Mentre il mio piccino si gode il suo bottino di Hallowen, io guardo il “cannistro” e penso a tante cose belle.
La festa dei morti, quando ero bambina, era la mia preferita. Lo era ancor più del Natale, che già allora mi metteva addosso un pezzetto di malinconia.
I morti nobili d’America
C’era una coppia elegante. Lui in bombetta, frac e baffi all’inglese. Lei sottobraccio: un donna superba. Pelle di cera, avvolta in una pelliccia da nobildonna, dalla quale spiccava un girocollo di grosse perle, che sarebbe risultato pacchiano indosso a chiunque, ma non a quella “principessa” che dicevano mi venisse parente. Erano zii di un tempo lontano. Vissuti e morti chissà dove, nel cuore opulento dell’America. Forse neppure la nonna li aveva mai conosciuti. Forse quella foto l’avevano scelta in qualche catalogo dei sogni e l’avevano spedita, fin dentro la Sicilia, per illudere, chi era rimasto, che sognare in grande è concesso a tutti. C’era poi la foto di un tizio riccioluto con la tromba. Pareva Louis Armstrong. Le guance a esplosione, nel gesto di buttare fuori quanto più fiato possibile. Tra tutti lui era il mio “morticino” preferito e lo avevo eletto, in un plebiscito tutto personale, l’anima buona che la mattina del 2 novembre mi faceva trovare dolci e giocattoli. Anche quel giovane, baldo e riccioluto chissà se è mai esistito?
Poi c’erano i “morticeddi” privilegiati. Quelli che si erano installati talmente bene nel cuore dei vivi, da meritare il posto d’onore. Lo zio Calogero e la zia Ciuzza erano fra questi. Due nomi che nonna pronunciava con un amore così grande che ancora ricordo il timbro della sua voce nel dire: pinu Calò e pina Ciù (con quei “pinu” e “pina” che rafforzavano il concetto). Alle cinque in punto del pomeriggio, a casa di nonna si radunava una piccola platea di fedelissime (vicine di casa, parenti, compari di banco in parrocchia) e partivano le interminabili giaculatorie. Adoravo quelle giornate. A Casteltermini c’era un freschetto già tardo autunnale. A casa della nonna si accendeva l’enorme stufa e gas e mentre si pregava, a turno, qualcuna delle oranti, rosario alla mano, metteva sul fuoco la moka da dodici e stendeva sul tavolo la tovaglia ricamata a punto erba. Pregando pregando, si sgranocchiavano taralli, tetù e reginelle, ed ancora castagne arrosto, semi di zucca e di girasole. Ci si allungava, a turno, un plaid di motivo scozzese, che era confortante al pari di una carezza sincera.
Nel giorno dei morti racconti di vita
Quando terminavano le orazioni, partivano i racconti. In quel momento “i morticeddi” parevano uscire dalle foto. Ciascuno con la sua storia. Con la punteggiatura fitta, dove le virgole stavano per le disgrazie e i punto e a capo per i momenti felici. Ogni tanto nonna Tatà asciugava una lacrima e ricominciava, con quel suo talento singolare nel narrare storie dense di incroci, bivi e svolte obbligate. La nonna custodiva stretto nel petto un ricordo e un dolore grandi: il volto di sua madre, che “era partita per il Paradiso” giovane e bella, quando lei avevo solo nove anni. “Una vita senza mamma non è vita facile, anche se intorno avevo tanto amore. E ricordate, ammoniva severa Tatà: la mamma è l’arma, cu la perdi nun la guadagna.”
Non ho mai compreso se “arma” stesse per anima o se fosse l’iperbole di arma assoluta di difesa. Il tono greve e trionfalistico della nonna lasciava sicuramente intendere qualcosa di maestoso, che andava al di là del significato in senso stretto.
La vigilia si andava a letto presto. I morticini non passavano a visitare i bimbi svegli. C’era poi una leggenda spaventosissima che circolava in paese: la processione dei defunti, a mezzanotte in pollice, scendeva dal cimitero, attraversava quel dedalo di viuzze che è il quartiere “Convento” e una volta in centro storico percorreva la cosiddetta “strada dei santi”. Guai a intralciare il corteo, era auspicabile rimanere a casa e non gironzolare oltre le 23 e 55 minuti. Uno sprovveduto, che aveva osato sfidare la sorte, alla vista della professione di “anime sante” diventó bianco di terrore e così rimase, dalla testa ai piedi, fino alla fine dei suoi giorni.
La grande gioia del 2 novembre
La “gita” al cimitero
Il piatto dei morti