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Il giorno dell’Immacolata e la mia cartolina hot nel cuore di Roma

Un ricordo di gioventù sbarazzino e festaiolo

Della vigilia dell’Immacolata conservo un ricordo “romano”. Era una delle stagioni più felici della mia vita, ed io, ovviamente, non me ne rendevo conto. Avevo venticinque anni, una laurea in tasca, uno stage in un’azienda prestigiosa e la presunzione necessaria per sentirmi invincibile. Beata me che, al tempo, cedetti al delirio di onnipotenza… che poi la vita, volenti o nolenti, ti fa decollare sopra piste incerte. Era appunto il sette dicembre e vivevo in un adorabile, puritano e vecchissimo collegio di via Urbana a Roma. Il rione Monti, per chi non lo conoscesse, è un set degno di Woody Allen: romantico, retrò, gustoso, lento.

La vigilia dell’Immacolata in collegio

Condividevo la mia stanzetta umida con una collega lombarda, una certa Simona con il cognome tronco, che però non ricordo più. Era una ragazza dai capelli ricci e dalla pelle olivastra, alta quasi due metri, ossuta e resistente come un ulivo secolare. Non era simpatica, ma aveva il cuore pulito. Quel giorno a Roma faceva un freddo cane e noi avevamo in tasca, sì e no, una decina d’euro. Da buona siciliana rimpiangevo le vigilia di Immacolata da nonna Tatà, trenta intorno a un tavolo, a mangiare ogni ben di Dio e a fare l’alba giocando a tombola e al mercante in fiera. Quel giorno mi sentivo dannatamente malinconica e tristemente povera, non tanto per la mancanza di quattrini, quanto per l’assenza di tutto il resto. Con Simona principiammo di fare un giro in centro, dalle parti dell’Esquilino e proprio davanti alla basilica di santa Maria Maggiore ci fulminò un’idea: “E se comprassimo un gratta e vinci?”.

 

La provvidenza del Gratta e vinci

Da buona nordica Simona esitò, ma poi decidemmo di devolvere metà delle nostre finanze alla giusta causa. Acquistammo il biglietto, grattammo et voilà vincemmo 100 euro: un patrimonio. Ci abbracciamo, ridemmo, cantammo, ci mancò poco che non piangessimo per il privilegio del bacio in fronte della fortuna. Timidamente proposi: “Simona, e se con questi cento euro, crepi l’avarizia, organizzassimo una festa in collegio. La organizziamo alla siciliana, vedrai che ci divertiamo”. Lei prima mi guardò storto, ma poi si allargò in un sorriso d’assenso, il più bello che io le abbia visto stampato in volto. Quando si è lontani da chi ci è più caro, poco importa se siamo del nord o se siamo del sud, l’idea del tepore ci rende tutti simili.
Andammo alla “Sma” e ci sbizzarrimmo tra salsiccia, tortellini, salmone affumicato, lambrusco, panettoni, panforti, ricciarelli e cannoli siciliani, molto molto distanti dalla vera idea del cannolo siciliano.

Chiamammo a raccolta tutte le fanciulle del collegio: Consuelo, che diceva sempre “Maremma maiala”, Simona e Giorgia, le sarde tutte curve, Francesca la crepuscolare calibresella e poi Crì la catenese e la prediletta di tutto l’ambaradan: Victoria del Alambra. Festeggiammo felici, con tortelli in brodo, salsiccia fritta, salami, mortadella e pane caldo. Dolci, vino e risate ubriache a fare da sottofondo. Eravamo strette strette in una cucina striminzita, con le mattonelle grigie di vecchiaia e di poca cura. Davanti a noi, dal terrazzino, vedevamo il palazzo del Viminale, con un bell’abete al centro del cortile. Ubriache di vino e di felicità, lo contemplammo almeno per un’ora, smangiucchiando biscotti allo zenzero dell’Ikea (cacchio che buoni). Coinvolte dagli ottimi propositi della sbronza ci lanciammo una sfida: “domani tutte in reggiseno e slip sul terrazzo, facciamo la nostra cartolina di Natale. Chi se ne pente finisce come la direttrice del collegio”. (Finire come la direttrice del collegio, vi garantisco, non era una bella prospettiva).

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La cartolina hot

La mattina seguente, lucide, ma determinate, mantenemmo la promessa. Ci “sparammo” i completini intimi migliori, ci infilammo nei cappotti e poi su in terrazza. Lì ci disponemmo in bella mostra e con la complicità della cuoca, scattamo decine di clic nelle pose più storte e ridicole che si possano immaginare. Alla faccia delle suore, della direttrice e di quel collegio puritano nel cuore di Roma. Quella terrazza era stupenda e quella mattina noi eravamo tutte belle, come Claudia Schiffer, la Bellucci, la Campbell e forse anche di più. In barba a smagliature, cellulite e seno meravigliosi e imperfetti. Ci penso e sorrido e vorrei avere l’audacia di quel tempo, di quei venticinque anni in cui il mondo pareva stare a pennello nel palmo della mia mano e la cosa che mi faceva più paura era l’aereo quando stava per decollare. Buon settimo giorno di Avvento.

 

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