Il 5 giugno 2016 in Italia è entrata in vigore la legge n.76/2016 sulla “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.
Attesa e acclamata da molti, contestata da altri, la cosidetta legge Cirinnà, dal nome della prima firmataria, regolamenta le unioni civili fra le persone dello stesso sesso.
Già trent’anni prima di questa legge si discuteva in ambiente parlamentare di tale istituto giuridico e negli anni novanta diversi disegni di legge furono presentati al Parlamento italiano, ma nessuno di questi fu inserito tra gli argomenti all’ordine del giorno.
Si è passati dai PACS (Patti civili di solidarietà per coppie di fatto) ai DICO (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), ai CUS (Contratti di unione solidale) e ancora ai DIDORE (Diritti e doveri di reciprocità dei conviventi), mutuando qua e là da modelli legislativi stranieri, ma ancora nel 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’uomo sottolineava il vuoto normativo esistente nel nostro Paese, e con una sentenza che ha accolto il ricorso di tre coppie italiane, sanzionava l’Italia colpevole di lasciare le coppie dello stesso sesso senza adeguata protezione giuridica e di violare il “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” previsto dagli articoli 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti umani.
Solo nel 2016, come dicevamo, le Unioni Civili hanno fatto ingresso nell’ordinamento giuridico italiano.
Vediamo di definirle: le unioni civili sono tutte le forme di convivenza di coppia fondate su vincoli affettivi ed economici, a cui la legge conferisce uno status giuridico analogo, per molti aspetti, a quello del matrimonio, attraverso uno specifico istituto giuridico. La costituzione delle unioni civili è possibile solo per persone maggiorenni dello stesso sesso. E’ esclusa quindi per gli eterosessuali. Ai fini della costituzione del vincolo ci si reca di fronte all’ufficiale di stato civile con due testimoni e all’esito della dichiarazione resa, questi provvede alla registrazione dell’unione civile nel registro anagrafico del Comune.
Cosa prevede la legge: Differenze e analogie fra unioni civili e matrimonio
Al momento della costituzione dell’unione le coppie scelgono il regime patrimoniale del vincolo tra quello della comunione e quello della separazione dei beni e l’eventuale adozione di un cognome comune. Quanto al cognome di famiglia, questo viene dichiarato all’ufficiale di stato civile e, a differenza di ciò che avviene nel matrimonio civile, viene fatta salva la possibilità di ognuno di anteporre o posporre il cognome dell’altro al proprio. Dall’unione civile derivano, come per il matrimonio, diritti e doveri reciproci per la coppia, quali assistenza morale e materiale, coabitazione, contribuzione ai bisogni comuni, potere e dovere di concordare l’indirizzo comune della vita familiare.
Quanto alla eredità, anche qui si applicano le stesse norme relative alla successione esistenti per i coniugi, sia in relazione alla disciplina della successione legittima, che per la successione ereditaria.
Pertanto, al partner omosessuale del de cuius spetterà l’intera eredità in mancanza di figli, fratelli, sorelle e ascendenti del defunto; i due terzi in presenza di ascendenti, fratelli o sorelle del defunto; metà dell’eredità in caso di concorso con un solo figlio o un suo terzo in caso di concorso con più figli del defunto. E ancora, la parte dell’unione civile ha sempre il diritto di abitazione sulla casa familiare.
Le distinzioni maggiori riguardano la c.d. stepchild adoption e l’obbligo di fedeltà. Entrambe presenti nel testo originario del disegno di legge, sono state eliminate dopo il voto in Senato.
Oggi, pertanto, non è riconosciuta la possibilità che il figlio minore di un componente della coppia (nato da fecondazione eterologa o da gestazione per altri) instauri un rapporto di genitorialità sociale con l’altro a seguito di adozione.
E se l’unione civile si scioglie, gli effetti sono immediati e non è previsto, come per il matrimonio, un periodo di separazione antecedente al divorzio.
Inutile dire che l’eliminazione di tale obbligo è uno degli aspetti che rende ancora acceso il dibattito su una vera e propria analogia con l’istituto del matrimonio, rischiando di qualificare in maniera fortemente diversa una coppia omosessuale unita civilmente e una coppia eterosessuale sposata.