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Vi presento “A tutta Mamma”

C’è una cosa che ho sempre amato tanto: il festival di Sanremo. Da piccola mi concentravo al punto da farmi venire l’influenza proprio nella mitica settimana sanremese. Sette giorni di full immersion tra tg, collegamenti con la Città dei fiori e musicasette dove tentare di registrare le canzoni nuove di zecca. Interrogatemi pure sui vincitori delle ultime 34 edizioni e io vi risponderò a tamburo battente (o quasi). Da piccola mi allenavo con tanto di spazzola (mio personalissimo microfono) a intervistare le mie bambole: Barbie era la Oxa, Tatina la morettina la Bertè e Cicciobello diventava in automatico Toto Cutugno. Avevo un sogno: andare da giornalista all’Ariston durante il festival. Lo realizzai nel 2004 ma mi costò caro: persi una cattivissima scommessa e dovetti farmi bionda platino. Vi giuro, non stavo per niente bene. Ma vuoi mettere la felicità di stare dentro la stanza dei bottoni, di scorazzare libera per quel baraccone di follie, di constatare di persona che Marcella Bella non è poi così bella, che Lionel Ritchie è un gran figo e che Toto Cutugno è alto quanto un watusso? Amo così tanto Sanremo, che gli ho dedicato la mia tesi di laurea (pensate un po’). Sono sempre stata una di quelle che, per non sbagliare, si sintonizza dieci minuti prima della sigla dell’Eurovisione e spegne la tv quando ormai girano i titoli del tg. Sanremo: una delle mie poche certezze. Perché nella vita, stringi stringi, se non ti arrocchi anche su quelle due o tre certezze tutto sommato cretine, che campi a fare?

Eppure…

Quest’anno, per la seconda volta in vita mia, vedrò il festival a spizzichi e bocconi, ascolterò strascichi di canzoni, non mi renderò conto dei cambi d’abito della Hunziker o della boutade di questo o quell’altro ospite d’onore. I super ospiti stranieri? Sicuramente arriveranno a un’ora per me talmente tarda che avrò ceduto le armi e rimedierò uno dei miei quarti d’ora di sonno vuoi sul divano, vuoi sul letto (con la testa poggiata sul comodino e il resto del corpo ostaggio del mio pargoletto).

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Sì, il mio pargoletto.

Comincia tutto da lì.

Si chiama Raffaele e mi ha resa mamma. Questa frase, se l’avessi letta qualche anno fa, non mi avrebbe fatto né caldo né freddo.

Una frase banale, come se ne dicono tante.

Poi diventi mamma e disegni una linea: quel che c’era prima ha un colore, quel che viene dopo ne ha molti di più.

Raffaele ha un anno e mezzo (poco più), è arrivato quando ha deciso lui, con tanto di colpo di scena finale (ma questa è un’altra storia ed avrò modo di raccontarvela).

Quando vuoi diventare mamma immagini mille cose. Sogni, progetti, congetturi. Poi “l’ospite” arriva e non è assolutamente per come lo avevi immaginato.

Già quando lo guardi in faccia per la prima volta pensi: ma ha un’altra faccia rispetto a quella che volevo io per lui.

Avevi ascoltato (volenti o nolenti) centinaia di consigli? Saranno puntualmente disattesi!

Avevi frequentato il corso pre parto ed eri certa di sapere tutto sul come ed il perché di quel memorabile giorno? Trovatemi una mamma che possa confermarlo e giuro che gli regalo casa mia con quanto contiene.

Avevi progettato nel dettaglio il primo mese del pargolo: allattamento, orari delle visite dei parenti, turn over dei nonni, breve week end in campagna, vestitini per il giorno e pigiamini per la sera, financo il metodo di integrazione con le due cagnone di casa? Povera illusa!

Un bebè, per quanto minuscolo ed inoffensivo, fa a modo suo e decide per se e per te. Un bebè pesa per un quarto il suo peso e per tutto il resto è pipì, pupù, rigurgitini e rigurgitoni vari.

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Quando un bimbo ti rende mamma ti prende per mano e sceglie lui dove portarti. Ce ne vuole prima che ci si possa “impastare” al punto da iniziare a scendere a compromessi (dapprima piccolissimi, poi un tantino più grandi fino ad arrivare ad una quasi democratica mediazione). Io e Raffaele non abbiamo ancora raggiunto il compromesso Sanremo. Per lui i programmi in prima serata sono la quintessenza dell’eccitazione. Pure davanti ad Alberto Angela, che spiega (slowly slowly) i sarcofaghi etruschi, Raffi si imbizzarrisce come una cavalla storna: fa di corsa il “periplo” del soggiorno (una, due, cento volte), si arrampica ovunque sia possibile arrampicarsi (e non solo), urla a oltranza tutto il suo ristretto vocabolario (mammaaaaaa, papà papà papà, no-nna, gnammi gnammi, tao tao) tutto  pronunciato proprio per come l’ho scritto. Quindi, ahimè, anche quest’anno dovrò accontentarmi di qualche boccone di Sanremo. Se me lo avessero detto qualche anno fa, avrei risposto: “Io, rinunciare a Sanremo? Piuttosto mio figlio lo porto qualche giorno in collegio

Anche questo significa “A tutta mamma”.

Questo sito nasce da tutte quelle cose (molte delle quali intraducibili a parole) provate in questo anno e mezzo in cui sono mamma. Pensieri, gesti, timori, felicità, sorrisi, “non ce la posso fare”, nottatacce, scoramenti e grandi allegrie. Voglio parlare di questo “A tutta Mamma…e non solo”. Lo farò con un bel team di donne, che hanno deciso di collaborarmi e di mettere a disposizione di questo progetto il loro talento personale. Siamo tutte diverse, ci accomuna la voglia di parlare, cuore a cuore, con le donne. Non solo con le mamme. A tutta Mamma infatti è dedicato anche a chi mamma non è. Cercheremo di scrivere da donne per le donne. Lo faremo con semplicità, ridendoci un po’ su, riflettendo, condividendo scatti di viaggi, ricette, gossip e consigli di salute. Ci daremo sempre del tu, perché tra donne, si sa, darsi del tu è il primo passo per iniziare a conoscersi.

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Ci auguriamo di fare un bel viaggio insieme.

Seguiteci e scriveteci pure le vostre idee.

Noi siamo qui con voi e per voi.

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