Il punto della situazione nello Stato dell’Africa centrale sembra essere sotto controllo.La zona coinvolta dalla temuta forma infettiva si estende su nove delle trenta aree sanitarie di Panzi, nella provincia di Kwango, dove sinora sono stati circa 450 casi. La maggior parte riguarda bambini di età compresa tra 0 e 14 anni (64,3%). Ci sono stati 31 decessi, tutti casi gravi segnalati come gravemente malnutriti di cui il 71% è di età inferiore ai 15 anni e il 54,8% sotto i 5 anni.
La mortalità è del 7,6% e l’epidemia è ancora in corso. I principali sintomi associati includono difficoltà respiratorie, anemia e segni di malnutrizione acuta. Sulla base dei sintomi clinici osservati è stata elaborata dall’Oms una definizione di caso, che sta guidando gli sforzi di sorveglianza e segnalazione per condurre un’analisi epidemiologica dettagliata.
Professore Pregliasco, i sintomi sono grosso modo quelli influenzali, ve n’è uno differenziale che possa far pensare a un virus sconosciuto?
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Febbre, tosse, dolori articolari sono i sintomi sovrapponibili alle patologie influenzale o a quella da Covid. L’anemia, che è comune ai soggetti colpiti da questa infezione, potrebbe destare qualche sospetto. Ricordiamoci però che parliamo di popolazioni malnutrite, in una regione assai arretrata e periferica, dove i livelli sono sotto quelli dell’umana sopravvivenza. Lì si convive con infezioni gravi quali la malaria, che può causare degli stati anemici importanti e cronici.
A proposito di malaria, l’83% dei campioni analizzati sui contagi ne risulta positivo. La malattia del Congo potrebbe essere quindi la combinazione di questa con altre infezioni, quali quella influenzale, il Covid, la polmonite? Se così fosse possiamo escludere la minaccia di un nuovo virus?
In merito alla genesi di un nuovo virus sono ottimista, ma cauto. Agli occhi di un esperto, la causa più comune dell’infezione in Congo è la sovrapposizione di più agenti infettivi, virali e/o batterici. Facendo questo mestiere ormai da diversi decenni, posso affermare che non sarebbe neppure la prima volta che ci troviamo di fronte a una simile condizione in un paese sottosviluppato. Occorre però osservare ed essere cauti, sennò quanto accaduto a febbraio 2020 non ci sarebbe da insegnamento. Ci sono delle differenze sostanziali rispetto all’epidemia da Covid. Intanto in quel caso la Cina è stata poco limpida e non ha comunicato in tempo reale la presenza di una malattia velocemente epidemica e riconducibile a una forma virale ex novo. Dell’infezione circolante in Congo stiamo venendo a conoscenza quando i contagi e i morti sono ancora contenuti, e ci auguriamo che tali rimangano, ovviamente tenendo in considerazione i ragionevoli limiti di divulgazione comunicativa, che ha una regione così povera e periferica del mondo.
Quale che sia la genesi dell’infezione, dal Congo potrebbe partire un contagio più ampio a livello internazionale?
Professore, un salto fuori tema e un cenno veloce all’influenza stagionale, quale è il trend in Italia?
Abbiamo quest’anno la combinazione di due tipi di virus, A e B. In Italia l’influenza ha già colpito più di cinquecentomila persone e non abbiamo ancora registrato il picco. Fortunatamente i dati non sono scoraggianti: nel trend generale osserviamo sintomi comuni, quali febbre, dolori articolari, tosse, rinorrea. Anche il temuto rischio di encefaliti è sotto controllo, nel senso che si sono verificate e si verificano, ma come complicanza assai rara dell’infezione. Il consiglio è quello di vaccinarsi, chi non lo ha fatto è ancora in tempo e di tutelare i fragili, evitando i contatti con questi in presenza dei comuni sintomi influenzali. Ricordiamo infatti che un conto è l’influenza per una persona immuno-competente, un altro è per i soggetti anziani e compromessi. Quindi prudenza e buon senso, soprattutto in vista delle festività.