Le storie vengono a trovarti quando non te lo aspetti. Ne avevo in mente un’altra, per questo 8 marzo. Una vicenda ironica, che troverà comunque il modo di farsi raccontare. Ieri però ho conosciuto una storia prepotente, tragica, eppur tanto affascinante. Il pretesto: un incontro con una giornalista che stimo molto, Emma D’Aquino. Emma deve presentare un libro, so qualcosa, ma giusto per sommi capi. È la storia di un detenuto, che ha scontato cinquanta anni di carcere, che da ladro di biciclette è diventato un assassino, con due omicidi commessi dietro le sbarre e una sequela di “storiacce” di sangue, evasioni, isolamento, lunghe una vita intera. È liquidatorio riassumere una vita in una silloge, è un errore che non si dovrebbe mai fare.
Il libro di Emma D’Aquino
Alla presentazione del libro però mi si para davanti una storia grande, che mi sbalordisce. È sì la storia di Nino Marano, raccontata con cuore, testa e pancia nel bel libro di Emma D’Aquino, Ancora un giro di chiave, Nino Marano una vita tra le sbarre (Baldini e Castoldi editore), ma è anche la storia di Sarina, a cui oggi voglio dedicare la copertina dello speciale festa della donna.
Sarina Marano, una vita ad aspettare
Sarina oggi ha 71 anni. Al tavolo dei relatori è seduta al fianco del marito Nino. È completamente vestita di nero, con un cappotto elegante ed un colletto vezzoso, ma sobrio, che sottintende il rispetto che si conviene a una grande occasione. Sarina però pare indossare il lutto, un sentimento che ha installato negli occhi per tutta la durata dell’incontro. Più in là c’è Emma D’Aquino, a cui Sarina ha aperto il cuore (occorrenza rara per una donna sicula e d’altri tempi), concedendole di mettere per iscritto l’intimità di grandi sentimenti, vissuti in un dolore lungo cinquant’anni e probabilmente ancora non terminato. Emma è bella, elegante, gentile, con una voce e un piglio che catturano. Sarina, due posti più in là, l’ascolta attenta, riconoscente e dopo qualche esitazione risponde alle domande.
Era una ragazzina quando ha conosciuto Nino. Non è un matrimonio combinato il loro. Mettono a posto una fuitina, frutto di un amore grande, che ancora rimbalza nella coppia, provata da calamità difficili da contare e da raccontare. Sarina e Nino sono giovanissimi, inesperti, senza un soldo. Abbozzano una casa, che ha le pareti della povertà, ma le fondamenta di un grande sentimento. Sarà stata la povertà a spianare la strada del delinquere o il “diavolo” come dice Nino tra le righe del libro?
Nino “rubacchia”. Da bambino si limitava agli ortaggi nelle campagne dei vicini. Era questione di sopravvivenza. Da sposato trafuga una bici Bianchi, il suo sogno di sempre. Se prima la desiderava pensando ai grandi ciclisti, in quel momento gli serve per arrivare veloce al cantiere, dove va a lavorare ogni giorno all’alba. È “sposino”, ma già padre di Maria, quando i carabinieri bussano alla porta. È il 31 gennaio del 1965 quando per Marano si chiude la porta di casa e si aprono i cancelli del carcere di Catania. Sarina si vergogna. È una donna povera, ma non è disonesta. Eppure per Nino, dopo le melanzane, i pomodori e quella bici Bianchi, inizia la stesura di una nuova vita. Cinquanta anni “senza fine”, passati a girare le carceri di tutta Italia (anche gli istituti pentitenziari di massima sicurezza). Se Nino era un “ladruncolo”, dietro le sbarre diventa un assassino. Due omicidi, due tentati omicidi e in mezzo un va e vieni di fattacci, raccontati nel libro con il rigore da cronista e anche una profonda umanità (doti che D’Aquino dimostra di possedere). Dall’altro lato del cuore c’è Sarina, a cui l’autrice dedica dei capitoli che hanno vita loro: Dalla parte di Sarina.
Dalla parte di Sarina
Emma la sprona: “Forza Sarina, raccontaci. Come hai resistito questi cinquant’anni?”
Sarina esita. Soffre ancora. Non vuole parlare. Non ha la forza di abbozzare mezzo sorriso, sebbene il pubblico le crei intorno un clima di inclusione. Poi si decide: “Quando una si sposa, nel bene o nel male, deve seguire marito e figli. Io l’ho fatto e lo rifarei. Non sono pentita. Ero giovanissima, ma amavo mio marito e lo amo ancora. E mio marito non mi ha fatto mancare niente. Quel po’ che guadagnava, lavorando in carcere, lo mandava a me, perché ci crescessi i nostri tre figli: Maria, Graziella e Tindaro. Io lavoravo nell’agricoltura. Raccoglievo arance. Ore e ore in piedi. Sarà per questo che oggi la mia schiena è distrutta. Facevo qualche straordinario che mi serviva per non saltare un solo colloquio in carcere con mio marito. L’ho seguito sempre, su e giù per l’Italia. Viaggi anche di due giorni per vederlo il tempo del colloquio. Mi portavo dietro i miei figli, perché era giusto che lui li vedesse crescere. Ho cresciuto 3 figli, che mi hanno dato 10 nipoti e 8 pronipoti. Nella difficoltà non ci è mai mancato nulla. Una volta, dopo uno degli omicidi, mio marito a un colloquio, disperato, mi comunicò che non sarebbe mai più uscito dal carcere. Gli avevano dato trent’anni. Mi disse di trovarmi una brava persona e di rifarmi una vita. Ma come me la rifacevo un’altra vita con tre figli? Io non volevo rifarmela. Punto. Una volta, a un colloquio, un’assistente sociale, che non mi piaceva per niente, mi diceva che io stavo con mio marito per paura, perché mio marito era un assassino e io temevo. Disse anche che io ero una vedova bianca. Balzai in piedi: quale vedova! Mio marito è in galera mica al cimitero. Non sapevo cosa significasse vedova bianca, me lo spiegò poi mio nipote. Io Nino non l’ho mai lasciato solo per libera scelta. Mio marito avrà pure fatto omicidi, ma a me non mi ha mai dato manco una timpulata e di mariti maneschi ce ne sono tanti.”
Poi Sarina torna nel suo silenzio. Lo sguardo è triste, ma dignitoso e forte. Ascolta con dovizia i giornalisti che sono al tavolo. Lo fa con la tempra della donna abituata a calibrare parole, silenzi e pazienti attese.
Intervista a Emma D’Aquino
Emma, è la festa della donna e tu in questo libro racconti di una donna davvero singolare.
‘Sarina ha avuto il merito di non lasciare solo suo marito. Lo ha aspettato per cinquant’anni e non gli ha mai fatto mancare la solidità di una famiglia. Se Nino, che ha finito di pagare il suo debito con la giustizia, è un uomo che è riuscito ad emergere, lo deve sicuramente al fatto di avere avuto a fianco una donna come lei, una donna di cui lui si dichiara da sempre innamorato. Non è stata la sola ad aiutarlo nel percorso. Anche una direttrice di carcere aiuta Nino a stemperare la violenza, individuando le sue doti nel disegno. Nino inizia un nuovo corso di vita proprio realizzando murales, c’è poi stata la figura determinante della professoressa Gioia, una volontaria, che apre a Nino un altro pezzo di mondo, che esula dalla violenza, dalle dinamiche del rispetto con il tramite del regolamento dei conti.”
Da donna, come è stato scrivere una storia così terribile?
“Da cronista quale sono, è stato faticoso fare un viaggio nella vita, nell’emotività e nei ricordi di Nino Marano. Lo è stato soprattutto quando abbiamo ripercorso gli omicidi. È stato un viaggio emozionante, soprattutto quando Nino, che ha letto il libro solo dopo la pubblicazione, mi ha detto in lacrime: mi hai letto dentro l’anima. Per me questa è la cosa più bella che mi potesse dire. Spero che chi legga il libro comprenda che nella vita c’è sempre una via d’uscita. C’è sempre la possibilita di scegliere tra il bene e il male. Vorrei anche che si comprendesse che, quando abbiamo davanti una persona, questa andrebbe valutata per quel che è, senza pregiudizio. Una persona è quella che abbiamo di fronte, non quello che ha fatto prima.”
Ringrazio di cuore Emma D’Aquino, per averci parlato a “stampatello”, come sempre dovrebbe un bravo giornalista. Per averci spiegato come un cronista debba avere il coraggio di guardare l’abisso, pur rimanendone fuori. Ho iniziato a leggere il libro ed è bello, perché calibra una realtà dalle punte atroci a una vis emotiva, che è un valore aggiunto. Lo stile scorrevole fa il resto. La storia di Sarina è singolare e mi ha lasciata senza fiato, instillandomi sentimenti contrastanti. Penso valesse la pena di condividerla perchè è una storia difficile ma vera, che può farci comprendere molto. Buon 8 marzo a tutte.
Una risposta
Brava. Complimenti per la tua scelta dell’8 marzo