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Cara figlia mia, ti chiedo scusa

La lettera di una mamma che teme di avere memoria corta, ma rimedia con il cuore

Cara primogenita,
Ti chiedo scusa.
Non ricordo più come eri da “piccola”. Eppure hai solo 9 anni.
E io mi accorgo di questa dimenticanza solo adesso che, come un Capodanno-bis, è periodo di bilanci per un genitore, un traguardo di una lunga maratona iniziata a settembre, in cui si sono alternati scatti di velocità pieni di determinazione a pit stop pieni di sconforto. Ogni chilometro percorso ti ha resa più fiduciosa delle tue capacità, più consapevole del mondo esterno, più curiosa, ma allo stesso tempo più autonoma. Non mi domandi più “perché”, ma “com’è”. Non mi corri più incontro quando mi vedi, ma cammini verso di me con sempre più sicurezza. Non mi dai più un bacio quando e dove vuoi, ma dietro l’angolo della scuola o fuori dalla macchina, poco prima di entrare in piscina. Non stringi più la mia mano per attraversare la strada, ma inizi a fare i tuoi primi tragitti da sola regalandomi la certezza che di te posso fidarmi.

Tra qualche giorno il tuo grande giorno

Tra qualche giorno, parteciperai ad una cerimonia importante che rappresenterà il traguardo di un percorso che sicuramente, in un modo o nell’altro, ti ha arricchita. Sai, mia cara primogenita, c’è stato un momento preparatorio a questa cerimonia in cui mi sono incantata ad osservarti mentre, fiera, indossavi il tuo bel vestito dalla sarta che, con le sue mani piene di storia e forza certosina, ti prendeva le misure. Ebbene, in quella piccola e rustica bottega, lontane dal fragore e dal fermento prefestivo, il Tempo si è fermato davanti a me e bruscamente mi ha domandato: “Ricordi com’era la tua primogenita da piccola?”. No, accidenti, non lo ricordo. Ti chiedo scusa, mia “grande” primogenita.
Non ricordo più il suono della tua risata quando ti solleticavo i fianchi, il calore della tua mano quando la tenevi stretta alla mia, la forza delle tue braccia che circondavano le mie gambe perché “ti vergognavi” a dire il tuo nome al solito sconosciuto di turno che ti domandava come ti chiamassi. Non ricordo più il colore di quelle bellissime ballerine che amavi indossare, non ricordo più l’odore del tuo primo zainetto o il disegno stampato sul tuo primo grembiulino, adesso riposto con cura nella scatola dei ricordi in cantina. Non ricordo più le tue urla notturne e i tuoi versi capricciosi che mi facevano volgere lo sguardo al cielo in quegli attimi per me infiniti. Non ricordo più il tuo piccolo viso tondo incorniciato dalla frangetta che sembrava il nostro marchio di fabbrica; non ricordo più le tue gengive sdentate prima e le finestre tra i denti poi.
E io ti chiedo scusa.

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I conti con il passato

In quella piccola e rustica bottega ho fatto i conti con un passato che ho stentato a ricordare nei minimi particolari, però davanti a me ho visto te, proiettata in un futuro imminente che affronterai con una determinazione da leonessa, ne sono certa. Ho visto noi due che ci siamo incontrate 9 anni fa, da piccole, che ci siamo conosciute piano piano e che, insieme, siamo cresciute con la stessa determinazione a non guardare mai indietro, verso il passato, ma sempre avanti, partendo da un presente in cui io per te ci sarò sempre. Quindi, caro signor Tempo, è inutile che mi poni queste domande piene di tranelli, con il solo intento di farmi vacillare: non ricordo i dettagli, ma lì davanti a quella sarta chinata su di lei, c’è la mia primogenita che è la mia Storia. E ti dirò di più mio sadico signor Tempo, avrò anche dimenticato quale fosse la sua borsetta preferita, ma quando mi accorgo di non ricordare che la mia primogenita è sempre la mia “prima piccolina”, mi soffermo su un angolino del suo collo, lo annuso, avvicino lì la mia guancia, la mia carezza, perché in quel preciso punto il Tempo si è fermato. E, ogni volta, in quel preciso istante, so che tu, mia piccola primogenita, perdoni le mie dimenticanze.

Con immenso orgoglio,
La tua smemorata mamma.

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