“Spiegare la guerra” non è facile per nessuno semplicemente perché la logica che sta alla sua base è totalmente inafferrabile e, come sostengono i cognitivisti, tutto ciò a cui non riusciamo a dare un senso ci fa impazzire, ovvero ci trasporta in una dimensione disfunzionale all’interno della quale nulla trova un posto coerente. Quando gli interlocutori sono i bambini questo meccanismo diventa ancora più complesso. Si crea una ambivalenza di fondo che disorienta. Occorre inglobare la violenza irrazionale, la paura profonda e l’angoscia perenne dentro la serenità dei sorrisi, la meraviglia della scoperta e la spensieratezza naturale. Una coesistenza difficile da sciogliere.
Evitiamo la negazione
Sicuramente negazione, evitamento, minimizzazione e censura non saranno le startegie migliori per risolvere l’empasse. Non possiamo, infatti, evitare che i nostri piccoli entrino in contatto con gli aspetti più brutti e incomprensibili della realtà ma dobbiamo, inevitabilmente, moderare questo processo.
Non esponiamoli ad informazioni ed immagini per loro incomprensibili e cerchiamo di capire cosa sanno dell’argomentoe cosa ne pensano e poi completiamo il puzzle della loro conoscenza con esempi concreti ma non drammatici perché i racconti troppo angoscianti, oltre a generare un senso di impotenza e una perdita di sicurezza, potrebbero creare un forte stato ansiogeno. Possiamo anche utlilizzare il gioco per fare emergere le loro domande e consentire uno spazio emozionale di metabolizzazione neutro legato a tutto ciò che li spaventa, oppure raccontare semplici favole arricchite con morali che sappiano stimolare empatia e compassione e riportare il finale verso la giustizia. In poche parole il concetto di guerra deve essere indissolubilmente legato ad un attegiamento attivo in grado di capovolgere le sensazioni spiacevoli.
Risposte adeguate ai bisogni dei piccoli
Essere in grado di ascoltare e condividere gli stati d’animo è una competenza importante per le relazioni interpersonali, infatti noi nasciamo con questo bagaglio emozionale ed impariamo ad affinarlo attraverso le risposte adeguate ai nostri bisogni e i buoni esempi. Sintonizzarsi con le emozioni dell’altro è un processo fisiologico che non dovrebbe mai essere evitato. Gradi e livelli dipendono dall’età e dalle competenze altrimenti la compassione rischia di essere sovraffatta dal senso di impotenza.
Indichiamo ai bimbi ciò che possono comprendere
Non abbiamo ancora superato le paure e le limitazioni legate alla pandemia né metabolizzato il loro impatto nella nostra vita ma, spinti dall’istinto di sopravvivenza, siamo riusciti a sviluppare una reattività adattiva. La nuova minaccia che incombe nei nostri pensieri porta anche il peso di questo precedente “Bombardamento Emotivo” per cui diventa sicuramente più difficile da gestire. Ancora una volta ricordiamoci di indicare ai nostri bambini ciò che realmente possono comprendere. Evitiamo di fornire solo informazioni astratte e puntiamo l’attenzione sul senso di efficacia percepita, cioè su cosa è necessario fare per sentirsi parte attiva all’interno di situazioni avvertite come spiacevoli ed incotrollabili. Diamo spazio alle paure, accogliamole, legittimiamole e forniamo strumenti per poterle superare.