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Rosaria Cascio: io allieva di un santo

In occasione del venticinquesimo anniversario della morte di padre Pino Puglisi, intervistiamo una sua allieva, una donna che con il beato Puglisi ha condiviso tanto e tanto ancora continua a condividere

Rosaria Cascio è una donna autorevole. Lo si capisce al primo incontro. L’ho conosciuta una decina di anni fa, mentre parlava di don Pino Puglisi. Un cardine della sua vita. Una persona alla quale Rosaria ha scelto di dedicare tanto di ogni suo giorno. Da ragazza è stata allieva di 3 P (così lo chiamavano in molti), ha condiviso con lui la gioia, la leggerezza e la profondità del cammino cattolico e infine, il penultimo atto: la morte, che brucia ancora come una ferita mai sanata. Rosaria, quel 15 settembre del 1993, corre in ospedale. Le dicono che si è trattato di un infarto. Lei urla forte: è stata la mafia. Non si sbagliava. Non è un caso se definiamo quello il penultimo atto. Perché padre Puglisi ha una storia che è ancora un libro aperto, con pagine da continuare a scrivere. Nel 25 anniversario della morte del sacerdote di Brancaccio, abbiamo intervistato Rosaria, l’allieva caparbia del prete beato.

Il Papa a Palermo nel ricordo di don Puglisi. Cosa a significa per te?

Molti sostengono che P. Puglisi sia stato antesignano delle posizioni di papa Francesco. E’ proprio così. La mitezza, la povertà, l’umiltà ma, al contempo, la determinazione e la risolutezza di Puglisi erano e sono i tratti che definiscono bene l’opera del nostro Papa. Egli sta tracciando un percorso di senso che indica una strada. Con i suoi ultimi viaggi nei luoghi di Don Tonino Bello, di Don Lorenzo Milani, di don Primo Mazzolari e, adesso, di P. Puglisi sta dando forma ai caratteri di un cristianesimo militante che ha scelto da che parte stare. Questo, per tutti quelli che con 3P siamo cresciuti e che in suo nome stiamo portando avanti la sua eredità, è un incoraggiamento a proseguire su questa strada di servizio alla sua memoria.

Don Puglisi, un frase per descriverlo?

Lo faccio usando la firma con la quale egli stesso lasciava il suo segno:3P, Prete, povero e per i poveri.

25 anni. Cosa ricordi di quel 15 settembre 1993?

Seppi della sua morte quasi subito ed immediatamente andai con i miei genitori al pronto soccorso del Buccheri la Ferla. Eravamo in pochissimi. Ancora non si aveva la notizia ufficiale che si trattava di omicidio ma si parlava di infarto. Era, però, chiaro a tutti, che la verità fosse un’altra. Addossate alla parete del pronto soccorso, unite come per sostenersi a vicenda, c’erano le suore che lavoravano con Puglisi a Brancaccio. Erano impaurite. Cosa ne sapevano, loro che venivano da Siena, di mafia? Ad alcuni giornalisti presenti che iniziarono a fare domande gridai:”E’ stata la mafia!” perchè era chiarissimo che la mafia di Brancaccio viveva la sua azione come una sfida. Quella mafia che controllava ogni cosa in quel territorio si era sentita spodestata. Adesso, a Brancaccio, comandava il Vangelo. Abbiamo iniziato a raccoglierci, increduli e distrutti. Abbiamo scelto la preghiera e, insieme, ci siamo radunati nella cappella dell’ospedale. Abbiamo atteso, così, che il tempo che volevamo fermare trascorresse, invece. I giorni più frenetici furono i successivi. La mattina del 16 settembre Insieme ad un’altra giovane dei gruppi vocazionali di Padre Puglisi siamo riuscite a partecipare alla riunione per organizzare i funerali. Erano tutti alti prelati ma fummo coinvolte grazie alla presenza di qualche sacerdote che conosceva la nostra capacità di rappresentare i tanti giovani seguiti, negli anni, dal sacerdote ucciso. Il Cardinale non c’era ancora. Si parlava, si discuteva, in modo ancora informale, di come organizzare il tutto. Poi arrivò il Cardinale Pappalardo che iniziò sostenendo la necessità di predisporre tutto per una Celebrazione all’altezza della situazione: in Cattedrale, con canti altisonanti, tutto il clero presente. Per Padre Puglisi, il meglio. Tutti sembravano annuire ed essere d’accordo: per Padre Puglisi una celebrazione funebre con tutti gli onori. La riunione stava per concludersi quando, inaspettatamente, sostenuta da tanta rabbia per il furto affettivo subito con l’uccisione del mio Padre Puglisi, ho preso la parola. Ho detto di conoscere perfettamente cosa Padre Puglisi avrebbe voluto per il suo funerale perché avevo partecipato a quello dei suoi genitori ed a tanti momenti di preghiera celebrati insieme a lui. Sapevo a perfezione quali canti avrebbe voluto sentire ai suoi funerali perché erano gli stessi che volle che io suonassi con la mia chitarra alle esequie di sua madre, diversi anni prima. Canti di resurrezione suonati durante la tumulazione della salma della madre. Dissi anche che la Cattedrale non rappresentava affatto il luogo ideale per un sacerdote che amava la strada dove trovava i suoi poveri ed i senza diritti. Lì, per la strada, i suoi amici avrebbero trovato posto ma in Cattedrale i posti sarebbero bastati soltanto alle autorità che, forse, non lo avevano mai conosciuto. Ricordo di avere preteso che i funerali si celebrassero a Brancaccio, per strada, nei luoghi della sua missione, dove i suoi amici si sarebbero trovati mentre mai si sarebbero spostati in un luogo così distante. Fisicamente distante. E forse non solo fisicamente. La decisione finale ha convinto tutti: sarebbe stato montato un palco nell’area antistante la zona industriale di Brancaccio, noi giovani avremmo suonato e deciso i canti insieme alle preghiere dei fedeli, concordandole con alcuni sacerdoti che ci furono indicati. Eravamo soddisfatte. Il Cardinale Pappalardo, dopo il mio intervento forse troppo duro ma sicuramente vero, aggiunse che era giusto celebrare la povertà di Padre Puglisi e pianse per la solitudine che il prete visse negli ultimi giorni della sua vita. Si lasciò andare a lacrime di sincera commozione tanto che Padre Cuttitta, il suo cerimoniere, fu costretto a confortarlo.

Cosa ti ha insegnato don Puglisi?

Ho ritrovato i valori che 3P mi ha insegnato insegnando, a mia volta. Quello che li racchiude tutti è la coerenza. Essere coerenti. Essere la propria parola. Significa che, prima delle parole, a parlare devono essere i nostri gesti, i fatti. La verità di quanto diciamo deve essere ricavata dalla coerenza dei nostri gesti. Questo sempre, tanto più se il nostro lavoro è con i giovani. A loro non servono maestri ma testimoni. E la coerenza delle proprie azioni ai valori che le sottendono è colta immediatamente. La pedagogia dell’esempio. La chiamo così. Solo questa è efficace e crea desiderio di ripeterla, di riprodurla, di essere come. E poi il rispetto per l’altro, comunque sia. Rispettare significava, per 3P, mettere al centro quella persona, darle le attenzioni necessarie, essere compagno del suo percorso di vita. E’ grazie a questi valori che 3P ha testimoniato con la sua vita che oggi, con i ragazzi a scuola, riesco a svolgere un insegnamento efficace.

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Se oggi don Puglisi fosse ancora tra noi…come sarebbe la sua Palermo?

La sua Brancaccio sarebbe di sicuro un’altra. Dopo la sua morte sono arrivati fiumi di soldi che hanno inquinato la veridicità e la valenza del suo martirio. La sua era una rivoluzione povera, senza soldi, gratuità. Basata sulla carità cristiana ed evangelica. La mafia ha avuto paura di questo Vangelo e mal ha sopportato la sua efficacia. Cosa sarebbe Palermo… chi può dirlo? La domanda, forse, è mal posta. Forse dovremmo chiederci, parafrasando 3P: “se ognuno avesse fatto/facesse qualcosa, si sarebbe potuto/potrebbe fare molto?”. Puglisi ci richiama alle nostre responsabilità, ci inchioda alla indispensabilità del nostro impegno. Nessuno può girarsi dall’altra parte, nessuno deve avere la “sindrome del torcicollo”, come Puglisi chiamava l’accidia, la negligenza, la mancata assunzione di responsabilità di molti. Se ognuno facesse il proprio dovere questo, però, ancora non basterebbe per cambiare. Il cambiamento parte non dal “dover essere” ma dall’intima trasformazione di sé per trasferire, nei propri atti, la spontaneità dell’agire onesto, leale, generoso, gratuito. Le nostre azioni devono essere intrinsecamente per gli altri. Non dovremmo sentire come un “dovere” il rispetto delle regole ma dovremmo rispettarle in modo spontaneo e schietto.

Perché don Puglisi è santo?

Non certo per diventare un santino. I Santi sono scomodi, sono una spina nel fianco. Non servono a consolarci ma, al contrario, ad inquietarci, a ricordarci perchè esistiamo. Per il Bene, non per forza quello cristiano. Il Bene è assoluto. E’ un valore per tutti. Puglisi è Santo-uomo. Egli, con il suo essere uomo, ci indica una strada possibile di essere cristiano. Ma egli è Santo anche per gli atei, è molto amato dagli atei che lo vivono come un esempio di agire efficace e valido per il bene comune e contro la mafia. Puglisi è santo-uomo perchè ha saputo incarnare, nell’immediatezza del suo agire, il Vangelo della carità, lo ha saputo incarnare ed inverare nella storia dell’uomo a partire da quella di un territorio. Egli si è fatto mettere in crisi dalla miseria e dalla prigionia di Brancaccio. Ha accolto la sfida di una mafia-piovra-carceriera, di una criminalità violenta che vive, vigliaccamente, sulle spalle della gente. Puglisi è Santo perchè non si è tirato indietro rispetto alla sue responsabilità in quel “qui ed ora”. Chi può essere santo, quindi? Tutti noi. Imparando ad essere noi stessi “senza se e senza ma”. Rispondendo, ogni giorno, ad una domanda:”Io, da che parte sto?”. Così soltanto la santità diventa possibilità condivisa di riscatto e di liberazione. E questo, come mi ha insegnato 3P, significa rispondere ad un’altra domanda costitutiva dell’uomo:”Si, ma verso dove?”.

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PRESENTAZIONE ROSARIA CASCIO :

Allieva di P. Puglisi, Rosaria Cascio ha frequentato per 14 anni i gruppi giovanili da lui diretti e, dopo la sua morte, ne studia il metodo educativo e pastorale diffondendone la conoscenza in incontri pubblici in tutta Italia. Da insegnante ripropone in classe la pedagogia e la metodologia dell’educatore Puglisi che racconta in uno spettacolo rappresentato con i suoi alunni in numerose occasioni antimafia.

Su P. Puglisi è’ autrice dei seguenti libri :
1. Cascio R., Ognibene S., Il primo martire di mafia. L’eredità di Padre Pino Puglisi, Bologna, Dehoniane, 2016
2. Cascio R., Io pretendo la mia felicità. (Ho pagato tanto e adesso me la merito), Trapani, Navarra Editore, 2015
3. Cascio R., Lanzetta N., Lopes R., P. Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove? Identikit di un beato animatore vocazionale, Trapani, Il Pozzo di Giacobbe Editore, 2015
4. Ognibene S., L’eucaristia mafiosa, Trapani, Navarra Editore, 2015 (ha scritto la postfazione)
5. Palazzo F., Cavadi A., Cascio R., Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia, Trapani, Di Girolamo Editore, 2013
6. Lopes Roberto, Tu, da che parte stai? Il martirio di P. Pino Puglisi (Con CD allegato) Palermo, Istituto Poligrafico Europeo, 2009 (ha curato un capitolo)
7. Di Gregorio G., Stassi C., Brancaccio. Storia di mafia quotidiana, Pordenone, Becco giallo, 2006 (ha curato un capitolo)

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