I nostri bimbi? I campioni del mondo. Non è solo una frase motivazionale da genitori fieri, che enfatizzano le doti dei loro figli. Oggi questo sta diventando un mantra, una tendenza educativa, che se non è prerogativa di tutti, lo é sicuramente di molti. Parole d’ordine: performare, primeggiare, essere i migliori sempre!
Carburare l’autostima dei figli, a detta di taluni genitori, è indispensabile per farli districare bene tra le difficoltà del mondo, che non tarderà a mostrarsi nei suoi aspetti più spinosi. Siamo certi, però, che questa sia la giusta direzione?
Ne abbiamo parlato con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e docente universitario a Palermo.

Professore, è legittimo inculcare ai nostri figli la mentalità dei numeri uno?
“È ovvio che ogni genitore, fosse pure il più saggio, nutra aspettative e maturi orgoglio nei confronti dei propri figli. Pompare oltremodo l’autostima e la competitività però ha un lato della medaglia sicuramente negativo. Va bene motivare e farlo sin da piccoli, ma occorre stare attenti a non esagerare.”
Quale il contraccolpo della generazione da enfant prodige, super performanti e perfettini?
“Se da un lato stimolare l’ambizione è legittimo, dall’altro esasperare talenti, attitudini e traguardi può stressare il bambino e portarlo a un senso di frustrazione di fronte alle inevitabili sconfitte della vita, contro le quali potrebbe trovarsi del tutto impreparato. All’incoraggiamento e al complimento, deve seguire anche un comodo atterraggio sulle piste della realtà. Oltre a quella del ‘sei il migliore’ dobbiamo anche insegnare la filosofia del ‘bisogna saper perdere’. Ricordiamoci inoltre che i genitori non possono essere ovunque e comunque. Quindi, oltre a puntare sull’autostima del proprio bambino, dobbiamo anche dare gli strumenti per barcamenarsi nel mondo, che non sarà così protettivo e applaudente come lo sono mamma e papà.”
Eppure dietro certe esclamazioni vi è il desiderio del genitore di sanzionare i traguardi del figlio, cosa che non accadeva qualche generazione fa…
“I genitori super compiacenti sono i figli di una generazione dove vi erano maggiori regole, sicuramente una superiore severità e un forte senso dei ruoli e delle regole. Al tempo, il buon voto a scuola veniva visto come il compimento del proprio dovere, oggi invece è spesso enfatizzato. Al rimprovero della maestra, seguiva verosimilmente quello del genitore. Oggi invece può succedere che se l’insegnante richiama un allievo, questi venga a sua volta richiamata da mamme e papà, che non vogliono sino messi in dubbio la buona fede e il buon senso del loro piccolino. Tutto ciò sta portando a un depotenziamento dei ruoli: se l’insegnante verrà bacchettato dal genitore, va da sé che perderà autorevolezza agli occhi degli allievi e questo a loro svantaggio. Se priviamo i nostri figli delle coordinate del rispetto verso nonni, genitori, insegnanti, educatori, creeremo in loro non solo un vuoto educativo, ma anche una concezione confusa delle gerarchie educative di riferimento. Mamma, papà e insegnanti non sono amici dei più piccoli, non devono avere un ruolo paritetico, perché sono figure educative che devono dare una guida e delle quali possono fidarsi.
Perché i genitori di oggi siamo diventati tanto friabili, per usare un termine di un celebre romanzo, “L’età fragile”
“La difficoltà sta nella gestione della frustrazione anzitutto dei genitori stessi. Se non accetto che mio figlio sia rimproverato o che prenda un brutto voto a scuola, sto in realtà proiettando nella sua sconfitta la mia, perché lui è un mio prolungamento. Affermare che il proprio figlio non si tocca, neppure di fronte a un ‘banale’ richiamo dell’insegnante, vuol dire in realtà che noi genitori ci sentiamo in prima persona offesi e umiliati, con il tramite di nostro figlio.”
Si usa spesso il termine performanza e si traduce nel desiderio che i figli primeggino in tutto: a scuola, nello sport, nelle tantissime attività extra-curriculari. Perché succede?
I figli possono diventare una proiezione narcisistica dei genitori. Proiettiamo in loro quel che noi avremmo voluto essere. Desideravo essere ballerina e non ce l’ho fatta? Ecco inculcare la passione per la danza nella mia bambina. Vale lo stesso per i mancati campioni del calcio, per i potenziali primi della classe incompresi. Proiettiamo sogni e aspettative personali nei nostri bambini, pensando inconsciamente che possano riscattarci. In realtà non è così. Suggerisco sempre ai genitori l’arte del coltivare la noia insieme ai loro bambini. I piccoli non devono per forza fare qualcosa di progettuale e produttivo. Non è obbligatorio che facciano sport, teatro o che studino tre lingue. Per carità, è verissimo il detto mens sana in corpore sana, va bene educare alla cura del corpo e dell’alimentazione, senza che però questo diventi ossessivo sia da parte dei genitori, che dei bambini.
Facciamo praticare loro sport e altre discipline collaterali a quelle scolastiche, ma non ossessioniamoli, anche solo indirettamente, con l’aspirazione a essere dei campioni. Va bene motivare e sancire il successo, ma è necessario farlo con misura. Questo a vantaggio di uno sviluppo armonico della mente e del cuore dei nostri bambini.