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Angela, la mamma che era bella, ma puzzava

Un libro geniale di Antonio Franchini, che racconta di una madre senza filtri e senza scrupoli

Hai presente uno schiaffo al viso, quando non te lo aspetti e con il pubblico presente?

“Il fuoco che ti porti dentro”, di Antonio Franchini, per me é stato questo.

Un libro che ti addolora eppure vorresti che non finisse mai.

Non é un caso se ne scrivo nel giorno della festa della mamma.

Oggi mi sono ripromessa un social detox, perché l’ostentazione delle mamme perfette mi fa venire il voltastomaco. Anzi, qualche tempo fa, quando ero mamma da poco, ero così spaesata da credere alla retorica (molto social) delle mamme e delle figlie senza punteggiature a casaccio o baci a vuoto. La vita e i suoi quotidiani labirinti mi hanno fatta ricredere. Questa però é un’altra storia.

Dicevo del libro di Antonio Franchini, é un romanzo che inizi a leggerlo e a schiaffi ci prenderesti l’autore.

Come si permette di svergognare così la madre, che non può più manco replicare?

Nessuno gli ha insegnato che il tuo si difende, storto o dritto che sia?

Che figlio degenerato!
Quindi continui a leggere e ti incanti, perché lo stile é unico, sfiora il genio: il ritmo,  la ricerca dei termini, la punteggiatura volutamente audace, quell’intercalare in vernacolo, che calza a pennello e non ti annoia, come ormai accade con i tre quarti dei libri che grondano un dialetto da dozzina, invece che da unità.

Questo libro ti spiazza perché ha il coraggio di chiamare cose, persone, fatti e leggende con il loro nome proprio. L’apoteosi la tocca già nelle prime righe: “Benché da molti sia considerata una bella donna, mia  madre puzza.”
Che incipit diabolico. Che lampo di genio!

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Una madre, colei che dovrebbe essere la quidditas del bene, é invece la creatura del disprezzo. L’autore, il figlio, così dichiara senza orpelli. La detesta perché é cinica, senza cuore, malpensante e invidia il bene altrui. Non perché lo vorrebbe lei, quanto perché nessuno, a parte lei e pochissimi eletti, meritano al mondo il privilegio della buona sorte. Odia il mondo, soprattutto quello felice, annusa il male anche nel bene alla spicciolata. Il saluto gentile della vicina di casa bonacciona. Così, per dirne una.

É paranoica, ma pure colta e intelligente.
“Zoccola, zoccola”.

Tutte le femmine per questa madre di una Napoli fuori contesto sono così.

”Zoccola, é na zoccola.”

Le giornate di Angela sono un canzoniere di ingiurie verso il mondo e l’altro mondo, retropensieri e improperi. Ci prova Angela a farsi un’amica, a prendersi a cuore qualcuno. Macché. “Pure issa é na zoccola.”

Sarebbe semplice se il termine si limitasse al solo significato di donna dai facili costumi.
Per Angela questo insulto ha un’ermeneutica assai più larga. Zoccola significa falsa, ipocrita, perbenista, voltagabbana, utilitarista e in ultimo anche zoccola, in senso stretto. Ovviamente.

Che personaggio, Angela. Leggi di lei, di questo figlio screanzato che ne sputtana i lati più meschini e quasi quasi ti sta simpatica.

Angela, che a leggere bene ti somiglia anche un po’. Perché suvvia, quel lato oscuro del cuore ce lo abbiamo tutti. Quella “tinturia” che ingoi subito dopo averla pensata. Che ti fa vergognare un attimo dopo. A chi non succede? Ad Angela tutto ciò capita nel quotidiano e lei ne va pure fiera. Questa schiettezza di vita, il suo essere politicamente scorretta, la maniera di azzoppare il buonismo (non parlare ad Angela delle signore a modino, quelle da “tesoruccio” e “ti voglio bene” manco il tempo di conoscerti) a un certo punto te la rendono quasi familiare.

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Resta una figura ostile, un’attaccabrighe, un sasso d’inciampo. Angela: un compendio vivente di tanti difetti, però indossati con stile.

Leggere questo libro é una sorta di autoanalisi, perché nelle pagine di Antonio Franchini ci sono tutte le famiglie disfunzionali possibili. La mia, la tua, la loro. Perché le pagine hanno il coraggio di smontare quel po’ che rimane dell’utopia da famiglia perfetta. Scardinano uno status symbol, che ultimamente ci ha imbrigliati. Difatti, dopo averlo finito, sospiri di sollievo e pensi: caspita, quest’uomo deve averla amata tanto sua madre e ancora tanto la ama. Sennò non le avrebbe fatto questo monumento di carta. Non le avrebbe urlato tanto dolore anche oltre la fine. Non le avrebbe concesso di accaparrarsi dei suoi pensieri e di farne arte, grazie a questo romanzo, che é uno dei migliori della letteratura contemporanea.

Bravo Antonio Franchini e grazie ad Angela,  anti eroina, che era bella, ma puzzava.

Che è somma di imperfezioni, pur sentendosi epistemiologicamente perfetta.

Che ha un pezzo di me, di mia madre, di mia nonna e chissà di quante altre donne.

Il fuoco che ti porti dentro, Antonio Franchini, Marsilio.

 

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