Martedì sera, ore 20:00.
Come ogni sera, ceno con i bambini, Anna alla mia sinistra, Niccolò alla mia destra e mezzo neurone nel mio cervello che cerca di portare a termine la giornata. È il momento in cui ci raccontiamo, ma anche quello in cui stiamo in silenzio, spesso stremati dalle nostre lunghe giornate.
Martedì sera, però, Anna, “la grande”, tra una polpetta e un pomodoro, mi domanda: “Mamma, ma essere genitore è bello o brutto”.
Com’è essere genitori?
Il mio mezzo neurone si guarda attorno alla ricerca di un collega amico che apra il cassetto delle risposte “socialmente” utili. Io guardo Anna, poi mi volto a destra verso Niccolò, che beve un sorso d’acqua e poggia subito il bicchiere perché la sorella ha fatto proprio una gran bella domanda. E mi guarda anche lui, in attesa di una risposta.
Anna è una bambina molto razionale, io la chiamo il “tenente colonnello”, per lei il mondo è per lo più classificabile, pertanto, ponendomi quella domanda, vuole sapere effettivamente se essere genitore sia bello o brutto.
Essere genitore è bello. È bello sentire l’odore del lattante e carezzare la pelle liscia di un bambino. È bello sentire la vostra risata a crepapelle. È bello perché ti ricorda che essere bambini è un privilegio raro e diventare genitore ti fa tornare un pò bambino. È bello la mattina quando vi svegliate e, caldi di letto, vi arrotolate a me; o quando la sera vi addormentate beati, perché, nonostante tutto, avete trascorso una buona giornata. È bello perché ci baciamo e ci abbracciamo per il solo gusto di farlo. È bello quando giochiamo, ci strapazziamo, disegniamo e coloriamo senza regole, ci coccoliamo, ci rincorriamo e solletichiamo. È bello quando durante le recite, i saggi, le gare, mi cercate con lo sguardo e mi fate ciao con la manina.
Essere genitori è brutto
Essere genitori è brutto. È brutto dover cambiare continuamente pannolini, materassi rigurgitati e pulire la cacca arrivata fin sulla nuca 5 minuti esatti prima di uscire. È brutto sentire le vostre urla a squarciagola. È brutto perché noi genitori abbiamo dimenticato com’è essere bambini, anche se ci reputiamo ancora giovani. È brutto la mattina quando le tre parole continuamente ripetute sono “Forza, Dai, Andiamo”; o quando la sera sono così stanca che l’unico desiderio è che voi andiate subito a letto. È brutto quando “ci guardiamo male” per il solo gusto di farlo. È brutto perché litighiamo, discutiamo, ci arrabbiamo, voi fate capricci e io dò punizioni. È brutto quando, nei lunghi pomeriggi invernali, ti sembra di correre come un portalettere per smistare i “pacchi figli” in giro per palestre o corsi pomeridiani.
Martedì sera, ore 20:01.
Il mio mezzo neurone rimasto in circolo ha deciso di prendersi un minuto e di aiutarmi a rispondere alla domanda di Anna. Poggio la forchetta, scanso la polpetta, bevo un sorso d’acqua, li guardo, lei a sinistra e lui a destra. Nei loro occhi mi sembra di vedere i miei e quelli del loro papà. E rispondo.
Essere genitori non è né bello né brutto.
Essere genitori è un incantesimo
Essere genitori è un incantesimo.
Essere genitori è incantarsi ad osservare le tue mani Anna che, pochi anni fa, cercavano di afferrare l’apina della giostrina meccanica e, adesso, gesticolano per darti un ritmo mentre ripeti la lezione sull’antico Egitto. Essere genitori è incantarsi ad osservare i tuoi occhi Niccolò che, pochissimi anni fa, riempivano il tuo piccolo volto e, adesso, incorniciano il tuo sguardo curioso dell’Universo.
Essere genitori è incantarsi ad osservare i vostri piedi che, da neonati, guardavate con stupore per capirne il loro uso e che, adesso, vi accompagnano a conoscere il mondo con lo stesso stupore.
Essere genitori è un incantesimo, che ci permette di distinguere la vostra voce tra altre mille voci di altri mille bambini.
Essere genitori è un incanto perché ogni minima parte del vostro corpo ha preso corpo nel mio corpo, proprio come un incantesimo.
Essere genitori è quell’incanto che ti permette di vedere il bello nei momenti brutti e di temere sempre qualcosa di brutto nei momenti belli, perché la paura più grande di un genitore è proprio quella che l’incantesimo possa finire.
Martedì sera, ore 20:05.
Io riprendo a mangiare. Alla mia destra Niccolò inforca la polpetta. Alla mia sinistra Anna, il “tenente colonnello”, prende con una mano il bicchiere d’acqua mentre l’altra, timidamente, si avvicina alla mia e la accarezza. Il mio mezzo neurone è distrutto, si ritira nei suoi appartamenti e si crogiola in quel calore che arriva dall’impulso della mano di Anna sulla mia. Perché quel calore è la testimonianza che, forse, la sua domanda apparentemente semplice, in qualche modo, ha avuto una risposta solo per me apparentemente complicata.