Settembre è il mio mese dell’anno preferito. Non amo agosto e neppure particolarmente dicembre. Sarà perché il tempo, che obbliga alla felicità, non mi ha mai convinta.
Amo invece le ripartenze. Mi regalano grinta, mi donano quel “tanto così” che mi è necessario. Settembre, mi piaceva quando, da bambina, nonno Raffaele mi portava nell’orto per il nostro rituale di fine estate. Andavamo in un posticino nascosto tra il puzzle di abitazioni di via Diaz, dove mio nonno era nato. C’era una possente porta di legno, che il nonno apriva con una chiave “di san Pietro” color di ruggine. Da lí avevamo accesso a un “altro luogo”, che era sí dentro il paese, ma pareva fuori dal mondo. Aprivi la porta ed ecco la campagna a perdita d’occhio e di fiato, dove saltellavo tra i pomodori, le zucchine e le piante aromatiche. Svettano poi gli alberi: i fichi neri e le azzeruole, con gli intervalli regolari delle pale di fichidindia. Mi sedevo su una pietra, mentre il nonno raccoglieva i frutti. Poi facevamo merenda insieme, contemplando quella natura che era intatta, che sapeva cristallizzare un volersi bene senza dichiarazioni o orpelli. Chissà cosa ci dicevamo con il nonno nei nostri lunghi pomeriggi insieme? Di quel tempo ricordo che era fatto di una felicità esatta, che settembre teneva a battesimo.
Settembre erano le “gite” alla Standa di via Gioeni ad Agrigento. Io, mia sorella e mia mamma, che comprava per noi ogni ben di Dio: quaderni, colori, album e il diario, che era l’oggetto del desiderio. L’odore dei quaderni ci riempiva le narici ed è tuttora uno dei miei profumi preferiti. Ci fermavamo poi al reparto musica ed era una tradizione da rispettare l’acquisto di una “cassetta” di Baglioni, De Gregori, Paola Turci, la Oxa o Miguel Bosé. La scuola era l’inizio di ogni inizio. L’aspettavamo trepidandi, certe che quell’entusiasmo sarebbe scemato presto. Amavo imparare, ma ero troppo pigra per farmi piacere gli obblighi, gli orari, la ninna presto.
Nell’adolescenza, settembre era la Smemoranda. La compravo il giorno stesso in cui arrivava all’edicola del mio paese, un negozietto in centro, che probabilmente aveva un nome, ma che per tutti era “nnú zzi Carminu Lombardo”
U zzi giornalaio aveva gote rubiconde, modi gioviali, battuta sempre in canna ed un certo solfeggiare parlando.
Settembre è “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, uno dei libri più belli, che lessi proprio in un tiepido epilogo d’estate della mia gioventù. Ancora mi chiedo perché Enrico Brizzi, l’autore, non abbia avuto la fortuna che avrebbe meritato.
Settembre è la marmellata di mele cotogne, che mamma preparava a quintali e che mettevamo da parte per tutto l’inverno. Ripescarla nello stanzino di casa era un regalo e poco importava se alla sommità avanzasse un po’ di muffa. La toglievamo via senza patemi e ci godevamo il gusto acidulo e inconfondibile di quella confettura.
È la gita in camper con mio cugino Sandro, sua madre Ivana e altri amici. Eravamo giovani, squattrinati e del tutto felici. C’era Concato a farci da colonna sonora. In quella circostanza conobbi un album che diventò una manifesto di vita. La Vanoni cantava con Toquino e Vinicius De Moraes che “il tempo esiste perché esiste il tempo che verrà”, quale verità più grande di questa?
Settembre da grande è una vacanza inaspettata sull’Etna, un luogo che mio marito, allora fidanzato, mi ha presentato come si presenterebbe una regina e che da allora non smette di insegnarmi di amare.
È quando con Alessandro abbiamo ristrutturato la nostra prima casetta e ci siamo sentiti felici per l’essere contenuti dentro un nido, che diventava progetto.
Settembre è il primo giorno di nido del mio bambino, io che mi allontano da lui ingoiando lacrime, ma allo stesso tempo regalandomi la consapevolezza che i figli devi darli al mondo, non a te stesso.
È il cielo siciliano che si scrolla di dosso la spavalderia di agosto. È un week end rubato al mare di Menfi, il mio preferito. Le spiagge svuotate di gente, ma piene di doni: conchiglie, gigli, perfino qualche coniglietto.
Settembre è quella serie tv mielosa, ambientata in montagna, dove lei è dolcissima e con un animo d’altri tempi e lui è bellissimo, tenebroso, ma buono, buonissimo ed anche un po’ fessacchiotto. Il trionfo dei luoghi comuni, dove far addormentare l’insonnia del ricominciare.
Settembre è la vendemmia: che è una delle cose più belle che ci siano e che consiglio di fare, perché mette a tacere i pensieri peggiori e ne semina di bellissimi.
Settembre è una promessa, che spesso non manteniamo, ma che è bello fare.
Ed è partenze e ritorni, venticello sulle spalle cotte dal sole, costumi da mettere via e sabbia da scrollare dagli ultimi accenni di estate. È questo e molto altro, settembre, che ha il sapore dei fichi neri e dell’uva appena raccolta. L’odore acidulo dell’estate che va via. Che si aggrappa prepotente agli ultimi giorni di grande caldo, eppure sa che deve cedere l’armi. Perché l’autunno deve arrivare: con la sua calma, le maniere lente, la luce soffusa. Per questo settembre é dolcezza e malinconia al contempo ed io lo amo profondamente.
Buon inizio a tutti.