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Nella giornata dei Carabinieri ricordo il Maresciallo

Oggi i 206 compleanni dell'Arma, nella storia di un sottufficiale innamorato della sua divisa

Sono capitata per caso nella famiglia dell’Arma.

Da persona maldestra, ritardataria e con qualche sfumatura di indisciplina,  l’idea delle regole ferree, delle gerarchie, del protocollo non ha mai fatto per me. Eppure, da più di un decennio, mi onoro di fare parte del mondo dei Carabinieri. Di riflesso, ma ormai visceralmente. Il mio volere bene alla divisa inizia però un po’ più in là nel tempo, quando ero ancora piccina ed oggi più che mai sento di volerne fare racconto.

Nonno Raffaele aveva un fratello, che era il suo orgoglio: perché era un uomo buono, perché erano assai simili e perché era riuscito a diventare un Maresciallo dei Carabinieri. Ogni volta che parlava di suo fratello Salvatore gli si gonfiava il petto di orgoglio, gli si incendiavano gli occhi azzurri e con una certa deferenza lo chiamava “il Maresciallo”. Mentre scrivo mi pare di risentirla la voce del mio nonnino, quando diceva: “mio fratello, il Maresciallo”, scandendo con solennità ogni sillaba di quel titolo da sottufficiale.

Lo zio Salvatore per tutta la famiglia era il Maresciallo, scritto e pensato in maiuscolo. Ultimo di sette figli, orfano prima ancora di conoscere il padre, lo zio aveva avuto ambizione, intelligenza e buona volontà ed era riuscito nell’impresa: andare a scuola, diplomarsi a pieni voti e indossare la divisa della Benemerita.

Lui, lo zio Maresciallo, che viveva lontano, lontano, in un paese della Toscana che in molti non conosceranno, ma che per me, per tanti e più anni, è stato il paese dei sogni. A San Lorenzo a Vaccoli, a metà strada tra Lucca e Pisa, c’era la caserma “comandata” dallo zio Salvatore. Quel luogo mi veniva descritto con parole a stampatello. “Ci sono tanti carabinieri e il comandante, lo zio, tutti lo salutano e gli dicono ‘comandi, comandi’. Dalle finestre si vedono colline bellissime.  Sulla scrivania del Maresciallo ci sono carte e carte e un vaso pieno di fiori freschi. E poi gente che va, viene, ritorna”. Io immaginavo questo posto, quasi fosse monumentale, come un battaglione, cosa dico, un reggimento. Me ne parlava mia nonna Stella con l’entusiasmo di una ragazzina. Lei, nata e vissuta tra i monti Sicani, si concedeva ogni tanto, insieme al nonno Raffaele, una scorribanda a San Lorenzo, a visitare i cognati e i tre nipoti, Pinuccia, Santina e Girolamo per i quali, non esagero, aveva una venerazione. Erano per lo più viaggi mascherati da ragioni sanitarie, ma i nonni, sotto sotto, contavano i giorni e le ore che li separavano dal volo Palermo-Pisa. Poi iniziavano le interurbane: “Stellina qui è tutto bellissimo. Ci sono strade larghe larghe. Un albero di Natale alto tre metri, ma forse anche cinque. La gente parla ‘tutta in italiano’, e ci sono negozi, ma che negozi. Lo zio lo conoscono tutti e come gli vogliono bene. Poi ti portiamo tante cose”. Io ascoltavo e sognavo il ritorno, i regali e soprattutto i racconti di quel posto che pareva dall’altra parte del mondo. San Lorenzo: chissà com’era da vicino? Com’era quel paese dei balocchi, da cui i nonni tornavano con le mani piene di doni ed il cuore carico di tante cose. Nonna Stella era una gran parlatrice ed aveva in sé la megalomania buona della gente di provincia. Si inalberava con i vicini di casa quando, tornata al paese, raccontava di essere stata ospite di suo cognato, il Maresciallo, nell’alloggio dentro la caserma “niente di meno”. Nonno Raffaele, occhi trasparenti e tempra pacata, prometteva che un giorno mi avrebbe portata lì, anche se lì era lontano lontano.”

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Un uomo elegante

Lo zio ogni tanto tornava e tutti lo aspettavamo trepidanti. Era un uomo naturalmente elegante, autorevole, con una sfumatura di severità che si confaceva al suo ruolo e che un po’ mi metteva soggezione. Ero piccina e ogni volta che andavamo a fargli visita, nella bellissima casa estiva a due passi dalla chiesa di San Giuseppe, io rimanevo in silenzio, perché, a dire la verità, il Maresciallo quasi quasi mi faceva paura.

Poi, un giorno, iniziai a volergli bene e quando un bimbo inizia a voler bene a qualcuno senza che gli venga imposto, quella persona gli resterà nel cuore per sempre.

Avevo nove anni e nonno Raffaele era partito. Partito per sempre. Lo zio era tornato nottetempo in Sicilia, per tentare di salutare un’ultima volta quel suo fratello diletto. Non ricordo se riuscì o meno nell’impresa, una cosa però ricordo benissimo: le lacrime discrete, copiose e sincere, che si concesse appartato in un angolo della casa dei nonni. Quel particolare mi colpì e illuminò i miei sentimenti di bambina. Quel giorno iniziai a volergli bene.

Scoprii che con lo zio avevo in comune l’amore per la lettura ed ancora di più per la scrittura. Che eravamo entrambi dei gran parlatori, che ci piaceva “filosofeggiare” e che ci emozionavamo facilmente. Nello zio ritrovavo spesso lo sguardo di nonno Raffaele, cosa che non gli dissi mai, ma che pensavo tutte le volte che lo incontravo. C’era stima e rispetto profondo ed un legame atavico, che lui identificava nell’onore di portare lo stesso cognome. “I Panepinto, gente umile, onesta, intelligente”, diceva lui, quando si perdeva nei tanti racconti della gioventù.

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Lo zio c’era quando mi laureai ed era felice come una Pasqua. Mi scattò un reportage fotografico dettagliatissimo. Lo ricordo ancora a saltellare qua e là tra i corridoi dell’aula magna in via Pascoli a Palermo. Era elegantissimo, sorridente e con lo sguardo curioso che hanno i bambini quando scoprono una cosa nuova. Quando mi proclamarono corse ad abbracciarmi e mi ringraziò: “Brava, sei la prima Panepinto che consegue la laurea. Grazie.” Volle poi che gli spiegassi cosa fosse la Semiotica e mi fece promettere che gli avrei scritto un compendio della mia tesi di laurea, cosicché potesse conoscere qualcosa di più di quella disciplina per lui del tutto nuova.

L’ironia della sorte volle che fosse il primo in famiglia a sapere che mi ero fidanzata con un ufficiale dei carabinieri. Mio marito gli consegnó una medaglia postuma per l’onorata carriera. Poi gli sussurrò in un orecchio: “Maresciallo, mi sono innamorato di sua nipote, ma non lo dica a nessuno, mi raccomando”. Alessandro mi raccontò che allo zio brillarono gli occhi ed effettivamente quel segreto non lo rivelò a nessuno e fece finta di non sapere nulla anche quando comunicammo a tutta la famiglia la buona nuova. Era un carabiniere tutto d’un pezzo e mantenere un segreto per lui era cosa da poco.

Al mio matrimonio si commosse senza fine e ho la fortuna di avere una foto che immortala quell’istante. La gioia più grande gliela regalai quando gli dissi, con un filo di voce (perché tramortita dall’anestesia), che ero diventata mamma di un bimbo e che lo avevamo chiamato Raffaele.

Lì scoppiò in un pianto felice ed emozionato, che si ripeteva tutte le volte che ci incontravamo e che chiamava per nome il mio bambino. “Raffaele, come mio fratello.” Non aggiungeva altro, ma con gli occhi e con il cuore aveva detto tutto il resto.

Brindare ai cento anni

Festeggiammo i suoi novant’anni con la promessa che ci saremmo ritrovati tutti a brindare ai suoi cento. Così non è stato. Lo zio è partito qualche giorno fa. Ho provato un dolore profondo e per un attimo ho sentito il mio cuore spezzarsi in due metà. Non avrei più rivisto quell’uomo elegante, con il piglio d’altri tempi e una nobiltà d’animo fuori dal comune. Non avrei sentito più i suoi racconti, quando mi parlava fiero dei suoi adorati nipoti, insistendo spesso su Rachele, la più piccola: “Che bel nome che ha la mia nipotina e come è furba. Con questo nome così raro, non correrà mai il rischio di confondersi con gli altri.” Non avrei più ricevuto i suoi manoscritti, che iniziavano sempre con la stessa dedica “alla mia nipotina Maristella”, non avrei più provato la meraviglia di sentirlo parlare dei suoi pronipoti con l’entusiasmo di chi ha tutta la vita davanti così da vederli crescere. Non avrei più sentito la sua voce al telefono dirmi: “Sto benissimo”, così come ha fatto fino a pochi giorni prima di andare via.

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L’ultima volta che ci siamo visti, lo scorso inverno, eravamo già in macchina e lui si è riavvicinato per darci ancora un saluto, con gli occhi lucidi di affetto. Ci ha seguiti con lo sguardo finché la nostra automobile non ha svoltato l’angolo. A saperlo che sarebbe stato il nostro ultimo incontro gli avrei dette tante e più cose.

Scrivo di zio Salvatore asciugando un paio di lacrime, nel giorno in cui, in maniera mesta, si festeggiano i 206 compleanni dei Carabinieri. Un giorno che porto nel cuore da anni. Era giusto ricordare questa ricorrenza e farlo raccontando di un uomo dell’Arma. Un Maresciallo che i più non hanno conosciuto, ma che merita di essere ricordato, per l’onore che ha dato alla vita e alla divisa, che della sua vita è stata parte per sempre. Perché lo zio Salvatore Panepinto è stato un carabiniere perbene e questo è ciò che più conta.

Ps: Due anni fa, finalmente, sono stata a San Lorenzo a Vaccoli. Ho realizzato un sogno. Ho visto con i miei occhi le stradine, la pieve, la macelleria del centro e su tutto la caserma dei Carabinieri, che non somiglia affatto a un reggimento, ma per me resta monumentale, perché è quella dove mio zio è stato il Maresciallo. Era sera e lo chiamai felice, trovandomi proprio davanti al Comando. Lo zio si commosse e strappó una promessa a mio marito: “Alessandro, promettilo. Domani mattina presto vai, presentati al Maresciallo e digli che sei mio nipote, che sei un ufficiale dei Carabinieri. Promettilo.”

Torneremo in quel posto per mantenere la promessa fatta al nostro Maresciallo, che oggi, nella giornata dei Carabinieri, vogliamo ricordare con tutto il cuore, immaginandolo sereno, in una angolo panoramico del paradiso, con la sua divisa, le medaglie, la sua scrivania piena di carte e sullo sfondo quella caserma a San Lorenzo, di cui lui parlava sempre con gli occhi lucidi. Fieri e orgogliosi di avergli voluto bene e di volergliene ancora.

2 risposte

  1. Cara Maristella ….. quest’Arma rapisce il cuore … si fa spazio in silenzio … si fa largo nelle nostre vite in punta di piedi….elegante come solo Lei sa essere….fino a farne pienamente parte anche noi che…una divisa non l’abbiamo…. ma ad ogni suo compleanno ci commuoviamo…partecipiamo dietro le quinte …. contempliamo suoni colori marce schieramenti disciplina…tanta disciplina..in ogni gesto di ogni carabiniere di ogni ruolo e grado… il 5 giugno da 5 anni è un giorno più speciale dei precedenti 20: per il compleanno di Carlo….nato sotto questa Stella!!
    Meraviglioso racconto il tuo … anche stavolta …. grazie!

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