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La nazionale del 2006 e quel principe tunisino, che mi tatuò una rosa sulla gamba

Ricordo di un periodo di gioventù, senza salite e carico di gioie. Rifletto anche su tempi in cui molte cose erano ben diverse da oggi

Il 9 luglio del 2006 ero giovane, bella e felice. Anche presuntuosa, lo ammetto. L’italia era in finale ai mondiali e io, da lì a pochi giorni, avrei disputato la mia finalissima. Discussione di un’arzigogolata tesi di laurea (sperimentale) sul festival di Sanremo, alla quale avevo lavorato per un anno e mezzo, con tanto di progetto “intercattedra” a Bologna, al dipartimento di Semiotica di Umberto Eco (mio personale mito, di fatto, visto di persona e di sfuggita, giusto un paio di volte). Mi sentivo in cima al mondo. Questa cosa, poi, dell’Italia, a un passo dal grande passo, in tandem con il mio traguardo, mi dava un po’ alla testa, mi eccitava parecchio.

La finale del 2006

Ricordo quella sera come se fossero passate appena 24 ore. Io, i miei amici del paesello, una pizzeria in collina ed uno schermo, neanche troppo maxi. Avevamo con noi un paio di giganteschi tricolore. Un vestitino bianco assai minimal, si poggiava, a perfezione, sopra la mia abbronzatura favolosa. Nella mia comitiva c’era anche un amico di infanzia, Salvatore, in assoluto, l’amico che conosco da più tempo. Avevamo in comune il traguardo della laurea, a un solo giorno di distanza l’uno dall’altra. Tifavamo come due forsennati, anche se a me del calcio non è mai fregato nulla. Io amo il ciclismo, sport decisamente più cervellotico e romantico, quindi adeguato alle mie complesse corde. Tra un fremito e mille sospiri, l’Italia arrivò ai rigori (quando mai vincere facile, siamo italiani).

Cannavaro re d’Italia

Ricordo un paio di massime eccellenti, imparate quella sera:

1) Secondo voi esiste un masculu megliu d’Iddru?Frase pronunciata, con folclore, da una mia simpaticissima amica all’indirizzo di Fabio Cannavaro.

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2) Faccia di brutto colore, se non è un infame è un traditore (la disse solennemente l’amico Salvatore, riferendosi al cruciale Zinedine Zidane).

Rigori. Suspence. Rituali antisfiga. Vinciamo! Non può essere. Noi italiani, sempre a un centimetro dalla gloria, saliamo sul tetto del mondo? Dai non ci credo! Le urla del telecronista di Rai 1 ci portano alla realtà: “Il cielo è azzurro sopra Berlino. Campioni del mondo, campioni del mondo”.

Evviva la nazionale di calcio

Saltiamo come bambini. Ci infiliamo dentro il tricolore. Ci abbracciamo anche con gli sconosciuti del tavolo a fianco. Siamo felici di essere italiani. Quella sensazione, probabilmente, in molti, tra noi popolo del Bel Paese, l’abbiamo provata per l’ultima volta proprio quella sera di 15 anni fa. Il giorno dopo, con due care amiche, organizziamo una gita al mare. Avevamo ancora addosso tutta l’adrenalina della sera precedente. Eravamo belle, ornate solo dei nostri 25 anni e dell’orgoglio dei trionfatori. In spiaggia si avvicina un ragazzo di colore. È uno di quei tatuatori “all’hennè” e venditori “di uno di tutto”.

Ci sorride. “Auguri belle ragazze. Che bella figura ieri sera”.

Quella frase ci manda in delirio.

Gli facciamo posto nel nostro pezzetto di spiaggia e, per premiarlo per quelle quattro parole, avviamo la trattativa per i tatuaggi. Eravamo, lo ripeto, giovani, belle e spensierate. All’epoca, poi, fb non esisteva (non per noi), quindi non potevamo sapere nulla degli effetti “potenzialmente letali” di un tatuaggio all’hennè fatto promiscuamente in spiaggia da un comunissimo “vù cumprà”. All’epoca, anche i vù cumprà erano visti con occhi diversi. Ci stavano simpatici. Erano per come si presentavano. Punto e basta.

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Il principe che mi tatuò una rosa

Mi tatuai un’enorme rosa rossa sulla gamba destra. Mi sembrava la cosa più figa del mondo. Due giorni dopo “andai a laurearmi”. Elegante nel mio tubino rosso medio, trucco e parrucco adeguati alla circostanza (né troppo, né troppo poco), quindi la mia rosa sulla gamba trionfante e vistosa. In sottofondo l’orgoglio di essere italiana di un’Italia vincente. Il giorno dopo il grande giorno, ricevo l’augurio più bello, forse il solo che non ho dimenticato. Diceva più o meno così: “Brava Mari, ma ci pensi, sei diventata dottoressa l’anno in cui l’Italia ha vinto i mondiali. Ti porterà fortuna. Quella cagata di rosa sulla gamba potevi risparmiartela però ?”.

Quando penso a quel giorno importante ricordo giusto un paio di cose. La nazionale campione del mondo, quell’augurio simpatico e quel ragazzo di colore, che mi convinse a tatuarmi un’orribile rosa, che ritrovo in tutte le foto di quella bellissima giornata. Lo ricordo quel tizio di colore: robusto, età indefinibile,  denti cavallini e candidi, modi simpatici. Mentre impregnava di hennè la mia gamba destra, mi raccontava di lui e sciorinava una storia comune: “Tu devi sapere che io ho due lauree, io ingegnere e mia nonna principessa in Tunisia”. Erano tutti ingegneri i vù cumprà di una volta e non avevano in vena una sola goccia di sangue, che non fosse blu. Ci stavano simpatici anche per questo. Erano altri tempi. Tempi in cui l’italia vinceva i mondiali e se un ragazzo di colore si avvicinava, anche solo per quattro chiacchiere, gli facevi posto e ti facevi prendere simpaticamente in giro, da innocenti racconti da mille e una notte. Che male c’era. Era giusto che anche loro, destinati a un futuro da venditori di piccoli desideri e orribili rose all’hennè, sognassero, all’indietro, un passato in grande. Erano davvero altri tempi. Forse migliori di questi.

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