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Il trasloco, le scarpe di Mirabel e la letterina del maresciallo

Piccola cronaca di un momento di passaggio

La casa nasconde, non ruba!

Prima o poi tornano gli oggetti persi, quelli fagocitati dalle spalliere dei mobili, quelli messi via troppo bene. Le cose imboscate perché di poco valore. Quelle che conservi seguendo l’ermeneutica del “non si sa mai”. Gli orpelli antipatici, i regali non graditi, le bomboniere di pessimo gusto, le inutilità stipate nel cassetto dedicato agli oggetti da dimenticare.

La casa non é furtiva e fa tornare tutto a galla.  Tal quale a una mareggiata, che  riporta a riva  la qualsiasi. Vizi e virtù. Coralli e rifiuti. Succede così  quando traslochi. Nel mio caso, dopo oltre un decennio di vita vissuta in una casa, che dall’inizio sapevo già non sarebbe rimasta mia. Certo é che quando ti allochi non pensi al distacco,  vai come un turbine. Ti appropri degli spazi, li contamini con i tuoi odori, vi installi il tuo gusto. Quando é il momento del distacco, realizzi e inizi a smantellare cose, mobili e pezzi di vita.
Inizi per gioco, mesi prima del giorno cruciale. Riempi una scatola con i vestiti della stagione in scadenza. Che sarà mai disfarsi dei maglioni pesanti mentre bussa la primavera? Quindi prosegui con i libri mai letti, i giocattoli vecchi,  il servizio di piatti della nonna. Vai avanti per giorni, seguendo il criterio del togliere ciò che non é indispensabile. Inizia così il viaggio all’indietro. Tra cose materiali, che nel frattempo sono diventate ricordi. Inviti a matrimoni finiti da un pezzo. Foto che ti prendono a schiaffi, vestiti di quando eri giovane. Li guardi e ricordi quel tempo in cui ti pareva necessario mostrare le gambe o la schiena per sentirti migliore. Oggi non lo faresti manco pagata. Mentre gli scatoli si ammassano in ogni dove, arrivando al punto da diventare essi stessi lo spazio, comprendi che devi fare delle scelte drastiche. Devi donare quel che é ancora in ottimo stato e devi buttare via quel che non serve più. Ho seguito un criterio semplice: questa cosa non la uso da anni, ne avevo pure dimenticato l’esistenza. Via!
É valso per vestiti, tazzine, coperte e oggetti senza qualità, di quelli che acquisti a pochi euro tra i bancali dei centri commerciali. Costa talmente poco, non posso lasciarlo lì. Un diktat di tanti. Così, mentre cambi casa, ti accorgi del tuo consumismo.

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Un trasloco é un cambio di vita

É una presa di coscienza: accumuliamo senza necessità. Sperperiamo  perché é un esercizio non spirituale, che gratifica e affascina.

Lasciare o dare via?

Un mantra che mi ha accompagnata per settimane e che mi ha dato il coraggio di tagliare rami secchi, anche con il passato più bello. Perché é poetico conservare culle, fasciatoi, passeggini e marsupietti. Biglietti di musei, del Café Sacher, del Moritzino , il primo sky pass della vita, le carte d’imbarco, il pass stampa del Festival di Sanremo, dei Giri d’Italia o il più importante, quello del Conclave 2013 (sto facendo la spaccona, che male c’è?). Questa e tanta altra paccottiglia. Cose che non avresti lasciato andare via per niente al mondo. La ragione é semplice: le cose cristallizzano la felicità, la fissano nei ricordi. Noi esseri umani invece non ne siamo capaci. Non é nella nostra natura. Siamo ondivaghi, sinuosi, cambiamo stati d’animo come fossimo foglie al vento.
Coraggio. Via anche quegli oggetti. Facciamo una prova: la vita che vi si assiepa dentro la trasferiamo nella testa. Finché vi resterà.

Arriva il grande giorno con la sua frotta di “energumeni”

 

Gli omoni grandi e grossi che devono smantellare ogni cosa e farlo senza grazia, senza pietà, senza alcun rispetto dei miei addii. É il loro mestiere, smontare case per rimontarle altrove. Nel giro di 24 o al massimo 48 ore. La mia casetta in centro storico vuota di mobili, di cose e di persone. Vuota di me. L’ho guardata perbene: alcune stanze mi sono sembrate minuscole, altre grandissime. Che illusione ottica dona il vuoto.
Quindi eccoci a casa nuova, anche questa piena di pacchi, di mobili e suppellettili montati con il gusto discutibile degli “energumeni”. É scoppiata la bomba atomica. Come faremo? É solo una fase. Passerà. Faremo ordine. Prenderemo le misure e anche questo posto si inonderà dei nostri odori, lo obbligheremo al nostro gusto, vivrà della nostra stessa temperatura.

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Ho giurato a me stessa che non acquisterò neppure uno spillo. Ho eliminato il superfluo, ora deve restare il necessario.

Tra i pacchi con il titolo “varie” sbucano due cose importanti. Lo sono soltanto per me. Difatti per un pelo non finivano nel cassonetto dei rifiuti. Un foglio di carta con una dedica. L’ha scritto mio zio Salvatore, il mio maresciallo dei Carabinieri. Era l’augurio per un Natale di tanti anni fa. Poche parole che grondano amore. Mi chiama nipotina e mi scrive come se lo facesse alla Maristella bambina, anche se al tempo dell’augurio avevo almeno trent’anni. Che privilegio non scontato l’essere voluto bene. Piango a dirotto, di consolazione, di conforto, d’amore. Ci sono poi due scarpine di bambola. Mirabel di Encanto. Un giocattolo che il mio bambino ha tanto desiderato, subito dopo aver visto questo film monumento della Disney. É una storia che racconta la famiglia: fragile come il cristallo, dove l’amore si costruisce, non va da sé. Parla di questa ragazzina caparbia e piena di difetti, che ce la mette tutta per unire, senza obbligare, per lenire, senza dire bugie. Le scarpine di Mirabel le cercavamo da tanto. Ce le ha restituite il tralosco. Il cambio di vita. Loro, tornate insieme alla lettera dell’adorato zio maresciallo. Segni buoni, auspici, numi tutelari. Cose piccine, che ai più parevano senza valore e che per me hanno dato senso al tutto. La casa nasconde, non ruba. Fosse così tra gli uomini, il mondo sarebbe migliore.

Ps: Mi sono permessa di definire energumeni gli operai che hanno permesso il mio trasloco. É ovvio che non sono tali. Era solo un modo figurato per raccontare l’impatto deflagrante che ha avuto per me vederli all’opera. É stato un termine politicamente scorretto, che ho usato con criterio, ironia e volontà.

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