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Perchè non si devono mai picchiare i bambini

La storia di una mamma serve da spunto agli esperti per ammonire su alcuni comportamenti che, con i piccini, non andrebbero mai assunti

Picchiare un bambino è un atto ignobile. Su questa affermazione sono d’accordo tutti: dai pediatri, ai neuropsichiatri infantili, agli educatori. Sebbene i metodi educativi di una volta sponsorizzassero il metodo della verga e degli sculaccioni, quale viatico indispensabile per educare alle regole e per far crescere degli adulti ligi ai doveri della vita, l’esperienza umana, ma anche medica, ha dimostrato il contrario. Picchiare è errato sempre, punire in maniera costruttiva è invece un modo per educare bene. Lo ritengono i medici della Società italiana di pediatria. Il dottore Peter Newell, coordinatore dell’organizzazione End Punishment of Children (stop alla punizione dei bambini), elenca i motivi per cui la punizione corporale può essere assai dannosa e compromettere drammaticamente lo sviluppo emotivo del piccolo. Ovviamente il riferimento non è al blando accenno di schiaffo, che comunemente le mamme danno sulla manina per redarguire il piccolo (non botte vere e proprie, quanto una simulazione di queste, che in linea di principio andrebbero comunque evitate), quanto all’atto vero e proprio di malmenare un bimbo.

L’esperienza di una bimba percossa con ferocia dal padre

La riflessione nasce da un racconto di una mamma. Figlia di un padre fobico, capriccioso, insicuro, da piccola, la donna, alla vigilia del primo giorno di scuola, poiché aveva disobbedito a una regola precisa del padre, si era ritrovata a subire percosse e insulti. “Mi ha tirata in macchina. Ero a casa della nonna. Facevo i capricci.  Non volevo tornare a casa. Mio padre mi ha presa con prepotenza, con una forza che non equivaleva alla sua gracilità. Mi ha percossa con ferocia. Botte estreme in ogni parte del mio corpo. Dolori atroci. Senza alcuna pietà. Sono dovuti intervenire i vicini, minacciandolo di chiamare la polizia. A quel punto, mio padre ha frenato la sua furia e vilmente mi ha sistemata in macchina e siamo fuggiti verso casa. Una volta a casa, mia madre, sì mortificata, non ha fatto nulla che lasciasse presagire il suo aver compreso la gravità dell’accaduto. Mio padre tremava. Ha chiesto una camomilla per me e per lui. Lei prima l’ha servita a lui. Non lo ha rimproverato. Non ha preso alcun provvedimento. Il giorno dopo era il mio primo giorno di scuola. Ho sempre vissuto la scuola con terrore. Temevo di essere rapita all’uscita. Avevo difficoltà a socializzare, sebbene fossi una delle prime della classe. Mi assentavo di frequente. Da grande ho fatto molti errori sentimentali. Mi sono fatta umiliare da uomini sciocchi. Mi sentivo sempre sbagliata. Ogni volta mi tornavano in mente quelle botte, che ho creduto di aver meritato. Per le quali ancora oggi, inconsciamente, mi sento in colpa. Fu la sola volta che mio padre mi picchiò. Forse avrebbe potuto ferirmi seriamente, se solo non fosse intervenuta una donna a minacciarlo”.

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La storia delle percosse alla bimba da lo spunto a una serie di riflessioni

  1. Picchiare un bimbo non insegna nulla, anzi, distorce la realtà. Il messaggio, veicolato nella fragile ed incolpevole psiche del piccino, è il seguente: sono sbagliato, non sono all’altezza, non merito la stima di mio padre e quindi non meriterò quella degli uomini che incontrerò nel mio percorso. Nella fattispecie, una furia violenta e così improvvisa denota un disturbo psichiatrico del padre che, incapace di gestire uno stato di ansia (che non equivale mai a una condizione di affetto, semmai a un eccesso di egoismo), riversa l’energia negativa nell’atto violento, volto a un essere del tutto indifeso. La viltà di fronte alla minaccia dell’arrivo della polizia spiega il resto. Non un comportamento forte, ma debole. Non affetto alla base della reazione, ma rabbia, insoddisfazione, psicosi. La madre, in separata sede, avrebbe dovuto segnalare la vicenda intanto al medico di base (consapevole anche della conseguenza di una segnalazione ai servizi sociali) ed in seconda battuta avrebbe dovuto coadiuvare il marito in un percorso di psicoterapia e di cura farmacologica. Un trauma del genere rimane indelebile nella psiche di una bimba di sei anni. Può avere effetti anche gravi ed anche la piccola avrebbe dovuto ricevere le opportune attenzioni neuropsichiatriche.
  2. I bimbi picchiati possono sviluppare delle turbe del comportamento. Per attirare amore e attenzione possono fingersi ammalati, essere svogliati, intransigenti, diventare autolesionisti. Nell’adolescenza possono sviluppare disturbi dell’alimentazione, quali anoressia o più probabilmente bulimia.
  3. Possono a loro volta essere bimbi e persone violente. Un trauma vissuto in prima persona diventa un esempio. Un modello da imitare allorquando la rabbia prende il sopravvento.
  4. Incapacità di stare nel conflitto. Un bimbo che ha subito percosse, non saprà capire come gestire un conflitto, anche un conflitto banale. Penserà che ricorrere alle mani sia la sola maniera efficace per spuntarla.
  5. Non saprà gestire la rabbia, che, come tutti i sentimenti, deve trovate spazio nell’io del bimbo come in quello dell’adulto. La sopprimerà (con la conseguenza di poter sviluppare un disturbo bipolare) o al contrario le darà voce sempre ed in maniera spropositata.
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No alle percosse, sì alle “punizioni” costruttive

Punire in maniera costruttiva è una maniera di saper educare. Su questo concordano gli esperti di neuropsichiatria.

La punizione deve sottrarre o aggiungere.

Ti tolgo la possibilità di giocare alla play station per tutto il week end, oppure ti affido il compito di apparecchiare e sparecchiare per una settimana intera.

La punizione deve essere immediata. Un bimbo piccolo non può essere punito a scoppio ritardato, ma contestualmente all’errore compiuto. Al contrario non capirebbe e incamererebbe un messaggio fuorviante.

La punizione va sempre circostanziata e spiegata con lo stesso linguaggio del piccolo. “Hai rotto un vaso. Ti avevamo detto più volte di non toccarlo. Adesso il vaso è rotto, non si potrà aggiustare. Era importante perché era un ricordo del matrimonio di mamma e papà e anche se era solo un oggetto, ci faceva felici. Non devi più farlo. Intanto aiuta mamma e papà a rimettere in ordine”.

La punizione non deve mai assumere il tono del ricatto, dell’attivazione del senso di colpa nel piccolo, né quella della minaccia. Non è facile, così come non è facile alcuna delle dinamiche dell’educazione dei figli. Spesso le regole non servono o vanno riscritte dall’esperienza, con l’ausilio dell’affetto e del buon senso. Certi che, i territori emotivi dei bimbi, sono il patrimonio più fragile e prezioso a disposizione dei genitori.

 

 

 

 

 

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