In Sicilia sono in tutto 130 i casi accertati di Coronavirus. Oggi quindici i nuovi contagi, ben diciassette in meno di ieri. Aumentano però i ricoverati: dieci a Palermo, quindici a Catania, sei a Messina, uno a Caltanissetta, quattro ad Agrigento, due a Enna, due a Siracusa e quattro a Trapani, per un bilancio complessivo di 44 pazienti in ospedale, di cui solo 7 in terapia intensiva. È di stamani inoltre la notizia del primo neonato con Covid19. È il figlio della donna positiva di Giuliana. Il bimbo è guarito da una bronchiolite, per curare la quale era stato ricoverato al reparto di Pediatria dell’ospedale di Corleone, oggi chiuso per consentire la sanificazione di tutti gli ambienti. In quarantena medico e personale paramedico del nosocomio, che sono entrati in contatto con il piccino, che ora si trova a casa ed è in ripresa.
Ottantadue siciliani tra positivi e pauci-sintomatici sono in isolamento domiciliare, due sono guarite e due decedute. Meno di due settimane fa, su queste pagine, l’infettivologo palermitano Tullio Prestileo incitava i siciliani a “spezzare la catena del contagio”. I casi nell’isola si era stabilizzati sotto i dieci per oltre una settimana dalla scoperta del caso. la turista bergamasca, in vacanza a Palermo. Prestileo invitava anche chi fosse tornato dal nord a mettere in atto tutte le misure prudenziali, necessarie per evitare grandi contagi. Questo prima che si parlasse di anagrafe dei rientri e di grande fuga di massa dalla zona rossa. La situazione nell’isola pare sotto controllo, almeno così rassicurano i sanitari. Gli ospedali ancora non sono saturi e sono pochi i pazienti necessitanti cure intensive. I rientrati dal nord però sono 20.000, un numero davvero grande, che incita alla prudenza. A tal proposito abbiamo intervistato una serie di conterranei che hanno scelto di rimanere al nord e una coppia che invece ha scelto di tornare al sud.
Cristina: I nonni ci avrebbero accolto a braccia aperte, ma saremmo stati egoisti
Cristina Spartà è catanese, è un ingegnere meccanico e vive a Trieste con il marito e i suoi bimbi, Francesco 5 anni e Manfredi due
“Mi sono resa conto all’improvviso di cosa stava succedendo. Seguivo da lontano la vicenda in Cina perché il lavoro ed i bambini assorbivano inevitabilmente le ore della mia giornata. Poi il venerdí sera in cui è esploso il caso a Codogno la mia vita è cambiata, il giorno dopo ero presa dallo sconforto. A Trieste siamo a pochi km da Venezia, da Treviso e Padova. Immaginavo che anche noi saremmo stati isolati in poco tempo, mia suocera aveva deciso di annullare un volo per venirci a trovare la settimana dopo. Cominciavo a sentirmi sola, e isolata dagli affetti. Realizzavo anche di non poter portate i bambini giù. Era nei progetti, ma non era il caso. Insomma dovevamo farcela da soli. Sebbene avviate le procedure di Smartworking, ho scelto di non tornare giù per proteggere da eventuali contagi mia madre e mio padre in particolar modo, mia suocera. Loro ci avrebbero accolto a braccia aperte perché tra l’altro, causa lavoro e distanza, riusciamo ad andare giu poche volte all’anno! Poi ci sono anche le cuginette, i miei figli potevano passare del tempo in famiglia, ma sarebbe stato egoistico non considerare il rischio. Ora passo le giornate in casa con i miei bimbi. Ho molta preoccupazione. Pare che Vorrei dire dire a chi è sceso giù: abbiate cautela adesso, restate a casa per i vostri genitori, i nonni e le persone più deboli. Passata l’emergenza saremo nuovamente padroni della vostra vita e dei nostri affetti, qualche settimana di sacrificio potrà aiutare tutti. Proteggete la Sicilia e le altre meravigliose terre che possono fare la differenza in questo frangente. Un abbraccio alla mia terra.
Lorenza: non sono tornata al sud, ma non giudico chi lo ha fatto
Lorenza Sciarrotta è un’insegnante agrigentina, trapianta al nord, in Trentino, nella Valle del Primiero, a due passi dalle meravigliose Pale di San Martino
“Quando mi si presentò il momento ultimo di acquistare un biglietto qualsiasi pur di tornare a casa entrai in crisi. Mi trovai tra due fuochi: i miei familiari che mi intimavano a scegliere in fretta perché le cose sarebbero precipitate da li a poco e i miei obblighi scolastici. Benché le attività didattiche sono state sospese il personale docente rimaneva a disposizione. Sono stata travolta da mille stati d’animo: paura, voglia di abbracciare pure il gatto di famiglia, assoluta incertezza su cosa decidevano i piani alti da un momento all’altro. Mentre infatti al meridione si conduceva una vita ancora tranquilla noi eravamo in agitazione perché molti nostri studenti provengono dal Veneto e si iniziavano a registrare anche in provincia i primi casi di Covid-19. Concentrai, pertanto, tutte le mie energie su quello che ho ritenuto essere la priorità assoluta: non dovevo assolutamente essere contagiata da nessuno, cosa alquanto improbabile perché mi si imponeva di attraversare tutto lo stivale via terra( gli aerei erano pochissimi e con prezzi alle stelle). Ma soprattutto capii che non dovevo mettere a rischio nessuno: cugina in dolce attesa, parenti già sofferenti e tutti quanti avessi incontrato perché paradossalmente potevo già essere un paziente positivo ma asintomatico. Soltanto quando guardai alla salute come bene primario e non al mio egoistico desiderio ( e ne avevo tanto) di stare tra braccia sicure che la decisione fu presa. Onestamente ho tirato un sospiro di sollievo soltanto lunedì scorso quando fu sono stati fermati gli impianti di risalita e chiusa anticipatamente la stagione sciistica. Noi eravamo circondati da turisti, italiani e non, che con ospedali già al collasso, continuavano a godersi tranquillamente le loro vacanze. Non mi permetto di giudicare nessuno. Anche io, prima di abbracciare definitivamente la mia scelta, ho tentennato tanto. Le indiscrezioni governative ci hanno stravolto, ansia e paura, che si sa non sono mai buone consigliere, hanno fatto il resto. Spero ovviamente che i meridionali abbiano dichiarato il loro rientro alle autorità e oggi si siano tutti messi in quarantena volontaria.
Francesca: mai al sud dalla zona rossa, amo troppo la mia terra e la mia gente
Francesca, agrigentina, biologa e insegnante a Reggio Emilia, dove vive con il marito Giuseppe e i figli Riccardo e Alessandro
Perché ho deciso di rimanere al nord?
Perché amo il sud sarebbe troppo banale come risposta, in realtà questo non è mai stato per noi un periodo adatto per fare vacanze, però dopo la prima ordinanza e la partenza di molti conoscenti e colleghi avremmo potuto farci un pensierino volendo, in fondo stare tutti e quattro chiusi in casa perché se si poteva passare questi giorni in famiglia? Sinceramente mai e poi mai avremmo preso la decisione di scendere rischiando di portare in giro il virus. Perché esistono gli asintomatici, e chissà che non lo sia anch’io o mio marito. Grazie al cielo noi stiamo bene ma il solo pensiero non mi avrebbe fatta stare tranquilla. D’altra parte però c’è il pensiero per i miei genitori, per i miei suoceri non più giovanissimi e per la nonna di Giuseppe, mio marito, che ha 96 anni compiuti. Chiamo tutti i giorni i miei per raccomandarmi con loro di non uscire e di stare attenti, nonostante al mio paese non ci siano al momento casi che possano far pensare ad un rischio imminente.
Ecco non siamo scesi per questo, per doveroso senso civico, per dare una mano a fermare la trasmissione di questo virus. Fin da subito, dal primo caso in italia immaginavo sarebbe andata così, nonostante sperassi fermamente il contrario. Virus nuovo, sconosciuto, senza cure riconosciute e validate, come si poteva sottovalutare e paragonarlo a una semplice influenza? Vabbè ormai è andata così, passiamo le giornate a casa, lavorando da casa, mio figlio Riccardo segue le lezioni online e Alessandro riceve ogni giorno un video WhatsApp dai suoi “tati” della scuola dell’infanzia. Mi auguro che dopo tutte le restrizioni e tutti i sacrifici che gli italiani sono portati a fare si possa uscire da questa situazione ancor più forti e con la consapevolezza che, collaborando tutti insieme per lo stesso fine, si possono raggiungere risultati eccellenti e magari fra qualche anno poter dire: io c’ero ai tempi del coronavirus e ce l’ho fatta!
Sandra: non ho mai pensato di tornare giù
Sandra Biondolillo è agrigentina ed è laureanda in Scienze Biologiche a Perugia, dove vive da anni
Sinceramente, l’idea di tornare giù non mi ha nemmeno sfiorata, molto probabilmente perché finora in Umbria la situazione pare sotto controllo, quindi non ho percepito un rischio altissimo, anche se ovviamente sto in allerta. Ci sono stati pochi contagi, anche se alcuni hanno interessato alcuni prof. e studenti, che per vari giro potevano essere ricollegabili al mio giro universitario. Per un po’ ho ripensato: “ma ho toccato il viso? Ho lavato le mani dopo l’appuntamento?” e cose del genere
A maggior ragione, pensare di tornare “giù” mi è sembrato fuori luogo. Avrei costretto alla quarantena la mia famiglia, il mio ragazzo, la nonna. No, non era il caso. L’unica volta che ho deciso di tornare a casa all’improvviso è stato nel 2016, durante uno dei tanti terremoti che hanno tanto martoriato il centro Italia. Lì ho avuto paura, anche se Perugia, nello specifico, non aveva subìto grossi danni. La situazione di emergenza che viviamo adesso è di altro tipo, l’unico modo per uscirne è stare insieme a distanza, ognuno a casa propria.
Vi racconto perché ho scelto di tornare giù
Due insegnanti di Milano scesi in fretta e furia verso Palermo. Marito, moglie e una neonata: chiediamo scusa, ma abbiamo avuto paura
Noi che siamo tornati in fretta e furia siamo gli untori, gli incoscienti, gli sciacalli. Il medico di famiglia dei miei, quando ho chiamato per dirgli che avevo scelto di tornare, mi ha detto d’impeto: “sei un balordo!”
Ha usato questa espressione, lui che mi ha visto nascere e crescere. E io non ho saputo rispondere. Sono rimasto in silenzio. Abbiamo fatto un’azione che non dovevamo fare. Lo so bene. Provo a spiegarmi perché ho scelto così. Io e mia moglie siamo insegnanti, abbiamo una bimba di cinque mesi. Viviamo vicino Milano. Abbiamo avuto paura per nostra figlia. Un panico che ci ha attanagliati. “Se ci ammalassimo entrambi? Se finissimo in terapia intensiva? Con chi andrebbe la bimba? Qua non abbiamo nessuno. Far venire i nonni qua ci sembrava ancora più rischioso. Ammetto anche che non avevamo chiaro il discorso degli asintomatici, dei rischi di contagio derivanti da un viaggio in aereo. Eravamo confusi, spaventati, mia moglie tremava di paura. Ci hanno convinti i nostri genitori. ‘Qua in Sicilia siamo in tanti attorno a voi e alla bimba. Statisticamente, anche se la malattia dovesse colpirci, qualcuno dovrà pur rimanere in forza per prendersi cura della piccola. Scendere in fretta. In qualche modo ce la faremo.
Avete pensato di aver compiuto un gesto egoistico, che potreste aver messo in pericolo gente anche fuori dal vostro nucleo?
Sappiamo bene di essere stati egoisti e la colpa a volte ci logora. Stiamo tutti bene. Noi tornati dal nord e i nostri genitori che ci hanno accolti. Non eravamo sul quel treno del sabato notte. Abbiamo preso un costosissimo volo sabato mattina. I nonni ci hanno finanziato il volo. Abbiamo subito detto della nostra discesa in Sicilia al medico di famiglia dei miei e ci siamo già denunciati al portale della regione Sicilia. Siamo in quarantena in una casetta in campagna. Non vediamo nessuno. I parenti ci lasciano la spesa in giardino. Faremo una quarantena lunghissima e preghiamo perché tutto finisca presto. Ci auguriamo di non aver peggiorato in alcun modo la situazione siciliana e chiediamo scusa, ma la paura ha avuto la meglio.
La comunità medica siciliana invita chi è tornato dal nord a rispettare una quarantena rigidissima: devono rimanere a casa, per spesa e farmaci, che provvedano i familiari ma con tutte le accortezze del caso, evitando qualsiasi contatto.