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La disabilità, una questione difficile

Sofferenza, solitudine, paura, questo è spesso il mondo dei disabili. Un bel film ne parla con sincerità

La disabilità è una questione difficile. Fa stare male, isola, terrorizza. Mi permetto di usare termini così  integralisti perché ho lambito questo mondo. C’è tanta retorica intorno all’handicap ed anche quell’abusato “diversamente abile” non credo rifletta l’universo dei disabili, intestatari esclusivi di un’ isola felice e di un mostro orribile sotto il letto. Capita anche che abbiano poco di abile e tanto di tutto il resto.

Mio fratello rincorre i dinosauri

Ho visto “Mio fratello rincorre i dinosauri”, finalmente un bel film che affronta un tema spinoso come la sindrome di Down. È un film sincero, che non bluffa, che non scivola sul luogo comune, ma al contrario racconta quel che è nel quotidiano la vita di un portatore di handicap e di chi gli vive a fianco. Una famiglia modesta, tre figli, un maschio e due femmine, una coppia innamorata, interpretata da Alessandro Gassman e Isabella Ragonese, intorno il nebbiun della pianura padana. La notizie con un bruciapelo di paura e felicità ai bambini: avremo un quarto fratellino ed è un maschietto. L’inconsapevolezza che si trasforma in terrore quando, poco dopo il parto, ai genitori viene pronunciata la frase: “Vostro figlio ha la sindrome di Down. Non ce ne siamo accorti prima perché avete rifiutato controlli più invasivi, in quel caso avreste potuto scegliere di interrompere la gravidanza.”

La paura dell’handicap

Mamma e papà che fissano nel vuoto, che forse vorrebbero riavvolgere il nastro all’indietro perché sindrome di Down vuol dire handicap mentale, alta possibilità di essere cardiopatici, epilettici e tutta una sfilza di “altri guai”. Dopo l’esitazione iniziale però la coppia ingrana la marcia e la famiglia riparte con il nuovo componente. Giovanni, detto Jo, che è un “super Down”, alla stregua dei super eroi tanto amati dal fratello Jack. C’è un amore che avvolge in lungo e in largo la famiglia, ci sono i momenti di scoramento, c’è Jo che diventa grande e con lui i suoi fratelli. Jack a un certo punto si vergogna di avere un fratello “superDown, millanta in giro che è morto. Teme che farsi vedere con una ragazzino “diverso” lo taglierà fuori dal gruppo, gli brucerà la piazza con la liceale di cui si è invaghito. Ci sono equivoci, bugie da adolescenti, situazioni grandi grandi e poi c’è sempre Jo, che sorride, che ha voglia di vivere, che ama e sa farsi amare. Il finale, con tanto di canzone di Battiato (niente popó di meno che “La cura”), vi farà piangere e riflettere. “Mio fratello rincorre i dinosauri”, film tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol (il vero Jack, fratello dell’altrettanto vero Jo), va visto anche con i propri bambini. È un film che, con delicatezza, racconta verità ruvide. Parla delle barriere umane e fisiche, che ci separano da chi non è del tutto uguale a noi. Smonta la retorica che ci vorrebbe installati in una società inclusiva, che guarda sempre con misericordia al disabile. Non è così.

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Disabilità e inclusione

Vedendo il film ho ricordato una recente situazione vissuta in vacanza. In un hotel per famiglie erano ospiti anche una coppia con due figlie con una grave sindrome di spettro autistico. Durante la cena le due ragazzine perdevano puntualmente le staffe e iniziavano a a emettere suoni strazianti. Il nostro tavolo era parecchio lontano dal loro, percepivamo a malapena che ci fosse qualcosa di “strano”. Alla spicciola, per noi la loro presenza non comportava alcun fastidio o turbamento. Una sera, sostando nella hall, ho visto un gruppo di ospiti fare un reclamo formale al direttore: “Ci comprenda, abbiamo bambini piccoli, che si terrorizzano a sentire quelle urla. Soffrono loro che hanno la disgrazia ma fanno soffrire anche gli altri.”

Nel volto del direttore la costernazione di chi non ha soluzioni. Quella scena mi ha fatto riflettere. Da un lato c’era una famiglia con il dramma di una doppia disabilità, dall’altro le ragioni di altre famiglie, che non mi permetto di giudicare, perché si leggeva loro in faccia il pudore di chi sta chiedendo qualcosa di “vergognoso”. Non so come sia andata, perché il giorno dopo si concludeva il nostro soggiorno. Quel fotogramma però mi ha lasciato un piccolo dolore. La disabilità è una questione difficile, in Italia c’è ancora tanto da fare per permettere un’inclusione ancor prima che morale, almeno logistica. A Palermo, la città dove vivo, ci sono locali che quasi non ti fanno entrare se hai il bimbo che dorme nel passeggino: “ingombra”. Ogni volta mi domando cosa accadrebbe se si trattasse di un girello o di una sedia a rotelle? Esistono luoghi culturali e di aggregazione zeppi di barriere architettoniche e non va bene, non deve essere così. Noi che assistiamo, lí per lí, ci mortifichiamo ma poi passa. Chi vive la condizione dell’handicap invece è costretto ad addolorarsi per un tempo senza tempo. Questo bel film, che ho voluto recensire, ci fa bene, perché ci aiuta a ricordare tutte le situazioni in cui abbiamo assistito ai dolori e ai disagi della disabilità. Ci fa comprendere con schiettezza, toglie di mezzo gli orpelli e se vorremo potrà anche renderci migliori ed aiutarci a capire che l’inclusione non solo si può ma si deve.

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