Lunedì 18 maggio è una data storica anche per la chiesa. Dopo la chiusura obbligata ai fedeli per via della pandemia – i riti sono stati interdetti al pubblico da più di due mesi – le porte delle chiese torneranno a riaprirsi. Non si potrà però usare un verbo caro al santo più amato del nostro tempo, Karol Woytila, che parlava di “spalancare le porte”, poiché anche nelle chiese l’ingresso sarà contingentato e dovrà rispettare tutta una serie di regole anti-contagio. Alla vigilia del grande giorno, abbiamo intervistato un prete agrigentino, don Giuseppe Morreale, parroco di una parrocchia di periferia, Beata Maria Vergine Madre della Chiesa, come lui stesso la definisce, nella zona industriale di Agrigento.
Don Giuseppe è arrivato il grande giorno, è emozionato?
Certamente, soprattutto perché mi rendo conto che la gente questo momento lo ha desiderato tanto. Mi riferisco a chi tiene realmente all’incontro con Cristo, perché la messa, teniamolo a mente, è un incontro, non è solamente un rito.
Voi sacerdoti avete vissuto un tempo lungo di celebrazioni senza l’assemblea
Sicuramente ed è stato anche un tempo nuovo, un’occorrenza mai successa prima. In questi mesi, tra le altre, mi ha colpito una frase: “Dove sei Dio in tutto quello che sta succedendo? Sono dove mi avete messo.” Ed io penso che Dio sia dove lo abbiamo messo prima di questa pandemia e lí lo ritroveremo ancora e anche dopo.
Lei dove ha tenuto Dio in questo periodo?
Credo che sia più importante dove Dio ha tenuto me. Ossia nella possibilità di celebrare l’eucarestia e di farne buona scorta.
Qualche suo parrocchiano o più in generale qualche fedele si è perso per strada in questo tempo tanto difficile?
In questi mesi non ho mai avuto questa sensazione. Ho avvertito lo scoramento di molti fedeli, con cui ho mantenuto un rapporto costante, ma ho motivo di credere che molti hanno ritrovato Dio, proprio perché sono stati mesi di prova. Ora è il momento di non perderlo.
Al sud la pandemia ha avuto numeri contenuti, può però aver fatto strage di anime?
Non credo. Parlo della mia piccola realtà parrocchiale, dove nello scorrere dei giorni, tramite i mezzi virtuali: le telefonate, gli sms, whatsapp, ho sempre avvertito un filo di unione, direi quasi di speranza. Questo non vuol dire che non ho sentito la gente smarrita. Noi al sud non abbiamo pianto la mole di morti che hanno pianto alcune regioni del nord. Lo smarrimento però l’ho visto quando, nella cornice del grande male, ne subentravano altri: l’andare in ospedale per un intervento chirurgico non rimandabile e non avere una sola persona cara come conforto. Il terrore stesso di andare in ospedale. Ho saputo di gente che è morta di infarto pur di non recarsi in pronto soccorso per paura del contagio. Ed ancora lo smarrimento per chi ha perso una persona cara. Il Covid ci ha tolto per due mesi il legittimo diritto ad elaborare il lutto ed a farlo grazie al rito funebre, che accompagna e sostiene spiritualmente il distacco, ma anche nell’impossibilità di poter ricevere la consolazione di amici e parenti. Anche la gioia della nascita è stata limitata. Penso alle partorienti che hanno dato alla luce i loro figli con la mascherina e senza il futuro papà a dare loro coraggio. È stato un tempo di prova, che possiamo cristianamente paragonare ad un grande triduo pasquale, dove dopo tre mesi la passione però arriva la resurrezione.
La domenica È la Pasqua del cattolico. Come si sta preparando per la prima celebrazione?
In vista della prima messa post Covid si dovranno mettere a punto tante cose relative alla logistica, alla sicurezza, al distanziamento. Non voglio però parlare di questo, del resto tutte le norme per partecipare alle celebrazioni ormai sono note.
Penso che in questo momento non dobbiamo solo preoccuparci di organizzare le chiese, ma dobbiamo capire cosa dire alla gente, che è provata ed impaurita. La gente si aspetta un vangelo spezzato come il pane, che deve far trasparire quella scorta di eucarestia che noi preti abbiamo potuto ricevere. La gente si aspetta qualcosa di simile alla moltiplicazione del pane e dei pesci, non solo parole. In questi mesi in molti hanno sofferto la solitudine, l’isolamento, il lutto, il dolore dell’aver perso il lavoro e tante altre sofferenze che sono nella natura dell’uomo. Il credente provato da questo momento non si aspetta retorica, ma a messa vorrá il pane della provvidenza, della consolazione e della speranza.
Teme che le chiese di svuoteranno?
Fino a un paio di mesi fa era bello vedere la chiesa piena di gente. Oggi noi sacerdoti dobbiamo evitare di fare la conta dei posti numerati, ma dobbiamo preoccuparci di chi rimane a casa. Le nostre chiese potrebbero svuotarsi ancora di più, quindi dobbiamo stare attenti allo smarrimento che porterà la gente a non avere coraggio di uscire: anziani, persone malate, persone sole, chi ha avuto un lutto e non ha potuto neppure elaborarlo nella giusta maniera. Questo è il tempo per noi preti di stare più che mai sulla soglia delle nostre chiese.
Come immagina la prima messa?no
Come un ringraziamento. Questa ripresa la sto confrontando con la comunità e non da solo. Dobbiamo ringraziare perché Dio ci ha salvaguardati in questa momento tragico. Penserò ai sacerdoti del nord, al mio amico don Massimo di Bergamo, che nella pandemia ha perso amici, confratelli, parrocchiani. Ancora non so cosa diró, ma saranno parole di speranza e consolazione, ne dirò qualcuna in punta di piedi appunto per don Massimo, che ho sentito tante volte in questi mesi e che mi ha tanto raccontato della sofferenza, dello smarrimento, della morte. Avrò parole (che voglio trasformare in fatti) per i poveri, quelli di ieri e quelli di oggi, per i sanitari, avrò anche un pensiero tenero per i nonni. Ne conosco diversi che hanno tenuto in casa i nipotini per consentire ai figli di lavorare in trincea negli ospedali. Questi nonni di mia conoscenza, seguendo alla lettera le indicazioni per la quarantena, sono stati uno scrigno per i loro nipotini, facendo grossi sacrifici, adempiendo il difficile compito di essere genitori gregari. Sono certo che Dio guarda a loro con gratitudine.
Quale il suo proposito in questa ripartenza?
Di non preoccuparmi di come riempire la chiesa, quanto di come riempire i cuori.
Grazie don Giuseppe