Amo pensare al mio bar come a una grande casa; casa mia ma soprattutto la casa di tutti, di chiunque apra la porta a vetri spingendo la maniglia. Una casa per cinque, dieci minuti, il tempo di un caffè, di un dolce, di una chiacchiera con un amico che non vedi da tempo.
Ci sono giorni in cui il mio bar mi sembra più casa di sempre, una di quelle cose che ti rendono misteriosamente orgoglioso, dico misteriosamente perché a volte capita di prenderti meriti che magari non hai. Prendi domenica, c’è quest’uomo che vedo ormai da qualche giorno, non so il suo nome, ma conosco la sua storia.
Arriva da Agrigento, il figlio nato prematuro, per alcune settimane ha lottato all’ospedale dei bambini di Palermo.
Quest’uomo viene ogni giorno per portare il pranzo alla moglie che non si schioda dall’ospedale. Una parola dietro l’altra, quelle che ti fanno mettere insieme i pezzi, che ti trasformano in una sorta di investigatore delle vite degli altri. Parole di dolore e di speranza.
Domenica, dicevo. Finalmente l’ho visto sorridere, il piccolo è fuori pericolo, ce la farà, e quando me l’ha detto mi ha ringraziato per qualcosa che non so ma che dovrei forse sapere, per quel bar che è anche casa e che è stata casa per questa coppia che aspettava ogni giorno che un medico dicesse ok, tutto bene, voglio figlio ce la farà.
Una risposta
Dolcissimo. Lode a Dio per ogni vita che nasce cresce ce la fa?
Grazie Maristella!