“È stato solo un brutto sogno”. Inès aveva risposto così alla domanda assonnata di Stefano, il suo compagno.
Si era girata dall’altra parte del letto e si era raggomitolata intorno a quel dolore sordo, che capitava la svegliasse di notte o la sorprendesse di giorno, mentre era impegnata a fare tutt’altro. Le bastava annusare per caso nell’aria profumo di dopobarba alla mirra per riaccendere quel focolaio di dolore e farne un incendio, che le devestava la piccola serenità che, a piccoli passi e con grande fatica, stava provando a mettere su.
Chiudeva i pugni dentro quel cappotto gigantesco, che annebbiava la sua silhouette mediterranea, buttava all’indietro due lacrime e camminava a passi spediti e con la testa bassa.
Raggomitolata nel lato più solitario del letto, Inès ripercorreva, con la memoria, quella strada fatta almeno un decennio prima.
Inès era bella
Aveva 20 anni ed era bella. Non in parte, ma del tutto. Gli occhi grandi, scuri e disegnati a perfezione dentro l’ovale del viso, simmetrico come quello di una Venere dentro un dipinto. La bocca invitante, con quel labbro inferiore pronunciato ma senza esplicita malizia. Inès era bella e lo sapeva. In tanti le giravano intorno, ma lei aveva altro per la testa: l’università, la facoltà di Medicina, la specializzazione in Psichiatria e poi chissà. Aveva anche un certo candore, quella mentalità d’altri tempi che l’aveva convinta a preservarsi, per quel che poteva, non cercando “amorini” ma aspettando il “per sempre”. Che nei paesi “usava così”.
L’incontro
“Sei bellissima, sei la donna più bella che io abbia mai conosciuto e credimi, di donne ne ho viste tante. Tu hai qualcosa in più. Sei speciale, sei unica”.
L’uomo cattivo l’aveva sorpresa in una serata come tante, nel bar della piazza, mentre Inès mangiava un gelato con le amiche di sempre.
L’uomo cattivo l’aveva intercettata con gli occhi e poi si era avvicinato con una scusa stupida (perché gli uomini cattivi sono tutti stupidi). Le aveva poggiato sulla testa una corona di frasi banali e in quell’ istante aveva spalancato davanti a Inès le porte di una stanza nuova, quella segreta, quella proibita, dove i grandi dicono ai bambini di non entrare.
L’aveva anche sfiorata e lei era trasalita, avvampando per quella sensazione nuova.
Inès aveva abbassato gli occhi e la notte a venire non aveva pensato ad altro.
Non conosceva l’amore. Aveva avuto giusto un fidanzatino, di cui però non era mai stata capace di innamorarsi. L’uomo cattivo era un uomo, era grande e il pensiero di lui le tamburellava perennemente tra pancia e testa.
Lui, nel frattempo, le ronzava intorno come un moscerino ronza intorno a un neon.
Arrivò il giorno sbagliato, quello in cui Inès sacramentò che non vi fosse nulla di male ad accettare un invito a cena, solo quello e basta.
Aveva dedicato un pomeriggio intero a prepararsi per essere bella come non era stata mai. Il tubino nero a costine cremisi le scivolava a pennello sui fianchi accoglienti e sopra il seno sodo da ventenne. Lui l’aveva aspettata sotto casa dentro un abito e un auto da ricchi senza garbo. In sottofondo una vecchia e triste canzone di Alan Sorrenti, un cantante dei tempi di lui, non di quelli di Inès. Nell’aria odore di mirra: dolciastro, sgradevole, leggermente inquietante. Una, due, dieci cene. Una, due, cento rose rosse. Poi i regali, pregiati come Inès (“piccina” e proletaria) manco poteva immaginare. In mezzo grandi storie, enormi promesse e il vago declamare di un amore eterno. Lei che ascoltava, spalancava gli occhi e si sentiva felice, grande, finalmente donna. Aveva pure pensato di lasciare Medicina per dedicarsi solo a quell’uomo, che le asciugava i pensieri, occupandoglieli del tutto.
Il giorno infelice
Si incontravano ogni giorno da quasi due mesi. Si erano baciati, sfiorati. Ma lei aveva paura. Gli svirgolava sotto le mani piccole, sudaticcie e ben curate con il pretesto che si era fatto tardi e che poi suo padre, uomo troppo “antico”, il giorno dopo non l’avrebbe fatta uscire di casa. Lui annuiva: “Vai pure fatina mia. A domani amore del mio cuore”.
Usava frasi banali, pronunciate tra le labbra minuscole, con un tono liquido. Inès però di quell’uomo amava ogni cosa, seppur nulla in lui fosse amabile.
Una sera però, quando Inès voleva svirgolargli, come sempre, da sotto le braccia, lui fu convincente.
“Andiamo a casa mia, vediamo un film d’amore. Pretty woman ti piace? Piace a tutte. Poi ti riaccompagno. Sei maggiorenne, dai, non farla lunga. Tra un anno al massimo ti sposo. Digli così a tuo papà quando torni a casa”.
L’uomo cattivo aveva cambiato strada, sguardo e perfino tono di voce. Si era infilato in un viottolo di campagna. In fondo c’era una casa di quelle che sembrano piene di fantasmi. Così penso Inès vedendola in lontananza. L’uomo cattivo non parlava più.
“Scendi!”.
Le aveva ordinato.
“Dimmi che mi ami. Che tra un anno mi sposi”.
“Scendi!”
Aveva ribadito lui con severità.
“Voglio andare a casa. Portami a casa mia”.
“Scendi e basta”.
“Voglio andare a casa mia. Devo tornare a casa”.
Lui l’aveva presa di forza per un braccio e non aveva nemmeno sentito quel solo grido di paura che era uscito dalle viscere di Inès.
“Cammina dai. Ma credevi davvero che mi bastava contemplarti. Sei la Madonna? Sei una femmina come tutte le altre. Forza andiamo che pure tu non aspetti altro”.
Dentro quella villa buia e piena di fantasmi Inès era rimasta per un tempo che non aveva saputo calcolare. Aveva eseguito alla lettera tutti gli ordini dell’uomo cattivo. Aveva pensato che era giusto così. Che quel “passo” andava fatto e che lei era stata una stupida a non essersi concessa prima. Di quel tempo, di quei gesti, di quel darsi senza volerlo ricordava solo una sensazione di amaro, installata tra la bocca e lo stomaco. Solo quello. Una volta sotto casa, scendendo da quella macchina da ricchi senza garbo, aveva implorato tra i denti:
“Dimmi che mi ami. Dimmelo ti prego. Che al massimo tra un anno ci sposiamo e saremo felici per sempre”.
“Addio fatina mia, buona vita”.
L’uomo cattivo era uscito dalla vita di Inès quella sera. Senza avviso, come se non esistesse il prima, come se non contasse il dopo. L’aveva fatta sentire la regina più bella di qualsiasi reame e poi aveva giocato a calcio con il suo cuore, l’aveva strappato come la pagina di un vecchio giornale e l’aveva buttato nel cestino della carta straccia. Peggio, quella sera l’aveva mutilata del cuore stesso. Inès ingoiava lacrime. Mandava messaggi, che non avrebbero mai ricevuto risposta. Il giorno dopo e quello dopo ancora lo aveva cercato battendo tutte le strade e usando ogni mezzo. Il telefono non aveva più squilli, la macchina da ricconi senza garbo era scomparsa dai radar di quel borgo di provincia. Un buon conoscente di lui, l’aveva liquidata:
“È partito. Un viaggio d’affari. Non ci pensare più. Ti passerà”.
Inès, quella notte, ripensò a ogni cosa di quel triste pezzo di vita condiviso con l’uomo cattivo. Raggomitolata tra le braccia del dolore, allungò una mano verso Stefano. Lui ricambiò la presa. Fece di più. L’abbracciò stretta e quel calore l’accompagnò silenzioso verso l’alba. Fortuna che c’era Stefano, che dell’uomo cattivo sapeva pochissimo, quasi nulla. Fortuna che era riuscita a farsi coraggio e ad addomesticare tutto quel dolore che l’aveva colta di sorpresa mentre, piena di sogni, mangiava un gelato con le amiche di sempre. Dai tempi dell’uomo cattivo sono passati tanti anni. Inès ama Stefano. Di un amore reale, quotidiano, moderato e viscerale al contempo. Hanno due figli e insieme sanno godere della felicità, quando questa arriva. Inès però non ha mai dimenticato l’uomo cattivo, la casa piena di fantasmi e tutto quel dolore provato quando aveva solo vent’anni. Addomestica il dolore ed anche l’odio, ma non riesce a cacciarlo via del tutto. A volte vorrebbe saperlo morto, quell’uomo cattivo. Poi ci ripensa e si pente. Perché Inès è una donna buona. Spera di farcela un giorno, ma quel giorno è sempre troppo lontano.
Una storia vera
Questo racconto è tratto da una storia vera, di cui scrissi dieci anni fa su Live Sicilia. Ho romanzato alcuni passaggi. La vicenda finì sui giornali perché Inès denunciò “L’uomo cattivo” per violenza sessuale, stalking, ingiuria. L’uomo fu condannato a una pena irrisoria per il solo reato di ingiuria. Ho conosciuto Inès e ho letto nel suo sguardo spento, nel gesticolare insicuro e nella testa, istintivamente, tenuta bassa, i segni di un dolore profondo. Non so se Inès abbia raccontato tutta la verità su quella storia. Da donna penso di poter dire con certezza che Inès aveva ancora negli occhi i segni di un grande dolore. Ogni tanto penso a lei, ma in questa giornata speciale la penso ancora più forte.