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Vi racconto una storia di coraggio, la storia della mia testimone di nozze

Victoria è una donna forte e sorridente, che sfida la malattia e vince tutti i giorni

La donna di questa settimana si chiama Vìctoria Ràmirez Marquez. Per me è “semplicemente” Bictoria de Alhambra.
L’ho conosciuta un po’ di anni fa (non importa quanti). Eravamo due ragazze di belle speranze e con gli armadi pieni di sogni. Entrambe meridionali (sarà stato per questo che è scoccata subito la scintilla), trapiantate a Roma per realizzare un paio dei nostri grandi propositi. Io neo laureata in Comunicazione, lei studentessa di architettura, in Erasmus. Io siciliana, lei spagnola, andalusa, di Granada, la terra che profuma di cedro e che custodisce l’Alhambra.

Ci siamo conosciute di notte, dentro i corridoi di un fumoso collegio del rione Monti (uno dei posti più belli e sottovalutati della città eterna).

Lei parlava in spagnolo e io in italiano, eppure riuscimmo a comprenderci a perfezione. Sarà perché arriva un punto in cui, se c’è empatia, le lingue parlate si azzerano e ne fanno una, che si mischia agli sguardi, ai gesti, ai sorrisi e si rende comprensibile al di là di tutto il resto.
Potrei parlarvi per ore della mia amicizia con Bictoria. Un legame fatto di grandi distanze (lei vive in Spagna ed io a Palermo). Eppure quei mesi condivisi a Roma, a volerci bene davvero, come raramente succede, ci sono bastati per tagliare il traguardo dei legami che non tramontano. Perché non è necessario nutrire l’amicizia con sedute di shopping, apericena e onde di what’s app (sia chiaro: ben venga tutto, quando possibile). Quel che conta è tenersi nel cuore ed avere la capacità di ritrovarsi.
A noi succede così, ormai da un bel po’ di anni.

Di Bictoria mi colpì lo sguardo di diamante

lucido, frizzante, delle persone che vogliono bene alla vita e gliene vogliono con gratitudine. Lo intuii subito e non sbagliai. Conoscemmo insieme lo splendore di Roma, infilandoci nei suoi anfratti, installandoci a casaccio in decine di autobus, senza conoscere in anticipo a quale fermata saremmo scese. Abbiamo passato ore e ore con il naso all’insù, a piangere come bambine di fronte a cose troppo belle per essere vere. Ci confidammo passioncelle, facendo scorpacciate di tiramisù. Io la chiamavo Bictoria e lei Mariste (con un certo trillo latino sul finale). Un giorno di fine novembre, ci ritrovammo in cima alla scalinata di Trinità dei monti. Sotto di noi si dispiegava la città: noi piccine e Lei senza fine. Roma era bardata a festa con le luci di Natale. Era esattamente bellissima. Non so perché, ma in quel momento quasi perfetto, Bictoria volle dirmi due cose: “Sai Mariste, la mia canzone preferita è La vita è adesso di Claudio Baglioni”. E a seguire: “ho una malattia seria, delicata. L’ho scoperto prima di partire per l’Italia per fare l’Erasmus. Sono voluta venire lo stesso. Perché la vita è adesso, Mariste!”.
Da quel giorno, sono passati anni, eventi importanti, cadute e risalite. Victoria è un architetto e lavora con successo in Andalusia. Abbiamo sfidato le distanze, scegliendo di restare amiche “davvero”. Ci vediamo poco, ma quando capita ci abbracciamo con le braccia e con i battiti del cuore e ridiamo, ridiamo tanto (perché, diciamoci la verità, gli amici li scegli e con loro devi poter ridere a crepapelle, azzerare i convenevoli. Con gli amici veri puoi presentarti in pessima forma senza temere uno sguardo di troppo o al contrario sentirti bellissima, certa che la tua amica ti vedrà ancora più bella). Quando a Victoria ho parlato di A tutta Mamma, lei, entusiasta ha accettato di fare una chiacchierata con noi amiche del web.

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Victoria ha voluto raccontarsi a cuore aperto, parlandoci della sua malattia

e volendo donare una speranza alle donne, a quelle che vogliono diventare mamme ed a quelle che già lo sono.

Victoria, tu hai una malattia autoimmune seria, di cosa si tratta?

Da tanti anni ho il Lupus, che è una malattia cronica di natura autoimmune, che può colpire diversi organi e tessuti del corpo. Come accade nelle altre malattie autoimmuni, il sistema immunitario produce autoanticorpi che, invece di proteggere il corpo da virus, batteri e agenti estranei, aggrediscono cellule e componenti del corpo stesso, causando infiammazione e danno ai tessuti. È una malattia delicata. Che va monitorata sempre, perché può avere degli stadi acuti. Che costringe a terapie perenni e che, appunto, come dicevo prima, può compromettere diversi organi del corpo.

Eppure tu sei diventata mamma. Non era facile con questa patologia.

Hai avuto paura quando hai saputo di aspettare un bimbo? A esser sincera  si, perché sapevo delle possibili conseguenze, che poteva portare una gravidanza a rischio come quelle che vivono le donne con il Lupus. Però, quando ho scoperto di aspettare il mio bambino, ho deciso immediatamente di dire sì alla vita.

 Come ti sei curata durante la Gravidanza?

Durante la gravidanza ho seguito il trattamento con i farmaci, che assumevo ancor prima di essere incinta. Terapie cortisoniche in primis. Ho dovuto anche fare più visite mediche dal ginecologo, compresi frequenti esami del sangue. In Spagna, se hai una gravidanza “normale”, fai una visita ogni tre mesi circa, io le dovevo fare almeno una volta al mese. Quando la nascita del piccolo si avvicinava, facevo delle visite accurate ogni settimana.

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Hai fatto dei controlli particolari per te e per il bambino?

Oltre ai controlli periodici, mi sono sottoposta alla ricerca di un particolare anticorpo che se presente avrebbe potuto attraversare la placenta, provocando nel bimbo un attacco di cuore al momento della nascita.

 Quali rischi correvate?

In primis di perdere il bambino, perché il lupus (come molte altre malattie autoimmuni) considera il feto come un nemico da vincere. Ho anche rischiato che la mia malattia peggiorasse. Il bimbo rischiava una serie di cose: la sindrome del labbro leporino, come già detto un attacco di cuore alla nascita, ma anche la morte intrauterina. Un quadro non facile. Ma affrontato con amore e ottimismo. Certa che ce l’avremmo fatta!

 Quindi si può diventare mamme pur avendo una malattia autoimmune complessa come il lupus?

Per esperienza dico di sì. Si può diventare mamme, purché la malattia sia trattata per come deve e facendo tutti i controlli previsti dal protocollo medico. Il lupus rende la gravidanza ad alto rischio e quindi tutto deve essere molto monitorato. Sia per la salute della mamma, sia per quella del bambino. Io sono la prova che farcela è possibile.

Hai avuto un parto naturale e hai poi allattato?

Sì, ho avuto un parto naturale 100% senza l’epidurale e poi ho potuto allattare. Per allattare il mio bimbo, però, ho dovuto smettere, sotto controllo medico, la terapia con cortisone perché passava nel latte materno. Il bimbo si nutriva bene e cresceva ottimamente.

Cosa ti senti di dire alle donne con lupus che vogliono diventare mamme ma hanno paura?

Care future mamme, la gravidanza e la maternità sono i regali più belli dalla vita. Noi, anche se con delle difficoltà in più, possiamo diventare mamme di bimbi belli e sani. Fidatevi dei vostri medici e non abbiate paura, perché loro saranno lì per voi e vi aiuteranno nei vostri bisogni, che sono differenti da mamma a mamma.

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Quanti anni ha il tuo bambino e come sta?

Il mio bimbo, Victor, oggi ha nove anni ed è un bimbo bello, intelligente e furbo come non avrei mai immaginato. Non ha avuto nessun problema nella sua infanzia che si possa collegare con il Lupus. A primavera farà la sua Prima Comunione. Quindi, si può dire che è un bimbo normale e sano al 100%.

Auguri Victoria e complimenti

Grazie e ricordatevi che, come dice il vostro Claudio Baglioni: “La vita è adesso”!

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