Uno degli effetti collaterali, ma non per questo meno gravi, del Coronavirus è la guerra dei social. Non un semplice battage, al quale, peraltro, i socialnetwork ci avevano abituati da tempo, con buona pace di Umberto Eco che, maître a pensair quale è (uso il presente non a caso), aveva predetto ampiamente gli esiti infausti del diventare leoni da tastiera.
Quanto una catena d’odio vuoi monumentale, vuoi anche spaventosa, che si traduce in occorrenze, di cui in più di una circostanza abbiamo scritto su questo giornale. Ricorderete la triste vicenda del ventenne di Calamonaci, reo soltanto di essersi recato, in tempi di alto contagio, al nord Italia per donare delle cellule staminali ad un congiunto. Il ragazzo divenne il centro di una delle cosiddette “catene di Sant’Antonio”, che infestarono, ed è il caso di dirlo, la rete di un’intera comunità. Perché, se una cosa hanno in comune i social con il temuto Coronavirus, è quello di essere virali e di arrivare a un punto di propagazione che non prevede possibilità di ritorno.
Nei giorni scorsi a Casteltermini un’altra occorrenza che parte dalla vita reale e trova il suo altoparlante, con annessi commenti, spirali di odio e giudizi tout court, anche feroci, nella metafisica social.
L’invito ad andare via dal supermercato ed il vocale che diventa virale
Diventa virale un vocale di whatsapp: una conversazione tra il giovane infermiere, caso uno di contagio nel centro montano, ed il titolare di un supermercato castelterminese. Il giovane infermiere addita il titolare di aver buttato fuori il padre dal suo esercizio commerciale. La colpa: l’essere parente di un soggetto positivo al Coronavirus. Il titolare ammette e cerca di spiegare, in buona sostanza, che la difficile scelta è stata dettata da una sorta di motivazione di opportunità. Tu sei positivo e la presenza nel mio negozio di un tuo congiunto potrebbe arrecarmi un danno di immagine, farmi perdere clienti. Questa, in soldoni, la spiegazione del commerciante. Ed il giovane infermiere incalza e incalza, ribadendo che il papà è negativo, che niente e nessuno gli impedisce di recarsi a fare la spesa, diritto previsto dai decreti e interdetto solo ai soggetti in isolamento obbligato, categoria a cui il papà del giovane non apparterebbe. Da lì la mediazione, la proposta di una spesa a domicilio, almeno finché le acque non si saranno calmate, l’invito del titolare alla reciproca comprensione e il ribadire, da parte dell’infermiere, che fare la spesa è un diritto che nessuno può proibire, che quanto capitato è solo un atto discriminatorio. Tra una parola e un’altra scappa qualche epiteto non proprio gradevole alla direzione della comunità castelterminese, sia dall’una che dall’altra parte. L’accusa alla gente del centro montano (sicuramente non a tutta) tradotta in termini eleganti è quella di aver dato vita ottusamente a una sorta di caccia alle streghe. L’audio gira e gira ancora ed arriva perfino al mio telefono ed a quello di tanti castelterminesi che non vivono in paese ormai da tempo. A riprova che i social sanno essere ancora più virali di un virus, poiché sanno infrangere quarantene e distanziamenti. A breve giro, il titolare del supermercato posta sul suo profilo Fb la replica. Decide di spiegare l’accaduto, parla di buonafede e di precauzione: non lo abbiamo buttato fuori ma lo abbiamo invitato gentilmente a tornare a casa. Non sapevamo se il tizio fosse o meno positivo, se potesse uscire di casa e andare in un luogo pubblico e quindi gli abbiamo proposto la spesa a domicilio. Quindi il tizio si scusa con la comunità per qualche “parola di troppo mal compresa” e promette di querelare quanto verrà detto ai suoi danni. Il riferimento è probabilmente alla fiumana di commenti a margine dell’audio whatsapp.
Potrebbe essere avviata un’azione legale
La vicenda, nella sua interezza, lascia l’amaro in bocca e fa riflettere. Non sta a chi scrive l’esprimere valutazioni di merito, semmai abbiamo cercato qualche chiarimento. Fonti istituzionali del centro montano confermano che l’avventore aveva tutto il diritto di fare la spesa: non è positivo, né in isolamento, poiché, ad oggi, vive in un’abitazione differente da quella del figlio. Anzi, si potrebbe paventare un’azione legale, ed ecco che entra in gioco un noto e stimato avvocato agrigentino, Giuseppe Scozzari, che lunedì è disposto a valutare i fatti e potrebbe diventare il legale della famiglia (qualora questa lo decidesse ed in merito non abbiamo notizie) al centro della vicenda: “La caccia agli untori, ci dice l’avvocato Scozzari al telefono, è un fatto di inaudita gravità, così come lo è il discriminare un cittadino che va a fare la spesa, un diritto inalienabile, confermato dal fatto che il signore in questione non si trovasse in isolamento obbligatorio. Pertanto potrebbe avviarsi a breve un’azione legale.”
Ed i Castelterminesi? Sempre sui social, principale motore di opinione in questo momento, si dividono quasi in due esatte metà. Chi prende le parti dell’avventore, calandosi in pieno nella sensazione di smarrimento che crea l’essere messi da parte perché papabili colpevoli di chissà quale male, chi invece ha parole di comprensione per il commerciante, che avrà avuto timore del dopo, del passaparola, che nei piccoli centri è forse il mezzo divulgativo per eccellenza.
Non sappiamo come andrà a finire, quali saranno le responsabilità delle due parti in causa. Perché allontanare da un locale pubblico un libero cittadino? Perché divulgare a briglia sciolta un audio whatsapp, quando è sufficiente e di gran lunga più efficace denunciare il fatto ai Carabinieri, alla Polizia municipale o alla Procura? Perché cercare ancora e sempre l’untore, dando fiato al terrore, che ammorba ancora più della malattia?
Ed è a questo punto che ci vengono in aiuto le parole dell’infettivologo Tullio Prestileo, che spesso abbiamo intervistato da quando è scoppiata l’emergenza: “Proteggiamoci e proteggiamo. Facciamo finta tutti di essere dei positivi e nessuno correrà dei rischi. Del resto, in una grande città, con un numero medio alto di contagi, il solo modo per schivare il virus è proteggersi sempre.” Effettivamente in una grande città, con un numero alto di contagi e possibilità maggiori di infettarsi, situazioni come quella che abbiamo raccontato è improbabile che succedano. In un paese piccino un solo caso fa notizia, anzi diventa la notizia. Ed allora vogliamo affidarci alle parole dell’esperto: proteggiamoci per proteggere. Forse tanto basterebbe per risolvere dubbi e timori, che in una piccola comunità, come quella al centro di questa storia, sembrano incommensurabili.