Quando ero incinta, mi capitò tra le mani uno dei tanti libelli su puericultura e psiche dei piccini. Ne scorsi le pagine e mi soffermai su un frase: Mai dire a un bambino “sei monello!”. Occorre sempre apostrofare e redarguire il comportamento, giammai la persona. La pena: ingenerare nel piccino una compagine di traumi tanti e tali che non sto manco a dirveli (ammesso che li ricordassi).
Quel diktat mi si scolpì nelle viscere
Carezzai il pancione e gli giurai che “no, piccolo mio, non ti dirò mai monello. Anche perché tu, monello, non lo sarai”.
Sempre nel magico periodo della gravidanza, mi rimpinsai di manuali veloci sui vari metodi Montessori, Piaget, Waldorf, Steiner.
Spalancavo gli occhi e leggevo
E appuntavo ogni cosa, cercando di non disperdere i preziosi consigli.
Una volta a casa ripetevo tra me e me:
1) Pazienza infinita
2) Non urlare mai
3) Tono pacato ma fermo
4) Sorridere sempre
5) Mai minacce, neppure sottili
6) Lupi, orchi, “il dottore che viene e ti fa la puntura”, “il carabiniere che ti arresta”, “quella bimba è più buona di te”, “se fai il bravo ti compro il gelato” sono le frasi viatico per allevare un serial killer del domani.
Ero preparatissima. Ero già una mamma perfetta e mio figlio manco ero uscito dalla panza. Era tutto così semplice. I libelli, il mio quaderno di appunti, il mio training mentale. Evviva la Montessori e tutta l’allegra brigata?
Poi è nato mio il pulcino
Vi risparmio la cronistoria dei suoi primi 12 mesi, perché in quell’età i piccini, si sa, vivono in un privilegiato territorio mentale, affettivo e motorio in cui par logico giustificargli tutto (la frase riassuntiva dei nonni è: “non lo rimproverare, tanto ancora non capisce”). Poi iniziano a parlare (paroline, ovviamente. Abbozzi di frasi). Indicano tutto con cognizione di causa (ed anche di effetto). Camminano spediti, quindi corrono, si arrampicano, si inerpicano, si lanciano. Raggiungono vette che manco Messner. Scoprono oggetti (pericolossimi), che tu non ricordavi manco di avere (talmente li avevi nascosti bene). La zona rossa, alias quella dei farmaci (che dal primo cassetto a sinistra del bagno, hai spostato su un pensile Ikea, montato ad hoc sopra la finestra – altezza due metri e mezzo da terra) è il loro obiettivo privilegiato. La osservano languidi e cercano di raggiungerla scalando il water e financo la cassetta dello sciacquone.
Le pentole sono la loro passione
In cucina, giri gli occhi mezzo secondo e ti ritrovi la batteria 80 pezzi Imco disseminata per casa. Loro sono lì sorridenti. Con un mestolo mescolano, dentro la pentola triplo fondo, tutti gli animali della vecchia fattoria. Girano il ditino sulla guancia gongolanti e pensi già che tuo figlio no, non sarà un vegetariano. Pensi anche che regolerai il parental control con lo stop alla voce Cracco, Cannavacciuolo e Isoardi (non più Clerici, ahimè). C’era poi quel vaso antico. Quella della nonna di tua nonna. Quello che, per averlo, hai litigato a morte con mezzo apparentato. Quel vaso, appunto, c’era. C’era una volta. Oggi non c’è più?
Il cambio pannolino è l’estasi
Tra i diciotto e i 24 mesi occorre sapersi organizzare per l’evento. Mio figlio, che avrà, come tanti suoi coetanei, velleità da Yuri Chechi, punta ogni volta la mensola sopra il fasciatoio. Si spinge così bene con i piedi che riesce ad aggrapparvisi. Ed è un corpo a corpo tra me e lui. Uno studiare le mosse dell’altro. Un continuo scegliere la tattica veloce, efficace e soprattutto indolore. Eccoci alla passeggiata al parco. Lui un maratoneta, io un’oca del Campidoglio. La serata in pizzeria (quelle sono un ricordo. Ci hanno ormai banditi da buona parte dei ristoranti della città). Ed ancora, dai portiamolo a vedere un cartone al cinema. Luci spente, Paw Patrol a schermo gigante ed una sagoma saltellante, che canta a squarciagola e a modo suo tutta la sigla (anche quando la sigla è finita da tre quarti d’ora).
Amiche, sono uscita volutamente fuori tema
Ero partita parlando di puericultura e psicologia della prima infanzia. Vi avevo detto di quel libello, della parola monello, che no, non si deve dire mai.
Non mi sono dimenticata del mio incipit
Tutta questa manfrina era solo per dirvi che io monello a mio figlio lo dico. Eccome se glielo dico. Lo pronuncio a stampatello. Mi scordo del diktat: pacatezza, pazienza, sorrisi, tono dolce ma deciso. Montessori, Steiner, Piaget, Waldorf lo hanno mai visto uno come mio figlio???
Ne dubito, altrimenti avrebbero rimaneggiato i loro consigli. MONELLO. Forse lui pensa di chiamarsi così. O forse no, perché, care amiche mamme, mio figlio è nell’età in cui sa ripetere tutte le parole che ascolta. Tutte, anche quelle pronunciate sottovoce. Tutte eccetto una: monello. Diventerà per questo un serial killer? Ne dubito. Io di sicuro non sarò mai una mamma perfetta. Pazienza!?