Se è vero che gli eroi di uno scrittore tendono a somigliarsi tutti, le donne di Giuseppina Torregrossa hanno la caratteristica, meglio il pregio, di esser tra loro diverse. Almeno così pare a chi, come me, della scrittrice palermitana ha letto quasi tutto, apprezzandone la passione schietta, la melodia retrò delle parole, che sanno diventare grevi quando il caso vuole. Agata, Melina, Genziana, Marò, Celeste e la stessa Giuseppina sono scorse sotto i miei occhi e dentro la mia mente, colmando notti in bianco, con la curiosità di capire “come finirá”. Perché i romanzi di Torregrossa non sono asciutti, neppure brevi – fatta eccezione forse per il diario di viaggio “A Santiago con Celeste”-, anzi, ricordano certa maestosa letteratura Sudamericana. Eppure si lasciano leggere d’un fiato, con quel desiderio, che è di ogni lettore, di scoprire il risvolto dietro la pagina, il segreto nel cuore del personaggio, l’evoluzione di cose, fatti e persone e quel finale, che non importa se sará lieto, triste o enigmatico.
Giuseppina Torregrossa si occupa da sempre di donne: prima come medico ginecologo a Roma, poi con le sue storie, che hanno la comunanza nei sentimenti appassionati, nudi, crudi, con punti drammatici, financo spietati e con la caratteristiche di saper spiazzare il lettore. É diventata scrittrice di successo in età matura, con una notorietà dischiusa grazie a una storia sicula, quella di Agata, protagonista del “Conto delle Minne”.
L’ho intervistata al liceo Vittorio Emanuele di Palermo, in occasione della presentazione dell’ultimo romanzo, “Il sanguinaggio del’Immacolata”, un giallo che arricchisce la saga del commissario Marò Pajno.
Con gli studenti Torregrossa ha parlato del suo tema prediletto: le donne, i diritti conquistati, quelli negati e quelli perduti. Di cambiamenti di ieri e di oggi, sottolineando il fatto che, nel passaggio dal passato al presente, non sempre si è andati avanti quanto a progresso e buone conquiste. Lavoro, maternità, diritto all’aborto, violenza di genere. Temi trattati con verità, con un appeal da faccia a faccia, che il pubblico di giovanissimi ha gradito, ricambiando con attenzione e domande curiose all’autrice.
Giuseppina Torregrossa, da ginecologa a scrittrice. Come è successo tutto?
Non che sia cambiato molto. Sono una ragazza degli anni ’70, sono stata una femminista, ho fatto parte di una generazione di conquista, che ha inteso un nuovo modo di vivere la vita per le donne. Non è un caso se sono diventata ginecologa, del resto ho vissuto attivamente in un’epoca di conquista di diritti, non ultimo quello sancito dalla legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Una legge che sancisce un diritto difficile, che però resta comunque un diritto per la donna. La scrittura mi ha accompagnata per tutta la vita, poi qualcuno ha deciso tardi di pubblicarmi e da lì è nata l’esperienza che mi accompagna.
Il Conto delle Minne, La svolta ed anche il tema dell’omosessualità, in un epoca in cui l’argomento era tabù
È stato sicuramente il libro che mi ha fatta conoscere al grande pubblico. Una notorietà che è arrivata quando non ero più giovanissima, sebbene io abbia iniziato a scrivere molto prima del successo del Conto. Avevo già pubblicato, per un piccolo editore, il romanzo L’assaggiatrice. La notorietà del “Conto delle minne”, a mio avviso, trova spiegazione nell’aver affrontato un tema forte, quello della femminilità, un argomento senza tempo, ma sicuramente non facile. Nel romanzo, più che quello dell’omosessualità, credo di aver affrontato il tema del diverso, dell’altro come specchio per ciascuno. Quando Agata incontra la sua amica, in un periodo cruciale, che la vede letteralmente con un buco al centro del torace, ha la possibilità di guardarsi allo specchio nella sua femminilità intera e non a metà, come si stava abituando a vedersi. Da lì per Agata inizia un nuovo momento di vita, una svolta positiva. Non so se in quelle pagine ho affrontato il tema dell’omosessualità o quello ancor più universale del diverso, che credo riguardi, in vario modo, ciascuno di noi.
Tante donne, tutte diverse, ce n’è una del cuore?
Sono tutti personaggi del cuore. Sono tutti pezzetti di me. Posso dire che Agata è stato il contenitore di tutta la mia parte più profonda. È stata il personaggio che mi ha portato alla gente e quindi le sono grata. Ovvio che amo e ho gratitudine verso tutte le mie protagoniste. Sono le mie donne e sono impastate di sangue, di carne, di nervi. Non possono essere delle donne ridondanti. Escono dalla realtà, non sono eroine da romanzo. È gente che ogni mattina si alza e affronta la battaglia quotidiana così come fa la gente che vive fuori dai libri. Sono donne semplici, che vanno all’essenza. Per questo possono meritare l’apprezzamento del lettore.
L’investigatrice Marò Pajno, raccontiamola
Marò è una donna che fatica, perché lavora in una struttura maschile, gerarchica, laddove la dinamica verticistica è mal sopportata dalle donne, che per natura siamo più portate alla collaborazione, che non all’esecuzione degli ordini. Marò è un’investigatrice acuta, ma è anche una donna con le sue fragilità, che il ruolo non nasconde, anzi nel suo ruolo sono riportate. Marò è le insicurezze, la bellezza, la fragilità, gli amori andati a male, il rapporto con la madre. È un personaggio che racconta di certe sue difficoltà personali, che la rendono umana. É una delle mie donne, che come tante donne fatica nell’universo maschile, che nel suo caso è rappresentato dalla Polizia. Ci fa anche riflettere su questa società, che è essenzialmente pensata per gli uomini, confermando però che ci stiamo muovendo. Il percorso verso la parità è faticoso, a volte si fa un passo avanti e due indietro, ma l’importante è non rimanere ferme. Credo che in questo cammino noi donne dovremmo fermarci e iniziare a pensare un nuovo modello femminile e da lì ripartire ingranando la marcia. Ci sono stati degli innegabili fallimenti. Un esempio: siamo passati dalla conquista della 194 alla negazione del diritto alla maternità. Le donne però, come scrivo sempre nei miei romanzi, siamo sangue, carne, volontà e quindi possiamo e dobbiamo farcela.
Ci regalerà un’altra delle sue adorabili donne?
Speriamo di sì. Me lo auguro di cuore.
Grazie Giuseppina e ad maiora!