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Home » L’Utin cambia la vita dei genitori, ma attenzione a non trasferire il terrore ai nostri figli

L’Utin cambia la vita dei genitori, ma attenzione a non trasferire il terrore ai nostri figli

  • Maristella Panepinto
  • Dicembre 20, 2021
  • Attualità

La sindrome del bambino vulnerabile può nascere dentro i reparti di terapia intensiva neonatale. Abbiamo chiesto un parere al professore Marcello Vitaliti, primario dell'Utin dell'Arnas Civico di Palermo

Ogni anno, in Italia, 32.000 neonati sono ricoverati in Utin. Nella penisola, su 418 punti nascita,  124 sono dotati di Terapia intensiva neonatale. Le Utin sono fondamentali per quello, che non si fa difficoltà a definire un ritorno alla vita. Sono reparti, passando per i quali, non si è più gli stessi. Nessun genitore li dimenticherà mai. Verso i neonatologi e lo staff, mamme e papà nutrono speranze, gratitudine, segni di sollievo, ma talvolta anche rabbia e insoddisfazione. Non tutti i bambini, che entrano in Utin, ce la fanno. Non tutti i soggiorni in terapia intensiva neonatale sono brevi. Da lì la ricerca dei come, dei perché, delle responsabilità. Domande che a volte non hanno risposte. Perché la vita è forte, ma può anche essere fragilissima. Perché le esistenze di molti bimbi sono appese a un filo, che potrebbe recidersi e affinché ciò non accada ecco medici e paramedici, che lavorano giorno e notte. Parlando di bimbi vulnerabili non si può non fare riferimento a un medico, che con questi bimbi lavora ogni giorno da tantissimi anni, il professore Marcello Vitaliti primario dell’Utin dell’ospedale Civico di Palermo.

Professore, reparti come il vostro segnano profondamente i genitori, perché?

Nelle Utin si vive un lutto, anche quando il proprio bambino sopravvive. Questo accade perché il piccolo viene tolto alla mamma per essere affidato a un ventre artificiale, l’incubatrice. Viene tolto ai familiari e affidato ai medici. Le mamme vengono private del sogno: il nido, l’accoglienza del piccolo tra le proprie braccia, le coccole, lo scambio di odori e di pelle. Il loro bimbo nasce e perché sia salvo non viene portato a casa, ma trasferito in un reparto ospedaliero. La mamma lo vedrà pieno di tubicini, di fili e sentirà intorno a lui i bip bip dei monitor, fondamentali per verificare costantemente i parametri vitali del piccolo. É ovvio che tutto ciò comporti un forte stress per i genitori, per la madre in particolare. Perché, al netto dell’amore, la genitorialità materna si attiva già alla scoperta della gravidanza, quella paterna si cementa giorno dopo giorno.

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Il trauma dei genitori potrebbe avere ripercussioni anche quando arriva il lieto fine e si torna a casa?

Assolutamente sì. Da lì nasce la riflessione sulla sindrome da bambino vulnerabile, che colpisce in prevalenza proprio i genitori, che hanno vissuto l’esperienza dei reparti di terapia intensiva neonatale.

Non importa che il piccino sia stato in Utin 24 ore o più di un mese. É un’esperienza fortissima e indimenticabile, che va elaborata al fine di farla diventare un percorso funzionale per la vita del bimbo e della famiglia ed evitare che il piccolo ne paghi le conseguenze sul piano emotivo.

Come il neonatologo e lo staff possono aiutare i genitori a vivere serenamente questo percorso?

Sicuramente con il dialogo, con una comunicazione efficace, efficiente e continua. Il genitore pende dalle parole dei medici. Anche un sorriso o un silenzio possono fare la differenza. Si deve creare un’alleanza terapeutica tra medico e genitore. Il neonatologo deve sempre avere chiaro che i genitori di un bimbo in Utin stanno vivendo una delle esperienze più forti e drammatiche: vanno accompagnati e sostenuti sempre. Facilitare l’accesso in Utin e dare la possibilità di allattamento al seno sono fondamentali. La pandemia in questo fronte ha creato delle difficoltà, che stiamo progressivamente superando.

Quanto è importante il sostegno psicologico in Utin?

É fondamentale. Lo psicologo è la figura principe nel sostegno del genitore, delle mamme in particolare, all’interno dei nostri reparti. Si tratta di figure,  che possono aiutare sin da subito ad elaborare la condizione e a farla diventare funzionale invece che disfunzionale. Si deve incoraggiare la presenza di queste figure nei reparti di terapia intensiva neonatale e i neo genitori devono rivolgervisi senza timore alcuno.

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I dati delle Utin sono incoraggianti, vuole parlarcene?

Fortunatamente la maggior parte dei nostri bimbi torna a casa. I progressi medici e l’utilizzo di apparecchiature d’avanguardia, hanno fatto fare un salto nella sopravvivenza dei bimbi prematuri, rispetto a qualche decennio fa. Ovviamente vanno fatte delle distinzioni. Non ricoveriamo solo prematuri (che quando nascono oltre le 24 settimane sopravvivono nell’85% dei casi e quando superano le 32 nel 95%), ma anche bambini nati con patologie gravissime (cardiache o neurologiche ad esempio), in quel caso occorre accompagnare il genitore al distacco, aiutando il piccolo con le cure compassionevoli. Sono condizioni di estremo dolore, che dai genitori vengono elaborate in maniera diversa: nella maggior parte dei casi vi è gratitudine verso i medici, in altri possono verificarsi condizioni di rabbia. Sappiamo bene cosa può aspettarci e cerchiamo di dare comunque di fare sempre il possibile.

Da pediatra, cosa suggerisce ai genitori che non superano il trauma utin, neppure quando il loro bimbo cresce sano e forte?

Di lavorare su loro stessi, di non temere nel chiedere aiuto alle figure competenti. É vero, l’esperienza dei nostri reparti marchia i genitori. Vivere i primi meravigliosi giorni del proprio bimbo con il perenne timore di perderlo è molto frustrante. La mamma sogna la propria casa, il tepore, la tenerezza e deve invece osservare suo figlio dentro un’incubatrice, con tanti suoni di sottofondo, che possono alimentare degli incubi presenti e futuri. Ci sta che chi vive questa esperienza teme di perdere il proprio bambino, anche quando il pericolo é passato. Vede il pericolo, financo la morte, come condizioni perennemente in agguato. Nella maggior parte dei casi non è così. I bimbi si riprendono, stanno bene, hanno condizioni psico-fisiche normali, quindi meritano una vita normale. Al contrario, le ansie e le angosce dei genitori possono essere trasferite al bambino e da lì può sorgere un disturbo comportamentale. Il bimbo può avere serie difficoltà a riscattarsi, a uscire dalla bolla di protezione dentro la quale lo hanno recluso i genitori. Il risultato potrebbe essere un bimbo insicuro, insoddisfatto, frustrato. Quindi il genitore, che comprende di vivere un terrore costante, deve aprirsi anzitutto al pediatra e da lì iniziare un percorso, che sicuramente lo aiuterà a vivere con serenità l’esperienza meravigliosa e unica delle genitorialità.

Grazie professore e ad maiora!
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Maristella Panepinto

Maristella Panepinto

Sono Maristella, mamma, moglie e giornalista professionista. Da piccola volevo diventare Jo March di Piccole donne. Lavoro nel mondo del giornalismo da quando avevo 18 anni. La scrittura è una passione cresciuta con me e che oggi coniugo con il “mestiere” di mamma. Amo i posti alti, viaggiare, leggere, i film di Verdone, i libri di Gabo ed i cani, su tutti le mie due labrador Dafne e Palù. Ho da tempo 25 anni periodici.
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