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Io, mio figlio vivo per miracolo e la magia dell’allattamento “salvavita”

La storia di Luciana e Francesco. Un bimbo vivo per miracolo e una mamma caparbia, che ha iniziato con il dargli un solo cucchiaio del suo prezioso latte

Nella settimana mondiale dell’allattamento, vogliamo raccontarvi la storia di Luciana Zaccari, una ragazza romana e del suo Francesco. Due campioni, ed è il caso di dirlo. Una mamma giovane e speranzosa, fiera del suo pancione. Poi l’imprevisto, che rischia di trasformarsi in tragedia. La forza, la tenacia, che danno risposte anche alle domande più difficile. Poi, anzi soprattutto,  quel latte materno che diventa un salvavita. Grammo per grammo. Passo per passo. Verso un futuro tutto da disegnare.

Luciana, raccontaci di te e del tuo piccolo

Quando aspettavo Francesco avevo 29 anni. Prima gravidanza, figlio cercato e desiderato. Io sono ipertesa da quando ho 23 anni, un ipertensione definita essenziale, perché senza causa apparente, se non l’ereditarietà familiare.

La gravidanza e l’ipertensione

La mia ipertensione non mi aveva mai dato problemi particolari. Avevo sempre condotto una vita normale, con una pasticca la mattina riuscivo a tenerla sotto controllo.
Le cose sono cambiate in gravidanza perché il farmaco che prendevo  non era compatibile con il piccolo e doveva essere sostituito. Da subito i valori iniziarono ad alzarsi, erano sempre border-line. Nonostante ciò ero comunque fiduciosa che tutto si sarebbe svolto secondo i piani del professore che mi seguiva. Ricovero anticipato e parto indotto alla 38esima settimana, questo il progetto. Si era fatto solo un accenno ai rischi che correvo, gestosi e trombosi, ma ero ottimista, avevo fatto il corso preparto, visitato l’ospedale e la sala parto dove avevo scelto di partorire, parlato con le ostetriche. Nella mia testa era tutto pronto, aspettative rosee e felici.

A un certo punto della gravidanza accade quello che non doveva

Poi accade quello che mai avrei pensato. Tutto crolló come un castello di sabbia. Una mattina di febbraio iniziai a non sentirmi bene, credevo di essere solo un po’ stanca e spossata. Sentivo la pancia dura e faticavo a stare in piedi, decidetti dopo pranzo, di sdraiarmi a letto a riposare. Mi addormentai. Nemmeno 20 minuti dopo mi svegliai con una strana sensazione, sentivo del liquido tra le gambe. Ancora assonnata scostai il piumone e vidi solo sangue. Un lago di sangue. Era il 20 febbraio. La data presunta del parto il 23 aprile.

L’emorragia di sangue e la corsa all’ospedale

Corsi con mio marito al primo pronto soccorso, che non è l’ospedale dove avevo scelto di partorire perché troppo lontano per quella emergenza. Lì compirono un miracolo! In 15 minuti, passai dal pronto soccorso, alla camera operatoria, anestesia totale e tirarono fuori Francesco. Ero a 31 settimane di gestazione.

Nasce Francesco, il mio guerriero

Lui faticó e arrancó, e lottó per respirare e vivere. Venne trasferito subito in un altro ospedale che dispone di Tin. Io rimasi dove avevo partorito. Lo vidi la prima volta dopo 5 giorni dalla sua nascita, quando venni dimessa e stravolta, dolorante per i punti del cesareo, e con il cuore in gola potei andare da lui. 
Poi mi verrà spiegato che ho avuto un distacco di placenta, forse causato da un picco di pressione alta, forse no. Nessuno può dirlo con certezza.
In ogni caso siamo stati fortunati perché Francesco non ha riportato danni cerebrali e se la placenta si fosse staccata completamente lui sarebbe morto nella mia pancia.

Una mamma e la prematurità

La prematurita è un universo parallelo di cui non conosci l’esistenza finché non ti ci ritrovi catapultata dentro. Nessuno mi aveva informata di questo rischio. Non sapevo nemmeno che esistessero reparti come la Terapia intensiva neonatale che accolgono questi piccoli esseri umani, ancora troppo delicati e fragili per stare al mondo. Lì si cerca di ricreare un ambiente per loro confortevole. Luci basse, silenzio, il calore dell’incubatrice, il contenimento con dei cuscini. Ma una mamma non può non pensare che tuo figlio è in una una sterile scatola di vetro, quando dovrebbe ancora essere al sicuro dentro di se. Il senso di colpa ti mangia viva.
La prematurità fa paura perché non c’è niente di certo, non sai se uscirete da lì insieme tu e tuo figlio e come ne uscirete. Quando entri in questi reparti dalle luci soffuse, scandito dai bip dei macchinari attaccati a quelle piccole anime, ti spogli di tutto, indossi un camice, mascherina, ti disinfettanti le mani, togli orologio e bracciali. Ti dimentichi anche di avere una vita al di fuori di quelle mura. Medici e infermieri non si sbilanciano mai sulla salute di tuo figlio. Si vive alla giornata. È una montagna russa. Un giorno un passo avanti, quello dopo due indietro. Si impara a gioire per le piccole conquiste, cose che per le mamme di bimbi nati a termine sono scontate.
Anche una volta dimessi non è un percorso che si conclude completamente. Molti bimbi si portano dietro i segni di essere nati troppo presto per mesi, anni, alcuni per sempre…

L’allattamento in terapia intensiva, un’avventura possibile

Mio marito faceva la spola tra casa, l’ospedale dove ero ricoverata io e quello dove era ricoverato Francesco. Faceva avanti e indietro da me a lui due volte al giorno. Francesco era al Fatebenefratelli di Roma sull’isola Tiberina, cullato dal fiume Tevere. Dal Tevere ma non da me.
Io ero all’Aurelia hospital. La nostra casa a 40 km.
Fu lui a portarmi i primi barattolini per il latte. Mi disse che gli infermieri in Tin si erano raccomandati tanto che io tirassi il latte. “Va bene anche un cucchiaino di latte, hanno detto”.

Quei preziosi barattoli di latte

Mi sentivo così inutile, così annientata dal peso di quello che stavamo vivendo che presi quei barattolini e ne feci una missione. Era l’unica cosa che potevo fare per mio figlio, solo, lontano km. Era l’unica cosa che mi facesse sentire la sua mamma.
Nel reparto dove ero ancora convalescente trovai delle ostetriche meravigliose. Mi aiutarono ad usare il tiralatte, mi dissero di tirare ogni 3 ore, anche di notte, di farlo guardando le foto di mio figlio perché ne stimolava la produzione, di bere molto e di riposare per mettermi in forze. Furono fondamentali soprattutto come sostegno psicologico per me.
All’inizio uscivano solo delle gocce di latte, mio marito attraversava la città per portare 5ml, l’equivalente di un cucchiaino. Poi ha iniziato ad aumentare sempre più.

Un solo cucchiaio di latte materno è un salvavita

Il latte veniva somministrato a Francesco con un sondino. Gli veniva infilato in bocca questo tubicino molto lungo che credo arrivasse direttamente nello stomaco e gli veniva mandato giù con una siringa. Quando sono potuta andare da lui, con il passare dei giorni ha iniziato ad alternare biberon e sondino. Ma faceva molta fatica con il biberon perché la capacità di suzione mi dissero si sviluppa intorno alla 34esima – 35esima settimana di gestazione. Io ormai avevo tantissimo latte, così tanto da avere le scorte in freezer e da diventare donatrice presso il Lactarium dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, dice viene usato solo per prematuri gravi o bimbi con particolari patologie.
Aspettavo con pazienza che lui fosse pronto per prendere il latte direttamente al seno, ma le infermiere dicevano che era ancora presto perché con il biberon proprio non riusciva e che il biberon è comunque meno faticoso del seno.

La prima volta che l’ho attaccato al seno

Dopo circa 3 settimane dalla nascita di Francesco, una giovanissima studentessa di ostetricia che stava facendo il tirocinio si avvicinò a noi in Tin. Io stavo dando il biberon a Francesco con il mio latte. Mi chiese se avessi mai provato ad attaccarlo al seno e risposi di no, “perché è ancora troppo debole!” Lei mi rispose “ti va di provare?” Le dissi di si.
Sorprendente Francesco al seno si attaccò come una ventosa. Mangiò tantissimo in pochissimo tempo. Un fatto eccezionale che lasciò tutte le infermiere di turno senza parole. A Francesco piaceva proprio stare pelle a pelle con me quando mangiava, ma per non fargli spendere troppe energie continuavano ad alternare seno, biberon, sondino.In Tin l’allattamento è scandito da orari precisi. Ovviamente non è possibile allattare a richiesta anche se noi per fortuna eravamo in una Tin aperta h24. Tutti i pomeriggi avevo la possibilità di fare la marsupio terapia e secondo me anche questa ha contribuito alla buona riuscita dell’allattamento perché ogni volta che la praticavo avevo spontanee e abbondanti fuoriuscite di latte.

Un percorso difficile ma possibile

Ci tengo a sottolineare che non è stato un percorso lineare e privo di ostacoli. Delle volte Francesco doveva subire esami medici e  potevo attaccarlo meno. Sono andata incontro a dolorosi ingorghi, irritazioni al capezzolo e al seno date dalla plastica del tiralatte, tanta stanchezza. Impostavo la sveglia anche la notte per tirare il latte. Ogni 3 ore cascasse il mondo io ero lì con quell’aggeggio in mano. Anche in macchina, nei viaggi di ritorno verso casa. Il rapporto con il tiralatte è stato di amore e odio. Ho continuato ad usarlo anche una volta a casa perché Francesco soffriva di reflusso. Quindi tiravo il latte, lo addensavo con delle farine e glielo davo con il biberon.
In tutti questi mesi un’ostetrica conosciuta dall’Aurelia hospital mi aiutò, mi consigliò, seguendomi ad ogni passo. È stata per me fondamentale.

Fino a quando ho allattato?

Ho allattato poi per 13 mesi. Poi come tutte le cose belle anche questa ha avuto la sua conclusione. Lo dico con un po’ di amarezza perché mi sarebbe piaciuto continuare. Purtroppo la mia pressione continuava a fare i capricci. Ho continuato finché ho potuto, poi stavo andando incontro a problemi seri di salute e dovevo fare una terapia non compatibile con l’allattamento. Purtroppo non ho trovato molta sensibilità ed empatia. Nessuno dei medici interpellati ha capito l’importanza che avesse per me, sia per il legame che si era creato con mio figlio, sia perché era l’unica cosa su cui io fino a quel momento avevo avuto il controllo, sia per un discorso di anticorpi. Il latte materno per i prematuri è oro puro. Fornisce tutti gli anticorpi di cui sono sprovvisti, questi infatti vengono trasmessi dalla madre attraverso la placenta nell’ultimo mese di gestazione… così avevo letto. Poterglieli dare dopo la nascita attraverso il latte è un dono per tutta la vita.
Mi sono sentita giudicata e mi sono state dette frasi infelici e false del tipo “ma quanto vuole allattare ancora?” “Ormai non serve più!” “Sta diventando una cosa morbosa!” Tutti a giudicare il nostro rapporto esclusivo. Non ho ricevuto nessuna comprensione. Credo che in Italia si debba lavorare ancora molto nel diffondere corretta informazione sia alle neo mamme che a molti medici, ostetriche e infermiere.
Ho visto molte mamme mollare, prima di tutto perché si crede sia una cosa che viene naturale e semplice, quando invece, almeno all’inizio e soprattutto in casi particolari come il mio è molto impegnativo, poi perché mal consigliate. Si tende a sentire il consiglio della mamma, della nonna, della zia, dell’amica, della vicina di casa che sono spesso fuorvianti ed errati. Io consiglio a tutte le neomamme di cercare una brava ostetrica o di contattare la Leche League dove ci sono consulenti competenti e aggiornate che offrono sostegno all’allattamento gratuitamente.

Allattare: la soddisfazione più grande

Allattare mio figlio è stata la soddisfazione più grande della mia vita. Ho tirato fuori una determinazione e una testardaggine che non credevo di avere. Ha fatto in modo che potessimo riconoscerci, coccolarci, consolarci. Abbiamo trovato così, il modo di recuperare un pochino quello di cui eravamo stati privati. L’allattamento mi ha restituito la mia identità di mamma
Ne conserveró sempre un ricordo speciale.

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Le frasi che una madre non dovrebbe mai sentirsi dire

Ci tengo anche a dirti che spesso quando Francesco era in tin mi sono state dette dai parenti frasi infelici del tipo “sei depressa e piangi sempre è per quello che tuo figlio sta male, perché il tuo latte è avvelenato!” “Sei sicura che il tuo latte sia buono per lui che è così piccino? Non sarà troppo grasso? Troppo pesante?”
Molte credono che il latte vada via a seguito di forti dolori o dispiacere, ma non è così, io e molte altre ne siamo la prova. Basta tanta costanza, tanta determinazione e i consigli delle persone giuste! Ostetriche scelte e consulenti dell’allattamento.

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