Home » L’odore di san Martino

L’odore di san Martino

Un ricordo di uno dei miei giorni preferiti nel calendario della vita

San Martino era il giorno che per me precedeva il Natale. Era una sensazione, ovviamente, perché il periodo, che all’epoca adoravo più di qualsiasi altra cosa al mondo, era davvero lontano. All’epoca, tra i colli dove vivevo, si iniziava ad annusare il Natale solo il giorno dell’Immacolata. Mai un attimo prima. Alberi, presepi, buccellati e lucine facevano capolino a partire dall’8 dicembre, dando ragione a una logica per nulla industriale, che incastonava il Natale solo tra le atmosfere del cuore.

L’11 novembre

Dicevo dell’11 novembre, per me era un anticipo di Natale, una festa solenne, il momento in cui la monumentale famiglia di mia madre si riuniva per intero e inaugurava la collezione di pranzi e cene, che rendevano allegro e caldo il lungo inverno tra i colli.

La mattina si andava a scuola e la prima cosa era un ripasso di quella leggenda fuori dal tempo e dalla mode. Martino, baldo e nobile, in groppa a un destriero all’altezza del suo cavaliere. Martino che taglia a metà il suo pregiato mantello e lo offre a un povero. Una metafora della carità. Una storiella semplice, perché di sicuro non si diventa santi per un mantello fatto a metà con chi non ha nulla. Eppure quella storia circola tra le menti di grandi e piccini da un tempo senza tempo. Una volta, il mio prof di filosofia al liceo, il grande Lillo Sciortino, gli dedicò una lezione. Esordì, saltellando goffo tra i banchi e impostando la sua voce con tono da baritono: “Sapete perché Martino, vescovo di Tours è un santo così famoso? Perché nella sua storia vi è l’essenza della carità. La capacità singolare di dare ciò che ci necessita e non quanto ci avanza. Fu anche il primo santo non martire della storia. La Chiesa con lui pontificó che si potesse raggiungere la gloria degli altari non solo per il sangue, ma anche per il bene sparso.” Fu allora che compresi l’importanza di quel santo.

Può interessarti:  Abituiamo i bimbi alla noia, troppe attività e gratificazioni non li fanno felici

San Martino a Bratislava

Più recentemente, a Bratislava, ho visitato la cattedrale della città. È dedicata a San Martino. Vi troneggia una statua, imperfetta e bellissima. È meta di pellegrinaggi quotidiani. Di ceri votivi, di gente in ginocchio, che sparge emozioni, preghiere, financo lacrime. La cosa mi ha molto colpita perché, lo riconosco, a questo santo ho sempre associato una memoria poco liturgica e assai familiare.

La grande cena di San Martino

Ricordo nonna Tatà con un improvvisato copricapo di plastica sulla testa, che le proteggeva i capelli, messi in piega dal parrucchiere (vi si recava solo per le feste comandate). La rivedo armeggiare nella cucina “americana” nuova di zecca, conquistata a furia di lotte con nonno Cocò, che sarebbe rimasto per sempre fedele alla “cuciniera” a legna.

Era un pomeriggio che profumava di cose buone, pesanti per lo stomaco ma leggerissime per il cuore. Si friggevano salsiccia, cardi in pastella e polpette di cavolfiore. Dal forno entravano e uscivano teglie di patate al profumo di salvia, rosmarino e olio nuovo. Nell’aria si sprigionava odore di mandarini (i primi della stagione), un profumo che diventava la colonna sonora di un bellissimo periodo, da quel giorno e fino al resto di tutte le feste comandate dell’inverno. Poi si imbandiva la tavola. Si apparecchiava anche per trenta. La casa all’angolo era grande, i nonni da là non si muovevano e in quel luogo senza orpelli eri certo che ci fosse posto per tutti.

La tavola di San Martino

La tavola era semplice: i bicchieri infrangibili, con il fondo stretto e l’imboccatura larga, i piatti con il bordino di oro (finto) e decine di fazzoletti scottex sparsi in altrettanti contenitori di acciaio inox. Non esistevano antipasti o tovagliati scenografici. C’era l’essenza a far da contorno al cuore senza fine di mia nonna, che sapeva tenere unita una famiglia lunga, larga e non priva di complessità. Lode a lei che, con il pretesto di celebrare i santi, onorava il valore più grande: l’unione familiare. Era una donna granitica e burrosa allo stesso tempo. Aveva gli occhi bellissimi, di un fascino mai coltivato, scuri e intensi, dal taglio perfetto. Li conservò così fino all’ultimo dei suoi giorni.

Può interessarti:  Esistono ancora i nonni di una volta?

Ci accomodavamo alla sua tavola e lei era esattamente felice. Per noi, per lei, per quella nuova stagione di pranzi “tutti insieme” ai quali ci invitava con un monito: “Non mancare, perché io quest’anno ci sono ed il prossimo chissà”. Iniziò questa manfrina che manco aveva settant’anni e la portò avanti fino a 94 e passa primavere.

San Martino era un giorno felice. Ricordo una casa fumigante (quanto amo questa parola), odore di frittura e sapore di famiglia. Che poi nella vita le cose cambino poco importa. Il ricordo, fortuna nostra, immortala il bello e nessuno può impedirglielo.

Buon san Martino a tutti!

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

WC Captcha − 2 = 2