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Asilo nido, nonni o tata?

Questo il dilemma di molti genitori. Uno studio ci aiuta a capirne di più

Asilo nido, nonni o tata?

L’interrogativo è complesso e riguarda tutte le mamme (ma anche i papà), che, finito il congedo per maternità, devono tornare a lavoro. Lasciare un bimbo così piccolo in “mani estranee” può fare paura. Di contro, però, non tutti i genitori possono contare sull’aiuto dei nonni, ed anche il quel caso, la domande se la soluzione “nonni” sia la migliore, è d’obbligo. L’alternativa è, ove le condizioni economiche lo consentano, l’assunzione di una tata. Il dilemma per alcune mamme è talmente forte che, in Italia, e le percentuali lo confermano, capita che alcune di queste decidano di lavorare a stipendio ridotto (così come prevede una specifica normativa) o addirittura di usufruire di un anno di aspettativa.

In merito all’annosa questione si è pronunciata la Società italiana Medici Pediatri e l’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza.

Lo studio è stato condotto su un campione di 500 famiglie (sud, centro, nord Italia),

Gli effetti dell’asilo

Dai risultati emergono due differenze significative: i piccoli che avevano frequentato il nido fra zero e due anni avevano un minor rischio di obesità, ma anche un quoziente intellettivo di 5 punti inferiore rispetto a chi era stato accudito da un adulto, che fosse un nonno o una baby-sitter o gli stessi genitori. Un calo non preoccupante, visto che i piccoli bolognesi sono risultati molto intelligenti: il QI medio era pari a 116, contro un valore di 100 della media nazionale, per cui anche i “meno intelligenti” erano comunque bimbi assai brillanti.
Bimbi meno grassi, quindi, ma anche bimbi meno stimolati?
«Il calo di QI – continua il ricercatore – è spiegabile considerando che il nostro campione ha incluso famiglie benestanti, con entrambi i genitori lavoratori e un reddito medio complessivo di 80.000 euro l’anno: i figli di questi genitori sono molto stimolati nell’ambiente domestico e non sono paragonabili ai piccoli primi in graduatoria, che arrivano da contesti sociali svantaggiati. Quando l’ambiente familiare è stimolante, per lo sviluppo cognitivo del bimbo, assume molta più importanza l’interazione uno a uno con l’adulto: l’asilo è un luogo di socializzazione quando i bambini sono più grandicelli, mentre sotto i due anni di vita le interazioni sociali con i coetanei presenti al nido sono pressoché nulle e conta invece assai di più la presenza di un adulto che fornisca stimoli».

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L’importanza del rapporto uno-a-uno con gli adulti

Il rapporto fra adulti e bambini in un nido era di un adulto per quattro piccoli al di sotto di un anno di età e uno ogni sei bimbi dopo l’anno di età. Viene perciò ridotta l’intensità dei rapporti uno a uno con l’adulto, benefico nei piccolissimi per migliorarne le capacità cognitive. Ciò andrebbe a vantaggio del rapporto uno a uno che un bimbo può instaurare con i nonni o con la tata.

Asilo utile per i piccoli meno agiati

In bimbi di famiglie in cui gli stimoli sono già molti, “togliere” l’attenzione esclusiva del rapporto uno a uno con un adulto di riferimento comporterebbe una riduzione del QI, ma in bimbi che provengono da contesti svantaggiati dove gli stimoli non ci sono, l’ingresso al nido ha solo effetti favorevoli, perché il piccolo vi trova tutte le sollecitazioni che altrimenti non avrebbe: in altri termini, esiste un gradiente socioeconomico per gli effetti cognitivi dell’asilo nido, diversi in base al contesto familiare

Meglio il micro-nido

Questi dati non dimostrano che l’asilo nido “fa male”, ma impongono semmai una riflessione sulla loro organizzazione. Perché anche i bimbi di famiglie benestanti possano giovarsene, sarebbe opportuno aumentare il numero di educatori e preferire semmai le formule micro-nido, così da portare il più possibile il rapporto fra educatori e bimbi verso uno a uno. Con vantaggi di cui ovviamente beneficerebbero anche i piccoli di contesti socioeconomici più svantaggiati.

 

Occorre però fare delle puntualizzazioni

  • I pediatri italiani raccomando l’inserimento all’asilo non oltre il primo anno di vita. La scolarizzazione, infatti, aiuta il bambino ad abituarsi ai contesti sociali. Lo coadiuva nella condivisione del gioco, ma anche nella gestione dei conflitti.
  • Un bimbo che frequenta il nido avrà degli orari più regolari, con un ritmo sonno-veglia ben delineato. Ciò favorirà la serenità del piccolo e quella dei genitori.
  • L’accudimento da parte dei nonni o di qualche parente stretto può avere dei vantaggi, purché non si ecceda con i capricci concessi e le giornate non diventino una scorpacciata di tecnologia (bimbi piazzati davanti alla tv o al tablet, così da intrattenerli, quando le ore sono lente a passare).
  • Alcuni psichiatri suggeriscono, in caso di bimbi nati pretermine, quindi necessitanti di un recupero psicomotorio, l’inserimento al nido già dopo gli otto mesi di vita. Ciò per favorire un allineamento del piccolo agli altri coetanei. Gli stimoli dell’asilo, con giochi e attività, aiuteranno il piccolo, nato pretermine, a migliorare la postura, ad arricchire le percezioni ed anche a velocizzare i tempi di acquisizione del linguaggio.
  • Secondo alcuni psicologi, coinvolti nello studio, il nido aiuta anche le mamme. Un genitore che si dedica h24 al proprio bambino non potrà che terminare le giornate con un forte accumulo di stanchezza. L’accudimento di un bimbo è un impegno fisico e mentale assai forte, il rischio stress è sempre in agguato. Il nido aiuterà le mamme, anche quella non lavoratrici, a ritagliarsi dei momenti per se, a ricaricare le batterie e a migliorare la qualità del tempo impiegata con il proprio piccolo.

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