L’ultimo film di Gabriele Muccino è un pugno nello stomaco. Già il titolo, A casa tutti bene, lascia aperte un paio di grandi finestre, che ora si affacciano sul luogo comune, ora sulle tante contraddizioni che popolano le famiglie (di ieri, di oggi, di sempre). Il film porta avanti il topos della cinematografia di Muccino: l’infelicità nei grandi sentimenti.
In questa pellicola, il regista romano, si ferma a pensare al luogo ideale dove farli, appunto, maturare questi grandi sentimenti, di cui erano gravide le sue due pellicole più note (L’ultimo bacio e Baciami ancora). Quale luogo non luogo se non la famiglia per installare la narrazione? Ovviamente parliamo di una famiglia “ideale”: granitica, estesa, con una matriarca sorridente, piaciona, ma sotto sotto furba quanto basta per non soccombere alla complessità della pletora di figli, nipoti e di un marito rabbonito solo dalla vecchiaia.
La trama è semplice
Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti) festeggiano cinquant’anni di matrimonio e per l’occasione decidono di radunare, sull’isoletta dove si sono rifugiati da tempo, tutta la famiglia. Un’impresa non facile, considerato che i tre figli, interpretati da Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino e Sabrina Impacciatore hanno esistenze tutt’altro che semplici.
Accorsi interpreta Paolo, un quarantenne bohemienne, che si dichiara scrittore (ed in realtà di libri ne ha pubblicati solo un paio e senza troppo successo), che vuole girare il mondo (rimediando un solo viaggio degno di un avventuriero), che ha cercato di mettere su famiglia con il solo risultato di non vedere suo figlio da chissà quanto tempo. Che rimedia un amore con la più improbabile delle donne da amare (non vi sveliamo chi). In contraltare ci sono Carlo (Favino) e Sara (Impacciatore), che tengono in piedi il ristorante di famiglia, uno dei fiori all’occhiello della buona cucina romana. Anche per loro però le strade sono in salita. Carlo si barcamena in una famiglia ricomposta e tutt’altro che serena. Separato da Elettra, dalla quale ha avuto una figlia, nel film adolescente, si è risposato con Ginevra (Carolina Crescentini, superlativa nei panni della seconda moglie bella, ma senza fascino, odiosa, gelosa, petulante, nella summa delle sue insicurezze), dalla quale ha avuto la piccola Anna. Sara (una sorta di Penelope dei giorni nostri) è una quarantenne “bon ton”, moglie paziente e silenziosa dello “spensierato” Diego e mamma di un bimbo tanto bello quanto fragile. Ai protagonisti si legano i comprimari. La coppia di “trasteverini” interpretata a perfezione da Gianmarco Tognazzi e da Giulia Michelini. Sono i cugini poveri di quella famiglia di ricchi e irrisolti. Aspettano un figlio e si presentano sull’isola con il pretesto di festeggiare gli zii. In realtà vogliono chiedere ai parenti facoltosi una seconda chance, quella che potrebbe regalare “l’avvenire” al bimbo che attendono. Con loro un’altra coppia di parenti, interpretati da Massimo Ghini e Claudia Gerini. Una coppia tardiva, che si riscopre quando i giochi delle rispettive vite sono già fatti, ardendo di scompaginare un destino già scritto. Lo stesso destino (vendicativo) però, gli gioca un brutto scherzo: il personaggio interpretato da Ghini si ammala prematuramente di Alzheimer. C’è poi un’altra mamma chioccia, meno suadente e sicura di sé della Sandrelli. È Sandra Milo, che resta bella malgrado gli anni che passano e l’infelicità del personaggio che interpreta.
Tutto comincia nel migliore dei modi
Una villa accogliente, di quel lusso leggero, che i ricchi infondono al loro buen retiro marinaro. L’isola profonda e malinconica fa da sfondo (si tratta di Ischia, ma nel film non se ne pronuncia mai il nome, anzi l’allusione pare a un’isoletta dell’arcipelago laziale).
I festeggiamenti durano il tempo di una santa messa e di un banchetto. Poi tutti gli invitati (tolto il dente del dovere) dovrebbero tornare alle loro vite, ma un inciampo fa sì che i piani siano scompaginati. Il maltempo blocca i traghetti e quei parenti, tutto sommato estranei alle loro stesse origini, sono costretti a stringersi sull’isola, dentro quella villa che ora è sì bellissima, ora esplode dei peggiori sentimenti. Tra una chiacchiera, un bicchiere di vino e una canzone strimpellata al pianoforte, scoppia la rissa. Come è d’uso nella cinematografia mucciniana, si alzano i toni, si va in escandescenza ed è un gioco di rinfacciamenti, di parole ardite, di odi covati per decenni, mai sopiti ed esplosi come un ordigno puntato da lungo tempo.
La famiglia raccontata da Muccino, ben interpretata dal suo cast, racconta tante famiglie e probabilmente scoperchia un vizio presente in ciascuna di tutte le famiglie immaginabili.
Si esagera nel concentrare in un solo contesto tante somme di odio, ma ovviamente parliamo di un film.
Fa riflettere, fino all’ingoiare una lacrima amara, la veridicità di certi personaggi e di altrettanti contesti.
La difficoltà delle famiglie allargate, che nuotano tra le onde della gelosia e la bonaccia dell’affetto. La consapevolezza della malattia, che quando arriva non lascia facoltà di scelta (non sempre, ma spesso).
La certezza che la fortuna, nelle grandi famiglie, è dispensata ora per merito ora per caso.
La visione di quell’angolo dove si collocano “gli sfigati”, che avrebbero potuto fare ma non hanno fatto. Vuoi per cattiva volontà, vuoi perché la ruota non è mai girata dal verso giusto. L’invidia (mal) travestita dal migliore dei sentimenti. Ed ancora i dilemmi dei fratelli (sei tu o sono io il prediletto?), che non sempre si comportano da fratelli. Che capita si vedano poco, che covano vecchi rancori e finiscono con l’amarsi perché devono.
C’è poi l’emblematica figura di Alba, Stefania Sandrelli. Una donna ampia e sorridente, che capisce tutto, ma dimostra di comprenderne meno della metà. Una mamma che ha fatto una scelta: amarli tutti, ma anzitutto amare sé stessa. L’ultima scena del film dice tutto. Basta spoiler però. Andate al cinema. Ve lo consigliamo perché, anche in un frammento del film, vi ritroverete e vi confronterete con voi stessi. E ritrovarsi e confrontarsi, fa stringere i denti, ma non può che fare bene. Buona visione.