“L’Aids non è la peste nera e questo dovrebbe essere il concetto cardine, da tenere a memoria, non solo il primo dicembre.”
Il dottore Tullio Prestileo, infettivologo, dirigente medico all’Arnas Civico di Palermo, presidente Anlaids Sicilia e da anni in prima linea nella lotta al virus che causa Immunodeficienza acquisitia. Lo afferma da sempre e oggi, in occasione di una conferenza stampa di presentazione di un lavoro, che potrebbe essere cruciale, ne è ancora più convinto. Alla vigilia della giornata mondiale della lotta all’Aids, Prestileo lancia un segnale di speranza: le donne sieropositive possono allattare i loro bambini. Una conquista, un aiuto alla natura delle cose, un sostegno alle neomamme, soprattutto a quelle africane che, non solo sono le più colpite da’ll’Hiv, ma sono le donne che, più delle altre al mondo, ritengono fondamentale allattare al seno i loro bambini. “A loro mancherebbero sì le alternative, ma è anche vero, prosegue il dottore Prestileo, che emotivamente per una donna africana non potere attaccare il suo piccolo al seno è un trauma senza fine. Nel mondo occidentale la mentalità è differente, anzi molte donne scelgono deliberatamente di non allattare al seno.”
Professore, ci racconti il suo recente studio
Più che di uno studio di tratta di un’osservazione su tredici donne sieropositive, dodici delle quali africane e una italiana.
Per anni però la comunità scientifica è stata scettica?
E lo è ancora. Se da un lato non ha mai espresso parere contrario, ma neppure favorevole in maniera dirimente. Questo studio, che a breve sarà pubblicato su una rivista scientifica olandese, vuole essere un appello proprio alla comunità scientifica affinché incoraggi studi su questo fronte.
Questo risultato è anche un segnale di speranza: i sieropositivi devono pretendere una vita assolutamente normale?
Lo sostengo da anni. Il sieropositivo è una persona come lei e come. Dei 21 casi verificati dal 2019 al 2020, la maggior parte erano sì donne africane, molte delle quali giovanissime e vittime di stupro. C’erano però anche uomini italiani etero, di mezza età, che hanno reagito con meraviglia alla notizia della loro sieropositivà. Non pensavano di essere soggetti a rischio. Togliamoci dalla testa il pregiudizio del sieropositivo che è un tossico, un dissipato. Non è più così. L’hiv può entrare nelle vite di chiunque, basta anche una sola minuscola defaillance. Proprio per questo occorre sensibilizzare, integrare e pretendere un progresso medico e scientifico tale da garantire totale dignità alle persone sieropositive.
Quale il suo consiglio in occasione della giornata mondiale della lotta all’aids?
Prevenzione, che significa uso del preservativo. Pensi che negli Usa solo l’11% della popolazione sessualmente attiva se ne serve. Una percentuale risibile. Fare il test: lo consiglio alle donne gravide ma anche ai loro partner. Più in generale, la popolazione sessualmente attiva, dovrebbe fare il test se ha avuto comportamenti a rischio, anche se ne ha solo il minimo dubbio. Una diagnosi tempestiva, offre una possibilità di gran lunga superiore di curarsi e di farlo bene. Oggi l’Aids si lotta e lo si fa in modo tale da potere avere una vita normale: consente di non contagiare il partner, ovviamente facendo le terapie anti-retrovirali, di non contagiare il feto, né attraverso la placenta, né durante il parto, nella fase del passaggio del canale del parto ed anche di poterlo allattare, così come dimostra il recente studio.
Prima di tutto però ci vuole sensibilità. Il sieropositivo va integrato, mai escluso. Ricordiamocene, non solo il 1 dicembre.