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Quando un bimbo non ha il papà

Padri che rifiutano la paternità o che vanno via quando i figli sono piccolissimi. Cosa fare?

Nel corso di questo primo anno di vita di A tutta Mamma ci è successo di ricevere input, quesiti, stimoli, critiche. Una domanda ridondante riguarda la figura del papà, o meglio l’assenza di questa figura. Succede, peraltro molto più spesso di quanto si possa immaginare, che un bimbo nasca senza un padre. Fuor di paradosso, è crescente la percentuale dei piccini che non hanno mai conosciuto una figura paterna al fianco di quella materna. La ragione più comune è la non accettazione della paternità, in seconda battuta la morte del papà o ancora la scelta deliberata di alcune donne di avere un figlio da single.

Come si cresce senza un padre?

Ardito sarebbe dare una risposta onnicomprensiva e valida per tutti casi. Però c’è un imperativo, che, secondo gli esperti della Società italiana di psicologia deve essere un vero e proprio diktat: la verità.

Ai bimbi non si mente mai, neppure nella primissima infanzia. Questo per dare ragione all’antico adagio “che le bugie hanno le gambe corte” ed i piccini hanno invece lunghissima memoria. Scoprire una bugia, specie se di forte portata affettiva, potrebbe provocare danni psicologici ancora più devastanti della più cruda tra le verità. Quindi, secondo gli esperti, rispondere con verità alle domande del bambino, cercando di tradurre quella stessa verità nel codice dell’infanzia, sarà la sola strada da percorrere.

Facili a dirsi per chi non è dentro una situazione tanto complessa. Eppure, sempre secondo gli psicologi, la verità apre la strada alla comprensione e fa da collante estremo tra il piccolo e la mamma, che, in assenza del papà, diventa la figura familiare esclusiva di primo riferimento (in seconda battuta ci sono i nonni, gli zii e il resto della rete familiare. Figure affettive sì importanti, ma comunque gregarie rispetto ai genitori).

Mai mentire ai figli

Dire che un papà, che ha scelto di non essere tale, “è volato in cielo” è un errore da evitare. Anzitutto perché, come già scritto, la menzogna tra genitori e figli non è mai auspicabile e poi perché, quando il bimbo avrà contezza della bugia, vedrà crollare la fiducia anche nella sola figura genitoriale presente. Diverso è il caso in cui il papà è realmente defunto. In quella circostanza si potrà sì usare la metafora del cielo (che non prevede necessariamente una fede nell’Aldilà, quanto la proiezione immaginifica in una dimensione “altra” che consente, seppure solo emotivamente, l’idea di un passaggio d’amore), pur non esagerandola. Dovrà essere chiaro che il papà purtroppo non c’è e non tornerà, senza inutile promesse della serie “un giorno lo rivedrai” o “lui viene a trovarti mentre dormi”. Questi rimandi a un tempo senza tempo, potrebbero creare aspettative mai realizzabili, che, nella psiche di un bambino, alimenterebbero un senso di frustrazione ed inadeguatezza.

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Come dire che il papà non c’è

Nel caso in cui il papà abbia deciso deliberatamente di non accettare il proprio figlio, secondo gli psicologi della Società italiana psicologia, occorrerà fare attenzione a quanto segue:

 

  • Un bimbo che non ha mai conosciuto il padre inizierà ad averne contezza intorno ai 18 mesi. La consapevolezza del mondo e delle relazioni, la frequenza del nido, l’avvio del codice linguistico, faranno sì che il piccolo inizi a porsi una serie di domande, che potrebbe non esprimere (perché non ancora ben articolate nella sua psiche o perché difficili da tradurre nel linguaggio dei grandi). Precedere questi quesiti è un atto di coraggio da parte della mamma ed un modo di iniziare a raccontare una verità sì difficile ma che, prima o poi, andrà dichiarata nella sua totalità. “A scuola vengo a prenderti sempre io perché il tuo papà non c’è.” Questa potrebbe essere una iniziale premessa. Il tono dovrà essere sereno, familiare, senza l’appeal di chi sta comunicando una sventura, quanto con il piglio di chi sta dicendo un’occorrenza ovvia, perché reale. Non è facile ma è un dato di fatto. Prima lo si affronta e più facile sarà viverlo nel quotidiano. I bimbi hanno degli scatti di crescita cognitivo-linguistico-comportamentali a volte sconvolgenti. Onde evitare che una mamma si ritrovi un duenne che, a bruciapelo, le chiede chi e dove sia il proprio papà, meglio abituarlo all’idea dell’assenza.
  • Far comprendere al bimbo che il papà è assente non per colpa sua, quanto perché ha avuto paura. Come un bimbo ha paura del dottore, che però è una figura positiva, perché aiuta a stare bene, così il papà ha avuto paura “di una cosa nuova, sconosciuta, ma bellissima”. Non è cattivo il dottore e non lo è neppure il bambino, semmai è negativo, in questo caso, il sentimento della paura, che si pone in mezzo a due figure. Spostare l’elemento negativo dalle persone al sentimento aiuterà il bimbo, passo dopo passo, a maturare una consapevolezza, che dovrebbe esulare dal sentirsi in colpa (un sentimento primario per i bimbi di fronte a separazioni familiari, depressioni materne e altre crisi affettive del contesto umano di riferimento).
  • Un nonno, per quanto amorevole, dedito e presente, non è e non sarà mai un papà. Ciò non significa che non possa amare un nipotino come un genitore. Le due figure però non vanno sovrapposte. Il nonno deve sempre essere definito nonno. In assenza della figura paterna potrà farne le veci (nelle ricorrenze, anche in quella del 19 marzo. Si potrà dire al bimbo, oggi festeggiamo il nonno, che è il papà di mamma, quindi è un nonno ma prima un papà). Spiegare ai piccoli cose da grandi con un linguaggio semplice è un dovere del genitore. La loro capacità di comprensione non solo è sorprendente, ma si deposita perbene nei moduli della memoria a lungo termine.
  • Mai screditare la figura paterna agli occhi del piccolo. “Papà è andato via perché è cattivo.” “Mamma è bella, papà è brutto.” “Papà non esiste, tu hai solo mamma.” Sono tutte frasi dalle connotazioni emotive gravissime. Il risultato potrebbe essere quello di generare nel piccolo frustrazione, inadeguatezza, senso di colpa e forti sentimenti di rabbia verso gli altri.
  • Il silenzio è un altro errore da evitare. Scegliere la strada del non nominare la figura paterna potrebbe creare una dinamica di “nascondimento” tra madre e figlio, che potrebbe diventare un codice usuale. Glissare su un argomento tanto importante non solo non aiuta, ma potrebbe creare nel piccolo la convinzione che tutto quanto è difficile, doloroso, grave non va detto.
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Abbiamo prestato le nostre righe alle parole di esperti psicologi, nella speranza che possano dare un piccolo aiuto a mamme, che si ritrovano a dover fare un “lavoro” doppio. Siamo certi che, talune situazioni siano così complesse, che sia ardito anche solo cercare di trovare una soluzione. Sappiamo bene che esistono tanti altri vuoti, a somma di quelli elencati nelle righe precedenti. Che un padre può essere assente anche se presente e che non esistono dolori da installare in un unico formato. Certi che, nelle righe precedenti, abbiamo scritto pareri e non verità universali, oggi vogliamo che sia festa anche per chi un papà non ce l’ha. Ai bimbi che non hanno un papà e a quei papà “che non hanno i loro bimbi” auguriamo di ritrovarsi, nel corpo, nella mente, nella capacità di riconciliazione, con l’altro, ma anche con sé. Non è facile e sovente non è possibile. L’augurio però è speranza e la speranza, come la verità, aiutano a crescere meglio.

 

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