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La sindrome di Hikikomori. Quando la tecnologia diventa “malattia” e mette a rischio anche i piccolissimi

La sindrome dell'era 3.0 colpisce soprattutto i giovanissimi. Sta però diffondendosi anche tra i più piccoli. Ecco i consigli dell'esperta per correre ai ripari.

 

Le dipendenze – come le tendenze – si sono evolute con la società: si pensi a quella dal cibo, dal gioco d’azzardo e, soprattutto, a quella dal mondo virtuale. La cosiddetta cocaina digitale : smartphone, social media, internet in generale e videogiochi. È banale dirlo ma, entrando in una pizzeria, per esempio, gli adolescenti stanno ognuno col proprio smartphone a conversare con altri, escludendosi dall’interazione con gli amici al proprio tavolo. Stessa cosa vale per gli adulti. Affrontiamo l’argomento con la psicoterapeuta Florinda Picone, che lavora proprio a SerT – servizio tossicodipendenze – che oggi si occupa anche di tutte le dipendenze moderne.

Un varco – trappola verso una “realtà altra”

In certi – e non rari – casi l’individuo si trova intrappolato nell’uso limitante del cellulare: il suo utilizzo diventa patologico quando  limita la nostra vita e quando esso diventa l’unico oggetto sul quale convergono i nostri pensieri, le nostre emozioni. Non facciamo altro che pensare a chi ci ha scritto, chi ci ha accordato i suoi like, come se il resto dell’identità reale della persona venisse tagliato fuori e praticamente si perdesse.
Quella racchiusa nello schermo fra le nostre mani diventa l’unica realtà possibile. È una realtà altra, una realtà virtuale che ci ingabbia, dove ognuno fa emergere una parte diversa di sé. È così che si diventa, facendoci scudo con lo schermo, più coraggiosi, più forti, come se tutto diventasse più facile, alla portata. È qui però che si rischia di restare vittima del giudizio degli altri, proprio perché maggiormente esposti.

Come i ragazzi Hikikomori

C’è una sindrome in Giappone definita di Hikikomori – letteralmente “isolarsi” – ed è un disagio sociale diffuso nell’adolescenza. I ragazzi colpiti da questa sindrome, in sostanza, rimangono segregati esclusivamente nella propria camera, racchiusi nella realtà virtuale senza mai più uscire, neanche per mangiare. Quando hanno fame, si fanno portare il cibo in camera. È così che il soggetto si esclude dalla vita sociale, dalla scuola, fino all’isolamento totale. Questa sindrome sta prendendo piede anche in Italia. Il demone non è internet, il cellulare o qualunque dispositivo o applicazione o social media che sia: la colpa è solo nostra. Non facciamo altro che trovare un alibi in cui rifugiarci e nel quale i nostri disagi sociali si dissolvono. Pensiamo a chi è molto timido e viene escluso dai coetanei nella vita reale: egli troverà la possibilità di costruirsi un’identità diversa, ideale, nel mondo virtuale. Contare i like per i ragazzi è divenuto l’unico momento di gratificazione. Simo di fronte a un problema sociale che ha a che fare con le difficoltà nelle relazioni delle nuove generazioni: i ragazzi di oggi sono molto soli.

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Cari genitori, sappiate volgere lo sguardo alle emozioni reali dei vostri figli

Non esenti da colpe sono anche i genitori. – sottolinea la psicoterapeuta. Un mio giovane paziente – racconta – mi diceva: “a me i genitori non fanno altro che chiedere come vado a scuola, ma io voglio che mi si chieda come va con gli amici, se mi sono innamorato, come sto dentro”. I genitori di oggi fanno fatica ad occuparsi degli aspetti emotivi dei propri figli.
Gli adulti usano strumenti come tablet, cellulari per ipnotizzare i figli. Un genitore che fa fatica a coinvolgere il bimbo trova in un video il modo per imbambolarlo, così non se ne deve occupare. È come se si dovesse debellare la noia per il proprio bambino. Imbambolare bimbi di tre, quattro, cinque anni davanti allo schermo di un dispositivo non è di certo opportuno. D’altra parte, se le cose vengono vietate – e qui parliamo dei ragazzi più grandi – rischiamo di alimentare la tentazione del proibito. Bisogna dunque far sperimentare il mondo virtuale ai propri figli con la giusta misura. Non bisogna bandire le cose, perché questo porterebbe ad a farne uso di nascosto. Farne giusto uso porta all’equilibrio. Quando invece si travalica il confine si incontra la patologia, che si evidenzia con l’astinenza data dalla dipendenza. Internet, dispositivi e videogiochi, se usati invece nel giusto modo, stimolano la creatività e i ragazzi riescono a trovare riscontro nelle proprie abilità cognitive in giochi alla play station o relazionali-di comunità su internet.

Noi al SerT – ci racconta la dott.ssa Picone – aiutiamo i ragazzi ad apprendere stili di vita alternativi, come il semplice dialogare senza prevaricare l’uno sull’altro. È facile rifugiarsi nella dipendenza da Internet e social media quando si fa fatica a vivere le relazioni reali; è necessario gestire questo conflitto e farlo diventare un confronto.

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Mamme che allattano col cellulare in mano

Ci sono mamme che allattano col cellulare in mano: ciò avviene perché la donna in questione ricerca lo stare nel qui e ora e contemporaneamente in un altrove e non pensa invece a godersi il calore materno, la bellezza di allattare il proprio bambino nel totale abbandono in quel legame connaturale con lui.

Facebook, bambini e la nascita di una nuova fobia

Non c’è una regola univoca da seguire per quanto riguarda l’incontro tra bambini, ragazzini e social network, c’è piuttosto una crescita che si deve maturare e constatare. Perché altrimenti prenderemmo la patente a diciotto anni? Ci può essere un arricchimento ma, dall’altro lato, si nasconde una trappola difficile da gestire: si pensi all’esposizione a pericoli come la pedofilia.
Ci sono bambini dai nove agli undici anni che hanno sviluppato una nuova fobia che consiste nella paura che qualcuno possa fargli una foto o un video e pubblicarlo. È una fobia tutta moderna che deriva dall’eccesso che si è acquisito nel rendere tutto pubblico, alla mercé di chiunque.

Le nostre menti come pendoli oscillanti tra dipendenza e astinenza

A livello cognitivo si si attivano centri neuronali che fanno scaturire ormoni che generano eccitazione ed è lì che scatta la dipendenza. E, come tutte le dipendenze, se ne vuole sempre di più: quando l’adrenalina si esaurisce si entra in uno stato depressivo che ci porta a ricercare la fonte di piacere. Ansia e nervosismo, insonnia e dolori che sono psicosomatizzazioni fisiche: questi i sintomi di astinenza dall’uso di internet e dispositivi La dipendenza va a braccetto con l’abuso. Le cronache ci riportarono non molto tempo fa la storia di un ragazzo che, dopo aver trascorso un’intera notte su internet, non riusciva l’indomani a trovare la strada di casa. Casi del genere avvengono perché, a causa di quell’abuso che va ad annullare anche le ore di sonno, si perde la percezione del tempo e dello spazio e si giunge alle allucinazioni, confondendo la realtà col mondo virtuale.. Veri e propri sintomi psicotici ci fanno vedere o sentire cose che non ci sono nella realtà, come se tutto debordasse. In alcuni videogiochi, per esempio, la violenza viene fuori senza tabù e può debordare nel mondo reale sino a distruggere le relazioni sociali, facilitando l’aspetto aggressivo di noi.

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L’unica cura a questa dipendenza – sia per i ragazzi che per gli adulti – sta nelle relazioni sane, nello stare bene al mondo con se stessi e con gli altri, nell’esprimere le proprie capacità e capire di potersi realizzare e appagare nel mondo reale. Internet è solo un rifugio, una via di fuga, dal disagio di non riuscire a vivere e a stare bene al mondo.

Abbiamo intervistato Florinda Picone

psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico e gruppo analitico. È socio fondatrice dell’Associazione Spazio Rêverie, una realtà dove professionisti come psichiatri, psicologi e psicoterapeuti lavorano attivamente e organizzano eventi per la cura degli aspetti psicologici e relazionali. Lavora anche al SerT, dove si occupa di dipendenze comportamentali e in ospedale al sostegno dei pazienti nelle aree più critiche, come il reparto di oncologia.

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