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Mio figlio e il suo pomeriggio con i pupi della famiglia Argento

L'opera dei pupi non è solo per adulti. Anche i più piccini la apprezzano. Restano rapiti dal ritmo, dai suoni, dai colori e da una magia d'altri tempi

Non immaginavo che l’Opera dei Pupi fosse uno spettacolo adatto ai bambini. Ammetto, malgrado il mio genoma siculo, di dover colmare la mia ignoranza in tema di chanson de geste ed epopee carolingie. Avrò visto il cunto giusto un paio di volte, distrattamente, quando ero ragazzina, durante una di quelle gite di istruzione, in cui ti importa poco o nulla di quanto dovrebbe istruirti. In merito alle gesta dei paladini, ho una serie di reminiscenze scolastiche, installate in quella porzione di memoria, che si attiva in automatico al semplice input di Orlando, Rinaldo e Angelica. Ripetuti, a pappagallo, come se fossero un esametro omerico. Nè più e nè meno.

Qualche tempo fa, le maestre del nido ci hanno proposto di partecipare a uno spettacolino di pupi siciliani. Mio figlio ama la musica, il ritmo, qualsiasi cosa che produca un rumore sensato. All’iniziativa ho però risposto con qualche riserva. Un duenne potrà mai gradire uno spettacolo di pupi? Ho aderito, certa che Raffaele avrebbe sì fatto questa esperienza, ma tra mille capricci e il desiderio di fuga sempre in canna.

I bimbi però stupiscono e arrivano laddove noi adulti manco immaginiamo. Raffaele non solo ha gradito quell’estratto di spettacolo, ma ne è rimasto rapito al punto da ripetere a memoria quel che della messa in scena aveva compreso. “Ollandino combatte e vince sempre. Ollandino combatte per Aggelica”.

Questa la sua personale silloge della celeberrima saga.

Da allora, mi ha più volte chiesto di tornare al “teatrino di Ollandino”.

Il teatro della famiglia Argento

Vivendo nel cuore di Palermo, ho pensato di portarlo al Teatro dei Pupi della famiglia Argento.

Sabato pomeriggio uggioso, Raffaele al settimo cielo, noi che ci infiliamo in un vicoletto di basole, installato nella Palermo antica. È via Pietro Novelli ed il teatro è ricavato tra le viscere del palazzo Asmundo, proprio di fronte la cattedrale. Passiamo il portone di legno ed eccoci d’emblèe nel cuore della Sicilia dei pupi e dei pupari, anzi degli operanti, come puntualizza Nicola Argento, figlio del capo stirpe, Vincenzo. “I pupari sono coloro i quali costruiscono i pupi, chi li muove è l’operante. Noi siamo fieramente pupari ed operanti ormai dal 1893.”

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Nicola parla con orgoglio di quella che è una vocazione, una missione, il senso della vita di ormai quattro generazioni di pupari. Con lui c’è il papà, Vincenzo, detto Cecè, ottant’anni portati con fierezza e con la voglia di fare questo mestiere ancora per chissà quanto tempo. Lui porta un nome, che è eredità, onore ed onere. Si chiama come il capostipite, quel don Cecè, che a fine 1800, a Borgo Vecchio, iniziò la storia di una delle famiglie di pupari più antiche e longeve d’Italia. C’è poi la signora Teresa, moglie di Cecè: una vita tra le quinte, la platea, il minuscolo botteghino, improvvisato sull’uscio e poi la sartoria. “Io mi occupo di costumi. Io vesto i pupi, ci racconta Teresa. Non è facile, sa. I pupi hanno abiti sontuosi: passamanerie, stoffe di pregio, decori. Faccio tutto io. Nulla va lasciato al caso, parliamo dei paladini di Francia.”

La battaglia di Orlando e Rinaldo

Inizia lo spettacolo. Il teatrino è gremito di turisti, ma anche di appassionati del posto. Raffaele non è il solo bambino presente nella raccolta platea (che somiglia quasi a una chiesetta di campagna, di quelle piene di sentimento). Lo spettacolo è “La battaglia di Orlando e Rinaldo per amore di Angelica”.

Sul piccolo palco, dove le scene coloratissime si aprono nel senso della profondità, si avvicendano i paladini: Orlando di verde vestito e il cugino e rivale Rinaldo, con il pennacchio rosso. Ad animarne gli animi è la bella Angelica, occhi celesti, trecce di onice, personalità eterea. È la principessa del Catai, l’inarrivabile, il sogno. Per lei, i due celebri paladini, al servizio di re Carlo Magno, sono pronti a battersi fino alla morte. Le spade tintinnano, mentre gli operanti danno il meglio, con la voce, con le braccia, con quella passione che è la loro guida. Sulla scena ci sono Orlando, Rinaldo, Angelica e poi la pletora degli altri combattenti, inchinati al loro sovrano Carlo Magno. Nella vicenda amorosa, così come vuole il poema cavalleresco del ciclo carolingio, si intersecano le lotte tra cristiani e saraceni. Sul piccolo proscenio, a metà spettacolo, sbucano dieci, forse quindici paladini. Sono bellissimi, austeri, eleganti, sembrano una legion d’onore. Si prendono gli applausi a scena aperta. Raffi e il suo nuovo amichetto (un bellissimo bimbo giapponese) sono entusiasti di fronte a quella “folla” di paladini colorati. Loro, i combattenti, sono pronti a battersi per la cristianità. Orlando è il più forte, il più ardito, lo muove la fedeltà al suo sovrano, ma ancora di più la furia d’amore per la bella Angelica, che però non sarà mai sua (Ariosto ci insegna che ad avere la meglio sarà Medoro e che Orlando perderà il senno, diventando “il fuorioso”). Le spade tintinnano, mio figlio si entusiasma e batte le mani. Mi fa una raffica di domande. Vuole sapere come si chiamano gli altri paladini. Gli prometto che lo chiederemo direttamente ai pupari. Dopo lo spettacolo, la famiglia Argento ospita gli spettatori dietro le quinte. È possibile conoscere i tre operanti (Vincenzo, Nicola e Anna Argento), che hanno dato anima ai pupi. Un lavoro non facile, ma svolto con dovizia tecnica e vis artistica di grande livello.

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Raffaele ha qualche esitazione, poi si lascia convincere dal maestro Cecè e poggia la sua manina su quella  di Orlando. Ed è una raffica di domande. Gli occhi curiosi sbirciano dappertutto. Si attivano anche i cinque sensi per conoscere meglio il mondo dell’Opera dei Pupi. Raffaele accarezza un “pupo nudo”, che altri non è che un prototipo. Lo ribattezza con il nome di Pinocchio e gli stessi maestri Argento confermano che pupi e burattini appartengono alla stessa famiglia. Facciamo un giro per il piccolo teatro: sulla sinistra, con un’armatura di ferro e una dimensione quasi umana, troneggia Rinaldo, dalla parte opposta c’è una sorta di edicola ed un pupo singolare. Non è un paladino, non è un saraceno. È un prete. Raffi lo riconosce: “Don Pino Puisiiii”.

Sì è don Pino Puglisi, a cui la famiglia Argento ha dedicato una pupo ed una messa in scena. Ci riproponiamo di vedere anche questo spettacolo. Salutiamo e andiamo via con gli occhi colmi di cose nuove, di cose belle. Raffaele ha imparato il nome di alcuni dei paladini. Li ripete con enfasi, così come gli ha insegnato maestro Cecè. Lo spettacolo gli ha illuminato lo sguardo, come nessun espediente tecnologico potrebbe fare. La rappresentazione della lotta non gli ha fatto paura,  perché nell’Opera dei Pupi questa assume una connotazione teatrale, danzante, musicale, con una punta di goliardia. Raffaele è stato felice e noi con lui, certi che un genitore può proporre conoscenza, ma che un figlio aggiunge a questa la meraviglia. Con gli occhi della meraviglia il mondo lo si vede in maniera molto più nitida.

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Grazie di cuore e complimenti alla famiglia Argento per averci regalato questa ora di bellissima evasione. Ritagliarsi un tempo lento con i propri bambini, lontano da stimoli tecnologici e frenesia, è un dono che ci si deve fare più spesso.

 

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