Quando ero piccina ero convinta che i nonni avessero tutti i capelli bianchi, che fossero pieni di rughe e con le mani ruvide. Li vedevo con il loro passo lento, lo sguardo rabbonito di chi vuole percorrere l’ultimo miglio di strada, concedendosi il lusso di impiegarci anche un quarto di eternità. Li pensavo tutti così, simili ai miei nonni.
Di loro parlo spesso, con ricordi dolci, con la presunzione che fossero le persone migliori del mondo. Che solo io abbia avuto il privilegio di averli avuti accanto.
Chi erano i miei nonni?
Uno si chiamava Cocò. Era entrato in miniera a dieci anni, forse anche meno. Sulla schiena aveva un disegno. Così me lo raccontò, la volta che lo sorpresi a farsi medicare un antico dolore. Se lo era fatto in miniera. Era un caruso e il ricordo di quell’infanzia lo aveva marchiato nell’anima. Nonno Cocò era un uomo granitico, severo, con gli occhi di velluto e il sigaro perennemente installato tra le labbra. Parlava poco e usciva ancora meno. Amava i film di Charlot e insieme ne abbiamo visti parecchi. Specie in inverno. Alternando risate e silenzi. Silenzi e risate. Più d’una volta piantonò il palazzo scolastico. Si inzuppò di pioggia, mi aspettò e mi infilò sotto il suo paltò blu. Mi chiamava Stellina e mi comprava le iris alla crema alla pasticceria Capodici. Quando ne assaggio una non so perché ma rivedo gli occhi di velluto di nonno Cocò e penso che mi abbia voluto bene, anche se non me lo ha mai detto.
Tatà che fu tante cose
Nonna Tatà, sua moglie, per me è stata tante e più cose: una mamma gregaria, che si faceva da parte quando era il momento. Era una donna forte e reduce di una bellezza superba. Mi guarì inspiegabilmente dal morbillo, lanciandomi coraggiosamente dentro una tinozza di acqua fresca, mentre la febbre mi cuoceva i pensieri. Mi ninnò per ore dietro il davanzale di un mini appartamento di viale San Martino a Messina. Aspettavamo che mia mamma tornasse da lavoro. Le dicevo sempre: “Nonna sei cattiva. Tu stai con me e mamma va a lavoro. Cattiva, cattiva, cattiva.”
Lei mi ninnava, mi raccontava tante favole, la più bella era la Gatta bianca, che imparai a memoria. Parola per parola. Tatà, inconsapevole, mi face il regalo più grande: l’amore per le storie che meritano di essere raccontate. Mi donò la certezza che dove vi sono parole da leggere e da scrivere, la solitudine non esiste. Non so perchè, ma la immagino in un paradiso che si trova nel punto più panoramico di Taormina. L’aveva ammirata in cartolina e il suo rammarico, fino alla fine, fu di non averla mai vista con gli occhi e toccata con le mani.
Nonna Stella, una piuma
Nonna Stella era una piuma. Le soffiavi addosso e rischiavi di farla volare via. Lavorava a maglia. Senza tempo e senza spazio. Delle lenti spesse e scure nascondevano i suoi occhi immensi e grigi. Confondeva la sua bellezza mingherlina in una postura timida. Amava parlare e stare con gli altri e sapeva attaccar bottone con chiunque le finisse sotto tiro. Aveva in sè una megalomania innocente, che la faceva però sognare in grande, seppur nella sua casa piccina del quartiere Sant’Anna. Mi portava in giro come se fossi il suo personale trofeo. Mi ripeteva il suo mantra: “La scuola è tutto. Giura che ti laurei, che poi ti faccio un bel regalo. Ti regalo tutto quello che vuoi tu”. Non c’era già più quando conseguii la licenza media. Da allora, le ho dedicato ogni mio traguardo. Sognava per me un marito carabiniere. Magari un maresciallo, come quel suo cognato “importante”, lo zio Salvatore che lei stimava senza fine.
Nonno Raffaele
Nonno Raffaele era un uomo perbene, dotato dell’intelligenza del cuore e dell’amore per la musica. Ogni giorno mi aspettava fuori da scuola con un sorriso e una caramella in tasca. Solo quello. Quel sorriso azzurro, poggiato con tutto il cuore su di me ancora bambina, è una delle cose più preziose che mi ha regalato la vita. Lo porto con me tutti i giorni e mi fa sentire al sicuro. Oggi, come allora, quando, indifesa come un pulcino, sgattaiolavo fuori da scuola, gli correvo incontro, mi aggrappavo alla sua mano ed ero esattamente felice, nel posto più sicuro del mondo.
Questi erano i miei nonni. Con i capelli bianchi, la voglia che il tempo trascorso con i loro nipoti non finisse mai. Avevano il passo calmo di chi vuole godersi il miglio che resta, sperando che duri quanto mezza eternità ed anche un pizzico di più.
Grazie ai miei nonni per avermi protetta ed amata ed auguri a tutti quanti hanno il privilegio di essere nonni.