Sono tanti i casi dei siciliani, tornati dal nord Italia tra la prima e la seconda settimana di marzo, che ancora attendono di fare il tampone.
Sono stati in 35.000 a registrarsi nell’area dedicata nel portale della Regione Sicilia, questo all’indomani dell’ormai celebre contro-esodo dal nord. Le spiegazioni erano tutto sommato chiare: dichiarare il proprio rientro, notificare un domicilio e lì rimanere fino a quando, sempre l’Asp di riferimento, non avrebbe contattato per l’esecuzione del tampone. Nel frattempo divieto assoluto di uscire dal domicilio e di incontrare anche i congiunti del sud, seppure fossero stati parenti di primo grado.
Abbiamo fatto un sondaggio anonimo, con alcuni dei siciliani tornati a cavallo tra la prima e la seconda settimana di marzo ed è risultato che almeno il 35% degli intervistati non è ancora stato sottoposto al test.
Le testimonianze
“Sono una studentessa e sinceramente ho avuto tantissima paura. A Milano non ho parenti, non ho riferimenti certi e tramite i canali di informazione serpeggiava l’allerta. Non ho preso il treno, ma un costosissimo volo, finanziato in fretta e furia dai mie genitori. Terrore, panico, voglia di fuga. Solo in un secondo momento ho avuto senso di colpa. ed è successo quando, sempre dai media, sentivo notizie sulla possibilità di essere asintomatica. sull’eventualità di attivare inconsapevolmente una catena di contagi. Arrivata ad Agrigento ho fatto la quarantena insieme ai miei genitori. Un’imprudenza? Non saprei. Mi sono registrata subito al sito della regione, in un secondo momento, sempre tramite il web, ho letto di un nominativo di un impiegato della mia asp, a cui fare riferimento. Ho chiamato due volte, ma senza successo. Ho mandato una email, ricevendo la risposta che c’era un sovraccarico di test da effettuare e che sarei stata contattata quanto prima. Ad oggi non ho ricevuto alcun contatto telefonico per fare il tampone. Con i miei genitori abbiamo osservato quindici giorni di isolamento rigidissimo, con i parenti che provvedevano a lasciare la spesa fuori dalla porta, poi ovviamente, considerato che le settimane passavano e che non avevamo sintomi, abbiamo iniziato a fare le uscite consentite e necessarie. Non credo che possiamo aver arrecato male ad alcuno.”
“Sono rientrata al sud per necessità. Ho un bimbo piccolo, mio marito lavora in Sicilia, ha una libera attività e io sono in attesa di trasferimento. Nei giorni ‘della fuga’ ero già in smart working. Mi sono soffermata a pensare cosa avrei potuto fare e razionalmente ho deciso di tornare. La nostra residenza è in provincia di Palermo, dove abbiamo casa di proprietà e tutte le nostre cose. In provincia di Milano abbiamo una sistemazione temporanea: un appartamentino di circa 40 mq in affitto, senza balconi ma solo finestre. Era verosimile una quarantena, diventata poi cinquantena, con un bimbo di due anni in un contesto del genere? Non giudico chi ha avuto paura di noi, rientrati dal nord, e non voglio neppure essere giudicata. Una volta giù io e il mio bambino ci siamo ritirati a casa nostra, mentre mio marito, che ha seguitato per qualche giorno a lavorare in negozio, si è trasferito dalla madre. Dopo poco meno di quindici giorni la famiglia si è riunita, anche perché mio marito aveva chiuso il negozio. Attendiamo ancora che qualcuno ci chiami per il famoso tampone, ma ovviamente oggi, se capita il bisogno di fare la spesa o di andare in farmacia, non mi sento più una potenziale mina vagante di contagio. Certo mi domando come mai prima siamo stati invitati a denunciare la nostra presenza e poi siamo stati abbandonati alla sorte, senza sapere cosa fare e come quando interrompere l’isolamento assoluto.”
In merito al tamponamento di quanti sono rientrati dal nord si sa per certo che le varie asp siciliane hanno attivato un servizio di tamponamento basato su due metodi: per appuntamento in taluni centri convenuti o a domicilio (per esempio per soggetti sintomatici). I test, nelle varie province dell’isola, sono partiti tra fine marzo e i primi di aprile. Fonti interne all’Asp di Palermo ci raccontano che il numero di operatori e i mezzi a disposizione per i prelievi sono proporzionalmente inferiori al numero di potenziali tamponamenti. 35.000 verifiche sono una mole di lavoro enorme, sia in termini di prelievo che di verifica.
Il parere dell’esperto
Nei giorni scorsi abbiamo intervistato, sul tema, il dottore Tullio Prestileo, infettivologo, in prima linea nella lotta al Covid all’ospedale Arnas Civico di Palermo.
“Sono molti i casi di persone che, registratesi dopo il rientro dal nord al portale della Regione Sicilia, attendono di essere chiamate per fare il tampone. Si è stabilito un ordine cronologico ma anche di priorità, dando precedenza ai chi ha dei sintomi franchi da Covid. È evidente che se io sono rientrato dal nord il 9 marzo e dopo un mese sto ancora bene, la necessità di fare il tampone è scarsa.”
QUESTE PERSONE PERÒ SONO ANCORA OBBLIGATE A UNA QUARANTENA RIGIDISSIMA, CON OBBLIGO TASSATIVO DI RIMANERE A CASA. COME FARE?
“Sarebbe opportuno che queste persone, che non hanno ancora fatto il tampone, allorquando non presentino sintomi da almeno 20 giorni dal rientro dalla zona a rischio, parlino con il medico curante. Il medico dovrà notificare l’occorrenza all’Asp e quindi avviare una valutazione clinica del paziente, così da decidere se esiste o meno il rischio contagio. Passate più di tre settimane dal rientro della zona a rischio e in assenza di sintomi, la necessità clinica e anche epidemiologica del tampone inizia a diventare trascurabile. Medico curante di concerto con l’Asp devono far sì che chi non è rischio possa allentare la maglia della quarantena rigidissima a cui finora è stato sottoposto, quindi sì a brevi e necessarie uscite.”