Passare giro di boa del ferragosto genera due tipi di sentimenti: sgomento per gli amanti dell’estate e sollievo per chi, alla maniera di Natalia Ginzburg, ritiene che passato il 15 si torni a respirare e a vedere più vicino il sollievo d’autunno.
Siamo comunque e ancora nel pieno delle ferie agostane e di quella maniera contemporanea di intenderle: fotografare ogni cosa, così da immortale cibi, tramonti, aperitivi e qualsivoglia incontro, con amici storici, con conoscenze dell’ultima ora, con parenti di ogni ordine e grado e ovviamente con i congiunti più stretti. Quindi, per la maggior parte, non per tutti, inizia il battage sui social. Nelle ultime ore abbiamo assistito a un tripudio di immagini e video: grandi comitive, famiglie riunite, orde di bimbi nei luoghi di villeggiatura. Imperativi categorici: felicità assoluta, hashtag #solo cose belle#. Tutto deve essere perfetto, esattamente instagrammabile, al limite é concesso l’inciampo nell’opposto (roba da “mai più in questo ristorante”), ma guai a pensare alle vie di mezzo. Le vacanze sui social devono essere “issime”, in un mondo, quello reale che é per natura frangibile e imperfetto. Eppure un tempo le vacanze servivano per fare “vuoto”, per staccare la spina, per disconnetterti dalla vita di sempre. Oggi per molti é impensabile mollare il telefono e non documentare ogni cosa delle proprie vacanze.
Perché tanta esibizione? É davvero necessaria?
Da cosa scaturisce?
Ne abbiamo parlato con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e primario al Policlinico di Palermo.
“Se autunno e inverno sono stagioni intimiste – dice La Barbera – tempi che orientano all’introspezione e privilegiano gli spazi interni, il calore degli ambienti domestici ed il fuocherello del camino, in estate tutto esplode all’esterno. Dai corpi agli amori, dalle emozioni ai desideri, dai colori agli odori e a tutte le sensazioni. In estate le nostre vite vengono dislocate fuori dagli spazi domestici, e riconfigurate tra mari e monti, viaggi ed escursioni, musei e parchi tematici. Ci mostriamo agli altri, a volte con discrezione ed eleganza, altre volte – non raramente – in modo esibitivo ed ostentativo, dimenticando che gia’ l’etimo stesso della parola mostrarsi, “monstrum” ci ammonisce sugli esiti di dubbio gusto, se non addirittura nefasti, di una esposizione esasperata e indiscriminata dei nostri corpi e delle nostre vite. Se l’estate e’ il tempo in cui si va fuori e ci si fa vedere, va da se’ che i social rappresentano, di questa stagione, la sponda privilegiata. Gia’ da maggio – giugno in poi i loro contenuti sono riorientati da questa dinamica esternalizzante, che li riconverte in viaggi, vacanze, crociere, luoghi di villeggiatura, boschi, campeggi, località esotiche, spiagge, mari e relative nudità al seguito, a volte mostrate con discrezione ammiccante, altre volte con insistenza esasperante.
Non staremo esagerando? Perché lo facciamo?
Va da se’ che potersi vetrinizzare in uno spazio che amplifica la visione ad un numero piu’ o meno grande di potenziali utenti del nostro corpo, del nostro cibo, delle nostre performance, accentua la tonalità edonistica della nostra esposizione agli altri e delle emozioni che vorremmo poter suscitare in loro. Sono bello, sono bravo, sono ricco, sono contento, sono fortunato, sono in forma, sono gaudente e impenitente.Ecco che i social (provate a verificare anche adesso) divengono il luogo della falsificazione edonica e voyeuristica delle nostre ed altrui esistenze, un catalogo di pseudo bellezza e di felicità simulate, che però – a ben vedere e a ben pensare – ci ricordano che le emozioni piu’ belle e più vere sono quelle private, che condividiamo con le persone care e vicine, e che elaboriamo con la nostra anima e non coi Social.
Qual é l’altra faccia della medaglia?
Tutto quello che stiamo dicendo deve pero’ necessariamente fare i conti col fatto che – dai tempi, per la verità non lontani, in cui nelle esperienze personali si privilegiava in assoluto la privacy ad oggi – sono cambiati i costumi, la sensibilità, il comune senso del pudore, e quindi non e’ neanche demonizzabile una eccessiva voglia (anche se a volte diventa frenesia) di esporre le immagini liete e piacevoli della nostra vita. Magari potremmo soltanto ricordare che le esperienze sono piu’ belle e più intense quando le viviamo in maniera piena e partecipata , in totale presenza, che vuol dire senza scattare foto, senza postare, senza contare i like, e quindi senza distrarsi rispetto a cio’ che di bello si sta sperimentando, e che queste esperienze rimangono conservate nella nostra anima dove, come scriveva Francis Scott Fitzgefald, non c’é fuoco, né gelo che le puo’ sfidare. Potremmo pure tenere presente che l’attuale continuo diluvio di immagini digitali dalle quali siamo costantemente allagati, tende a silenziare e a depotenziare le immagini interne, quelle dell’immaginazione, quelle che hanno una grande rilevanza per la nostra vita interiore e per la nostra anima.
Quale sentimento guida il mostrarci necessariamente felici?
Pensare di poter rappresentare agli altri le nostre vacanze felici é comunque un’ingenuità: la felicità è un orientamento nei confronti della vita che mette insieme una profonda armonia tra tutti i nostri livelli esistenziali o al massimo, é fatta di fugaci momenti di pienezza e di totale benessere, durante i quali e’ molto improbabile che si senta il bisogno di armeggiare col proprio dispositivo nella nostra spasmodica ricerca di effimero e impermanente apprezzamento da parte degli altri. Piuttosto é interessante notare che nella dialettica tra avere ed essere di cui ci parla magnificamente Erich Fromm, l’uomo postmoderno comincia a dare sempre piu’ importanza all’essere, ma inteso – con una diversa declinazione da come rifletteva Fromm – come ricerca continua di esperienze; ecco, i social, rispetto a questo spostamento postmoderno della dinamica esistenziale dall’avere all’essere, potrebbero rappresentare un tentativo illusorio quanto fallace di potenziare il dominio dell’essere, proprio attraverso la condivisione delle esperienze; sotto questa prospettiva non rappresenta un meme banale del pensiero cartesiano dire che oggi “condivido ergo sum”, ma questo tentativo si dimostra fittizio e inefficace se consideriamo lo scollamento irreparabile tra l’intensità dell’esperienza vissuta e l’irrilevanza dell’esperienza trasferita in digitale, suscettibile di attrarre per pochi secondi l’utente dall’altra parte dello schermo che – al di là di like e faccine d’ordinanza – ci riserverà, nella migliore delle ipotesi, una benevola indifferenza, nella peggiore una punta di invidia e di livore.
Qualche ricetta per la nostra estate social?
Postiamo con equilibrio e discrezione, con buon gusto e senza ostentazione, concediamoci lunghe e ristoratrici pause dal cellulare e dal tablet che ci consentiranno di godere pienamente delle nostre vacanze e dei momenti di meritato relax, e cerchiamo sempre di realizzare un buon uso dei social come parte della nostra piu’ ampia e significativa ricerca – come scrive Salvatore Natoli – del nostro buon uso del mondo.
Professore, un piccolo esercizio “immersivo” dentro se stessi può aiutare?
Basterebbe disconnettersi del tutto per una decina di minuti al giorno. Scordarsi del cellulare, chiudere gli occhi e lasciare campo libero all’immaginazione di cose belle. Un po’ come fanno i bambini. Che fantasticano anche su cose impossibili da realizzare. Provare per credere.