al delitto di Mascalucia abbiamo intervistato il professore Daniele La Barbera, psichiatra e primario al Policlinico di Palermo.

Professore La Barbera, una madre può uccidere con coscienza?

Tra gli infanticidi italiani più tristemente noti vi è quello di Cogne, dove l’ipotesi del black out mentale della madre è sempre stata la tesi più scandagliata. Nel caso di Mascalucia credo non si sia trattato di un cortocircuito emotivo/cognitivo, perché tanti aspetti, che ovviamente devono essere vagliati da chi di competenza, fanno pensare a una premeditazione del gesto estremo. Uccidere con coscienza però non vuol dire che la mente di chi ammazza abbia un assetto pienamente funzionale. Sono tanti e complessi i meccanismi mentali, anche in presenza della famigerata capacità di intendere e di volere.

Il video della mamma che abbraccia la piccola all’uscita di scuola turba profondamenTe, Cosa c’è Oltre quell’ultimo abbraccio?

L’abbraccio tra mamma e bimbo all’uscita di scuola è una delle immagini più simboliche che vi siano nel repertorio di genitori e figli. C’è dentro la gioia del ritrovarsi ed ogni volta è come se i bimbi non vedessero la loro mamma da chissà quanto tempo. Corrono e quindi si lanciano nelle braccia più sicure. Tutto ciò è quanto abbiamo visto e rivisto in quel video. Malgrado tutto, non sono convinto che l’abbraccio della madre sia stato falso, seppure la giovane donna si stesse preparando a compiere l’atto più  estremo ed efferato. Non si può escludere che, in una condizione aberrata di funzionamento mentale, (non sappiamo ancora se sia stata o meno capace di intendere di volere), la mamma abbia voluto fare un’ultima coccola profonda alla sua bambina. Una sorta di drammatico “ti voglio bene, ma devo ucciderti”. Se così fosse, questo abbraccio getterebbe una luce forte sull’ ambivalenza della mente umana: la madre che può paradossalmente provare una spinta d’amore per la figlia che ha già condannato a morte.”

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Stando alle cronache, cosa può avere fatto scattare un istinto del genere in una madre?

Possiamo pensare a un ego profondamente narcisistico, che non accetta che l’ex abbia una nuova compagna ed ancora di più che la sua bambina di stia affezionando a questa figura. Il rapporto madre figlio è viscerale: una madre ha tenuto in grembo il suo bambino per nove mesi. Sono stati tutt’uno, in un legame interdipendente, fisico, simbolico ed esclusivo. Quale madre non ha pensato anche solo una volta, ‘mio figlio è solo mio? In condizioni mentali disfunzionali, una donna può maturare una rabbia abnorme all’idea che neppure sua figlia, che ‘dovrebbe’ essere del tutto sua, la riconosce come unico e centrale elemento di vita. Da lì si può ipotizzare la mancata elaborazione e il non contenimento della rabbia, la furia della gelosia e quindi l’omicidio. La chiamano la sindrome di Medea, sebbene non sia eminentemente una condizione psichiatrica, quanto il rimando alla celebre tragedia di Euripide. Medea, per punire il marito, ne uccide i figli. In questo caso il figlio potrebbe essere visto come capro espiratorio, che sconta tutto il senso di inadeguatezza, che la madre avverte verso tutto il contesto familiare. 

Si può essere Capaci di intendere e di volere anche per compiere tali gesti, ma i trascorsi interiori quali POSSONO essere?

Quasi sempre  persone che arrivano a gesti così efferati hanno avuto delle esperienze complesse nell’infanzia o nell’adolescenza: solitudine, inadeguatezza, accudimento insufficiente, mancanza di una o più figure di riferimento, ma anche storie di abuso e di violenza. Da lì lo sviluppo di personalità disfunzionali, che andrebbero individuate ed aiutate. Una persona che ha avuto un vissuto sereno difficilmente arriva a fare questo.

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Che domande dobbiamo farci, come comunitÀ, di fronte a questi gesti ‘apocalittici’?

Sono sempre di più i casi delle donne che vivono male la loro condizione di madre e questo non è una colpa. Sono aumentate le depressioni post partum, sono aumentati i divorzi in famiglie con bambini in tenera età. Crescono le famiglie mononucleari. Prima una giovane madre aveva intorno una comunità di parenti ed amici, oggi spesso si ritrova sola. Ecco, al di là di tutte le analisi psicologiche e psicopatologiche, questi atti tremendi devono interrogare la comunità e i contesti in cui viviamo e farci porre una domanda: potevamo fare qualcosa di più? Questo disagio poteva essere intercettato? Ci poteva essere uno spazio di incontro con questa persona? Poteva essere rilevata questa potenziale violenza? Ovviamente la colpa di quanto accaduto non possiamo scaricarla sul contesto, ma è vero anche che si deve avere più attenzione. È, oggigiorno, tanta la solitudine che circonda le madri. I disagi materni nella maggior parte dei casi si risolvono, ma può succedere l’imponderabile ed ecco la tragedia. Occorre più ascolto e attenzione verso le madri ed anche la capacità di ricorrere a figure esperte, questo per evitare che Cogne e Mascalucia capitino ancora. Può bastare davvero poco per distogliere una mente disfunzionale da un gesto limite, ma ci vuole competenza e anzitutto comprensione. Il mio auspicio è che nessuna madre rimanga incompresa e inascoltata. Da lì parte tutto il resto.

 

 

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