Caro futuro sindaco di Palermo,
cari candidati al Consiglio e alle Circoscrizioni, vi scrivo alla fine di una campagna elettorale grigia, come lo sono state tante altre campagne elettorali.
In queste settimane, alcuni di voi hanno affollato il mio whatsapp di messaggi continui, virali, a volte, consentitemi, massacranti. Specie quando mi sono arrivati da persone che stanno nella mia rubrica per l’incrocio di un momento. Perché, come direbbero i tanto a me cari semiologici, abbiamo condiviso nella vita un minuscolo campo semantico. Ed è bastato perché vi prendeste licenza di augurarmi ogni mattina il buongiorno e la buonasera a fine giornata. Nel mezzo il carosello della vostra propaganda, le promesse, gli inviti all’aperitivo, alla mostra, alla colazione elettorale. I vostri primi piani ritoccati, perché senza filtro oggi dove ti presenti?
Ho sorriso. Pensando a quanto sia fittizio il vostro quotidiano pensarmi, a fronte di una reciproca indifferenza nei testi e nei contesti della vita reale. Va bene così, la legge del candidato che si ricorda di parenti, amici o di qualsivoglia conoscente in tempo di elezioni è vecchia quanto il diritto di voto.
Sorrido, se penso alla volta che ho deciso di partecipare, per mera curiosità, a uno dei troppi appuntamenti elettorali. Un matinèe con guantiere di dolci, caraffe di caffè, parenti impomatati e il candidato al centro, giovinastro, medio borghese, capelli à la page e una certa aria “del continente” di chi già si sente una spanna sopra gli altri. Mi sono avvicinata e mi sono presentata e il candidato si è a malapena speso in un saluto, tornando frettoloso ai suoi discorsi con il suo mecenate politico. In quel momento ho chiarito i miei dubbi. Se non mi racconti di te e del tuo piano elettorale, vuoi che mi convinca l’estetica della tua colazione o la perfezione della sua cornice? Se non mi degni di attenzione oggi, che politicamente dipendi dalla mia preferenza, cosa farai una volta eletto? Ho alzato i tacchi e sono andata via.
Ed ho sorriso ancora quando ho visto un altro candidato, anzianotto stavolta, in un pubblico ufficio, adescare vecchine, proponendo loro: “Se non ha come andare al seggio, vengo a prenderla personalmente, così di passaggio le offro anche un gelato.” Ed allorquando una delle sprovvedute ha esclamato: “Ho il certificato elettorale scaduto ma manco so come andarlo a rinnovare!” Eccolo il candidato, uomo della pietas, offrirsi volontario: “Vengo a prenderla domattina presto e andiamo insieme a produrre il duplicato. Per qualsiasi cosa mi chiami pure, ecco il mio numero di telefono.”
Ho sorriso anche quando, il giorno del grande anniversario della strage di Capaci, li ho visti in tanti “indossare” la faccia di Falcone per promuovere la propria. Povero Giudice, chissà cosa avrà pensato là dove si trova adesso, lontano e al sicuro da questa fame d’aria. E poveri loro, che per rimediare voti hanno dovuto pure scomodare i martiri.
Ed ho sorriso anche quando, senza opportunità, chi non era il caso che lo facesse, è tornato in pista a sostenere candidati, a proclamare cose belle e buone. Che oggi lo può fare, sebbene non possa personalmente candidarsi, ma non sarebbe stato meglio fare quel famigerato “passo indietro”? Che motivo c’era di metterci nuovamente la faccia?
Non sorrido affatto però quando vedo il massacro quotidiano di questa città
Quello che ti fa venire voglia di andare via, perché qua pare una giungla.
I rifiuti davanti alle scuole. Che sono la regola è mai l’eccezione. I marciapiedi impercorribili, “la puzza e lo schifo” come dice mio figlio e i nostri bambini rassegnati, che a cinque anni imparano a fare la gimkana tra materassi abbandonati, vecchi tv color depositati per strada e cacca e piscio di cani (di cani?) dappertutto. L’odore di Palermo è questo, mi disse una volta un anziano dalle parti del mercato del Capo. E io pensai che era una sorte impropria che una città tanto bella avesse l’odore della puzza.
Mi disgusta dover fare quotidianamente storie con il parcheggiatore abusivo, che è l’alfa non solo della mafia e della mafiositá che si respira in città da mattina a sera, ma anche, mi si consenta, dei tanti occhi chiusi, che hanno reso impresentabile Palermo.
Sono insopportabili questi giovinastri con la faccia da piantagrane, che diventano padroni di una, due, tre, cento strade e quindi di tutta Palermo, al suono intimidatorio dei loro fischietti. Che poi li smonti con due parole, quando ci fai il callo, a meno di non avere la scalogna di incappare in quello particolarmente violento. Penso però agli anziani, agli sprovveduti, costretti a pagare il pizzo quotidiano a questa gente e a farlo con la rassegnazione, che è diventata la cifra di tanta gente perbene qua in città. Perché, cari candidati, le persone perbene a Palermo sono i fessi, non prendiamoci in giro. Sono quelli che rispettano la fila, che sanno fare silenzio e che purtroppo sono costrette ad accettare il verso dei troppi ignoranti, che predano la città.
Quindi, cari candidati, sono sincera, non fosse che per dovere morale e per legittimo esercizio di un diritto sovrano, io a votare non andrei, perché non mi avete convinta. Potevate pulire strade, parchi e cortili, fare una politica del sapere e del saper bene, prima di organizzare cocktail e colazioni e di farvi la guerra all’ultima infamia. Potevate partire dal basso, dove non ci sono riflettori, perché dal basso questa città va cambiata. Dalle scuole fatiscenti nei quartieri poveri, dai bambini senza zaino, libri e quaderni. Taluni di voi potevate usare la cortesia, in luogo della baldanza. Così da pensare che forse qualcosa cambierà, sebbene ne dubiti. E soprattutto potevate evitare di darmi il buongiorno quotidiano in queste settimane, quando, per una vita, non ci siamo neppure mai detto ciao e probabilmente così continuerà, vincitori o vinti che sarete.